Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
SOZZANI
Franca Mantova 20 gennaio 1950. Giornalista. Direttore di Vogue • Padre Gilberto, ingegnere prima alla Fiat e poi alla OM. Mamma, Adelmina
Rebuzzi, casalinga. Liceo classico alle Marcelline, poi Lettere alla Cattolica
di Milano con tesi in Filologia germanica. Suo progetto: vivere senza far
niente. Invece si sposa e dopo tre mesi si separa essendo incinta del
figlio Francesco. Pensando che le sarà più facile spiegare la cosa al padre se ha un lavoro, risponde a un’inserzione e si ritrova nella casa editrice Condé Nast. Non sa nulla di moda, non sa niente di stilisti. Viene impiegata come
segretaria. Di lì una carriera straordinaria che la porterà a dirigere l’edizione italiana di Vogue (dall’aprile 88)
• «È una delle donne più potenti che esistano nel mondo della moda. Dicono, forse esagerando, che può fare e disfare le fortune di uno stilista. Dicono anche che si accorge con anni
di anticipo di tutte le tendenze. Forse anche perché le determina. Occhi celesti, lunghi capelli biondi, struttura minuta e
apparentemente fragile, Franca Sozzani È la donna alla quale si inchinano tutti i più famosi fotografi di moda del mondo. A lei chiedono consigli e consulenze i più celebri stilisti» (Claudio Sabelli Fioretti)
• «Io vestivo solo Saint-Laurent, ero piena di catene. La cosa rendeva pazzi tutti.
Oliviero Toscani, quando mi vedeva, andava fuori di testa. Secondo lui mai e
poi mai avrei potuto occuparmi di moda. Per tre anni mi sono messa jeans e
maglione. Di lì non mi schiodavo. E mi sono tagliata i capelli cortissimi. Tutti erano ritenuti
più divertenti, più strani di me. Il massimo era una ragazza che viveva con un ragazzo nei
sottotetti e andava a fare le vacanze col furgone usato. Io ero infelicissima.
Se c’È una cosa che ho sempre odiato sono i jeans, i maglioni e i capelli corti. Da
bambina ho studiato in Francia, in Svizzera, in Inghilterra. Ma il liceo l’ho fatto a Milano. L’ambiente era quello noioso della borghesia milanese. Nessuna delle mie compagne
ha mai lavorato. Non era contemplato. A Condé Nast, la casa editrice di Vogue, mi offrirono di fare la redattrice di Vogue
bambini. Poi la Condé Nast fece l’edizione italiana di Glamour. Si chiamava Lei. Lì cominciai a essere un po’ più attiva. Quello che mi era stato subito chiaro era l’importanza dell’immagine. In Italia la fotografia era considerata solo un mezzo per far vedere i
vestiti. Il fotografo era un esecutore. Andai negli Stati Uniti e incontrai
Bruce Weber, Steven Meisel, Herb Ritts: tutti giovani e sconosciuti. Cominciai
a fare con loro i primi servizi. Arriva Per Lui, versione maschile di Lei. E io
arrivo al punto che sono stufa di tutti e due e sto per mollare. Ma mi offrono
Vogue e rimango. L’inizio È stato molto sofferto. Io facevo un’immagine che pochi capivano. Abbiamo perso i clienti pubblicitari. Non si
riconoscevano in questa nuova moda. Loro facevano i tailleur, i cappottini, le
cose tutte per bene. Dall’altra parte i clienti che interessavano a me facevano fatica ad arrivare, perché Vogue li aveva scontentati per anni a forza di prendere chiunque, dai grandi
stilisti ai prontisti. Il successo l’ho raggiunto quando gli altri si sono messi a fare la stessa cosa»
• Sui suoi capricci: «È vero, sono fissata con i cappuccini, voglio la schiuma come dico io e il latte
non troppo caldo. Ma non ho mai picchiato qualcuno per questo come la Miranda
Presley de Il diavolo veste Prada (vedi PRADA Miuccia - ndr). E quanto alla frutta non di stagione, dico, avrò ragione o no? Mangio solo quello e quando chiedo di andarmi a prendere l’uva,
arrivano in estate con una mela o un’arancia. Avrò ragione di innervosirmi? Sì, ho anche la fissazione per le case, ma non compro gioielli, non compro
vestiti, non porto mai borse, non colleziono quadri. Le case mi piacciono ed È vero, ne ho parecchie, ma tante sono quelle che mi vengono accreditate e che in
realtà non posseggo. A Marrakesch fui la prima a comprare nella Medina, ho acquistato
case meravigliose per niente. Oggi sarebbe impensabile. In realtà, tutto quello che si È comprato in lire È stato un affare. Le confesso un’altra mania, conservo le scarpe di Manolo Blanick, sono oggetti splendidi che mi
piace guardare. No, non È vero che sono altera e che non saluto. Sono miope. Porto i famosi occhiali
neri, sempre, non per vezzo ma per reale esigenza. Ah, sulla storia delle
redattrici che devono essere per forza di taglia 42... È successo ma c’È un perché. Io non prendo redattrici dagli altri giornali, mi piace crescerle
professionalmente come dico io. Va da sé che siano giovani e le giovani sono più facilmente magre. Non È una strategia... Compravo Prada da cliente prima ancora che esistesse una sua
collezione. E poi Helmut Lang, Marc Jacobs, Dolce e Gabbana, Anna Molinari. Ho
visto crescere tanti. Naomi Campbell andava a prendere mio figlio a scuola e si
fermava il traffico. Lei e le altre super model erano ragazze normalissime che
poi sono state costrette ad assomigliare al personaggio che era stato cucito
loro addosso e hanno perso l’equilibrio. Anche Kate Moss era deliziosa, con una gran voglia d’arrivare» ( Michela Tamburrino)
• Dice che la sua magrezza leggendaria È di famiglia. La sorella Carla È in effetti altrettanto magra.