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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

UN ARTICOLO CHE POTEVA RIGUARDARE SOLO 36 CAUSE

ROMA—(gio. bia.) Ma quante sono le cause civili di valore superiore ai 20 milioni di euro, di cui la norma infilata nella manovra finanziaria e poi ritirata voleva bloccare l’esecuzione dopo la sentenza d’appello, in attesa del ricorso in Cassazione? Una— se l’imminente verdetto di secondo grado confermasse la decisione del primo, magari con un risarcimento minore rispetto ai 750 milioni stabiliti— sarebbe quella tra la Fininvest di Berlusconi e la Cir di Carlo De Benedetti; e per questo è venuto il legittimo sospetto di un’ennesima norma «ad personam» . Per il resto bisogna affidarsi ai numeri messi insieme dalla Cassazione, relativi ai ricorsi pendenti. Su un arretrato di circa 90.000 contenziosi pendenti, quelli degli ultimi sei anni a cui sarebbe stata teoricamente applicabile la norma sono 142, vale a dire lo 0,0015 per cento del totale. Di quelle 142 cause, però, 106 sono assegnate alla sezione tributaria, cioè riguardano contenziosi relativi al fisco: tasse pretese e non pagate, o viceversa. Escluse quelle, si scende a 36, cioè lo 0,0004 dei procedimenti pendenti. Una cifra piuttosto bassa per immaginare l’urgenza di una riforma così dirompente da aver provocato, in sole ventiquattr’ore, il clamore sufficiente a farla ritirare. Ma c’è pure un paradosso. Delle 106 cause tributarie, 86 sono ricorsi delle Agenzie delle entrate contro privati cittadini che hanno vinto in appello, e dunque in attesa della Cassazione non c’è nulla da riscuotere. Le restanti venti sono ricorsi dei cittadini contro l’Agenzia delle entrate, che ha vinto i gradi precedenti di giudizio e attende di recuperare i tributi non incassati: la norma inserita nella manovra avrebbe bloccato i pagamenti, e dunque impedito al Fisco di incassare almeno 400 milioni di euro. Ma certamente di più. Curioso risultato, per un provvedimento che dovrebbe servire a rimpinguare le casse dello Stato.