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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

VANCINI

Florestano Ferrara 24 agosto 1926. Regista • «Ferrarese come Antonioni, appartiene alla generazione di esordienti che fa irruzione nel
cinema italiano degli anni d’oro attorno al 60. Il bellissimo La lunga notte del ’43 è il suo biglietto da visita, Le stagioni del nostro amore è un formidabile spaccato sui sogni infranti dei quarantenni di metà anni 60, Bronte e Il delitto Matteotti sono due grandi successi quando il cinema italiano si politicizza al massimo» (Paolo D’Agostini) • «Sono nato a Ferrara e questa città mi ha formato. La lunga notte del ’43, mio primo film, è ambientato a Ferrara e il fatto che racconta l’avevo vissuto. La storia di Ferrara è sempre stata una passione. I miei sono in gran parte film storici, al passato.
Sul presente ne ho fatti pochi: la Piovra 2. Non si può ignorare da dove si viene. L’uomo è l’unico animale che ha memoria, che può documentare il suo passato. Il cinema italiano recente è tutto al presente ma senza quasi rapporto con la società intorno, senza mai uno sguardo all’esterno. E io pretendo che lo spettatore mi dia attenzione su qualcosa che non
lo riguarda, senza alcun riferimento alla realtà di oggi. Ma perché leggiamo ancora e rappresentiamo le tragedie greche? Perché mettono in scena la vicenda dell’uomo che si ripete sempre: cambiano i modi, i mezzi, ma dentro l’uomo è cambiato poco. Nel 74 ho fatto un film sul delitto Matteotti, un successo. Ma
era un momento diverso. Oggi vedo un cinema così chiuso dentro ai rapporti personali, dentro le case e le stanze, le famiglie,
come se il mondo non esistesse»
• «Ho parlato di guerra civile fra italiani, di errori/orrori del comunismo, di
stragi compiute in Sicilia dai garibaldini, ho cercato di mostrare la grandezza
morale di Matteotti, al di là del suo omicidio. Andavo a cercare gli episodi meno conosciuti, cercavo di
mettere in luce l’altra faccia dell’eroismo ufficiale. Ho pagato molto, per questa scelta. Sono l’unico autore fuori da tutte le rassegne, dai premi, lontano dai nastri d’argento, i miei film non sono mai previsti nelle serie vendute dai quotidiani.
Ma non mi sento una vittima, anzi. Avrei dovuto fare lo storico, era quella la
mia vera passione»
• «Nel 66 fui praticamente cancellato per avere raccontato, in un film che si
chiamava Le stagioni del nostro amore, le cose che ci dicevamo, noi autori di sinistra, la sera a cena. Un errore
imperdonabile: avrei dovuto girarci intorno, usare metafore. Dino De Laurentiis
mi invitò: “Togli la politica, è una bella storia d’amore”. E invece scelsi come protagonista un giornalista comunista, deluso dal crollo
dei suoi ideali. Goffredo Fofi definì il film “una buffonata”. L’Unità mise la recensione, ultima di dodici, poche righe dopo un film di Franco e
Ciccio. Gli altri, tutti, mi avvolsero in un silenzio assordante. Mi ha fatto
piacere che Piero Fassino, invece, avesse raccontato di essere stato sconvolto
da quel film. “Fu come una folgorazione”, disse. Ci siamo parlati, lui mi ha spiegato che vide il film quando aveva
sedici anni, due mesi dopo la morte di suo padre, che era stato un socialista.
Mi confessò che la notte non aveva dormito e l’indomani a scuola aveva preso un tre, l’unico della sua carriera di liceale» (da un’intervista di Barbara Palombelli).