Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
GUCCINI
Francesco Pavana (Modena) 14 giugno 1940. Cantante. Autore. Scrittore • «Canta come sa cantare, è un cantautore singolare, che si sente soprattutto un cantastorie» (Marco Molendini) • «Gli inizi di Francesco Guccini: pensi ad Auschwitz o a Dio è morto e immagini il sacro fuoco dell’arte della canzone che brucia. Quasi una chiamata. E invece lui confessa, a
sorpresa ma del tutto serafico, di aver deciso di iniziare “proprio per imitazione”: “Erano gli anni Cinquanta a Bologna. Eravamo ragazzi. Vedemmo un film americano
che ci schiantò: raccontava di un concorso tra complessi di rock’n’roll e ai vincitori toccava di tenere concerti in un campeggio di scout-girl:
loro erano in cinque e le ragazze cinquecento. Usciti dal cinema ci dicemmo:
dobbiamo mettere su un complesso. Sapevamo suonare in due, il contrabbassista
si portava sempre dietro l’ingombro ma non apriva mai la custodia, eppure iniziammo. Il richiamo delle
ragazze era troppo forte”» (Carlo Moretti)
• «Mi piace considerarmi un poligrafo. Mi affascina la materia narrativa, il
piacere del raccontare, di sperimentare nel linguaggio, muovere le pedine sul
foglio o tra le note. Mi piacevano fin da ragazzino, quando sognavo di fare il
giornalista, e l’ho anche fatto per un po’, nella mitica Gazzetta di Modena, subito dopo il diploma delle magistrali, che
avevo preso non tanto per vocazione all’insegnamento quanto perché si finiva un anno prima, e a casa c’era bisogno che cominciassi a lavorare presto. Ricordo che mi fecero scrivere il
primo articolo su una certa suor Eustacchio Maria Peloso, che festeggiava i 50
anni dei suoi voti, e io che sognavo i reportage alla Hemingway! Comunque, fra
una cronaca locale e l’altra, strimpellavo la chitarra che avevo comprato per cinquemila lire da un
falegname di Porretta Terme. Da noi, in Emilia, si nasce e si cresce in
famiglie canterine, con la passione per la musica e per l’ascolto: è una sorta di patrimonio genetico, che ti appartiene. Con gli amici avevamo
messo su una specie di complesso, “I gatti”, e ci esibivamo all’osteria delle Dame, a Bologna, e intanto portavo avanti anche l’università: mi ero iscritto a Lettere, e nel 70 avevo dato tutti gli esami. Poi, alcuni
anni fa, proprio quando mi era tornata la voglia di una laurea da incorniciare,
mi dissero che avrei speso circa dieci milioni per iscrizione e documenti e
tutto il resto: allora decisi che me li sarei goduti di più all’osteria. E ho rifiutato anche la laurea ad honorem: non ha senso»
• «Scrivere, dunque, era il suo mestiere. Insieme agli articoli per la Gazzetta
cominciò anche con le canzoni: la prima fu Auschwitz, cantata dall’Equipe 84, e subito dopo Dio è morto, portata al successo dai Nomadi, e nel 67 incise il suo primo album, Folk Beat n. 1. Così cominciava il suo lungo percorso nella musica, nelle canzoni come dialogo,
esternazione, poesia» (Lucia Castagna) • «I miei concerti sono ancora molto affollati, e soprattutto di ragazzi, quindi la
poesia interessa ancora… se poi ci sono meno belle canzoni credo dipenda anche dalle case discografiche.
Di sicuro ci sono dei nuovi cantautori in gamba, anche se è difficile porsi come una voce nuova, dopo tutto quello che è stato detto e fatto in questi anni. Però ci sono, ma le case puntano su questi gruppi giovanili che fanno canzoncine che
hanno pieno diritto di esistere, ma sono molto leggere, senza attenzione alle
parole, agli argomenti»
• «Più o meno ho fatto quello che ho voluto, e al di là di eventuali meriti, sono stato fortunato. Quando andavo all’università pensavo a una carriera accademica. Fortunatamente ho cambiato strada... avevo
fatto tutti gli esami, mancava solo la tesi, mi bocciarono solo in latino, sui
paradigmi, e io ricordavo solo i più facili. Uno disse all’assistente: “lo sa che questo ragazzo ha scritto quella canzone bellissima che si chiama
Dio è morto?” (era stata appena incisa dai Nomadi). L’assistente disse: “Sì, bene, ma i paradigmi li chiedo a tutti”. E mi bocciarono. Allora le canzoni mi limitavo a scriverle. Prima le
prendevano quelli dell’Equipe 84, poi i Nomadi presero Noi non ci saremo. Quando proposi Dio è morto quelli dell’Equipe non ebbero coraggio, poi quando scrissi Un altro giorno è andato dissero che ero finito. Invece i Nomadi accettarono Dio è morto, e grazie a loro ebbi un contratto come autore, poi Dodo Veroli, che produceva
i Nomadi, mi chiese di provare a cantarle in prima persona e così feci il primo disco, era il 67» (Gino Castaldo).