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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

RAIMONDI

Ruggero Bologna 3 ottobre 1941. Cantante lirico. Basso • Secondo di tre figli di una famiglia molto religiosa. A 13 anni stupisce tutti
perché canta le melodie di Mario Lanza e sa intonare il Credo dell’Otello. È la nonna la prima a capire le sue doti, poi degli amici che lo sentono cantare
su una spiaggia dell’Adriatico si dànno da fare per ottenere un’audizione dal maestro Molinari-Pradelli che, dopo averlo sentito, lo raccomanda
a Gianna Pederzini. Altri insegnanti da cui si perfeziona: Maria Teresa
Pediconi e dal 62 al 64 il maestro Piervenanzi. Si iscrive al Conservatorio
Verdi di Milano, poi all’Accademia di Santa Cecilia a Roma, segue dei corsi a Venezia, infine va a New
York con Daniele Ferro. Inquieto, pieno di dubbi, quasi paralizzato dal
tormento al punto che una sua partner, Margarita Wallman, si lamenterà del suo “monolitismo scenico”. Ma sono ancora i primi tempi, in cui Raimondi sta cercando la sua strada:
trionfa al concorso nazionale di Spoleto, dove canta la
BohÈme in occasione del Festival dei Due Mondi del 64. Poi deve rimpiazzare Rossi
Lemeni ne I Vespri siciliani: È il 16 dicembre del 64, all’Opera di Roma, la data che segna il primo grande riconoscimento del pubblico e
della critica. Segue una carriera strepitosa: esordio alla Scala con Turandot nella stagione 67-68, debutto internazionale nel 68 al Royal Festival Hall di
Londra (Lucrezia Borgia in forma di concerto). Seguono esibizioni al Festival di Glyndebourne (1969, Don Giovanni), al Metropolitan di New York (Ernani, poi Macbeth nel 70), al Covent Garden di Londra (1972, Simon Boccanegra), alla Staatsoper di Monaco (72, Don Giovanni), alla Fenice di Venezia (Boris Godunov, ruolo in cui ha trionfato anche all’Opéra di Parigi e alla Scala). Notevoli anche le interpretazioni del Barbiere di Siviglia, di Pelleas et Melisande e della Carmen (Escamillo, da baritono) • Grandi registi hanno lavorato alla sua formazione drammatica, traendolo dagli
impacci degli esordi. Prima di tutti, quando era ancora molto giovane, a
Venezia, Piero Faggioni con un’edizione del Don Giovanni. Poi Franco Enriquez, per l’edizione del Don Giovanni di Glyndebourne. Ha preso parte alla leggendaria edizione del Simon Boccanegra messa in scena alla Scala nel 73, con regia di Strehler e direzione d’orchestra di Claudio Abbado. E infine ha lavorato con Luca Ronconi a un Faust andato in scena a Bologna • Tutto questo ha preparato i suoi trionfi cinematografici: il Don Giovanni di Losey, la Carmen di Francesco Rosi, la Tosca di Peppino Patroni Griffi (e di BenoÎt Jacquot), La vita È un romanzo di Resnais, Boris Godunov di Andrzej Zulawski • «Gli occhi, nerissimi, scolpiti nel marmo pallido del volto. Le labbra, immobili,
incise nel ghiaccio e la cornice trionfante dei capelli, intagliata nell’ebano. Per molti, se non per tutti, il ricordo di Ruggero Raimondi È racchiuso in questa icona indimenticabile: il simbolo del Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart girato da Joseph Losey nel 79. “No, non mi disturba affatto che la mia faccia sia legata a quella immagine.
Anzi, mi ricorda che allora ero un Don Giovanni giovane e seducente e che oggi,
invece, sono diventato un Casanova un po’ attempato”. Sullo schermo e in palcoscenico Raimondi non È “soltanto” una voce, ma anche un corpo, uno dei pochi cantanti lirici a possedere una “fisicità” prepotente e carismatica» (Guido Barbieri)
• «Non sono del tutto consapevole di possedere questa carica “fisica” così appariscente. Sono anche un interprete “di testa”: leggo le monografie sui compositori, le lettere, gli epistolari, cerco di
risalire alle fonti, alle partiture originali, non mi accontento mai delle
note, e basta» • «Don Giovanni rimarrà un film storico per l’abbinamento tra la musica di Mozart e le ville palladiane, la regia, il trucco
che mi rendeva conturbante e la caratterizzazione psicologica di quel
seduttore. Sulle prime io caricavo tutte le mie espressioni. Losey mi diceva:
meno, meno, meno. Così ho capito che il cinema È l’arte di fare il massimo dando il minimo. Fu un’avventura dello spirito che negli altri film non si È più verificata. Il set durò tre mesi e mezzo anziché 15 giorni. Ci alzavamo alle tre del mattino pe girare alle sei. I recitativi
erano in presa diretta, la clavicembalista ci seguiva su un camioncino e lo
strumento doveva essere accordato ogni tre-quattro ore causa l’umidità dell’aria. Non so se il cinema renda più vanitosi i cantanti. Certo non me, che sono semplice nella mia complessità. Siamo esseri che vivono su molte insicurezze: basta uno starnuto a
comprometterci e poi siamo tutti un po’ schizofrenici, sempre abitati dai personaggi che ci portiamo dentro. Si fa
presto a dire “folli”, certo questo pensiero lo lessi negli occhi di quella ragazzina romana che
corteggiai a Gabicce quando avevo sedici anni e alla quale cantai il
Credo dell’Otello per dichiararmi. E pensare che fino a quel momento cantavo solo le canzonette
di Frankie Laine disgustando i miei che amavano l’opera!» • «A pagina 463 del terzo tomo del suo diario, che scrive con regolarità fin dall’85 e che presto potrà competere con le memorie di Goldoni o di Casanova, Ruggero Raimondi rievoca i
momenti salienti della lavorazione del film-opera Tosca in cui interpreta Scarpia. Soffermandosi su un dettaglio che ancora lo tormenta.
“Lavoravamo solo lunedì, martedì e mercoledì. Giovedì, venerdì, sabato riposo. Perché mai BenoÎt Jacquot, il regista, ha fatto questa scelta?”. Quella domanda gli balla ancora in testa. “Mi dicevano che a lui bastavano tre giorni. Per me invece era frustrante: quando
la mia tensione interpretativa arrivava al culmine, zac, si fermava tutto. Mi
sembrava quasi un ‘coitus interruptus’...”» (Francesca Pini)
• «Sono una persona lenta, nel senso che ho bisogno di maturare le idee. Come È stato con il personaggio di Scarpia. Lo feci la prima volta con Karajan nel 78,
poi lo lasciai per dieci anni sempre studiandolo, però per trovare la giusta espressività, e infine lo ripresi e lo portai in televisione nel film di Patroni Griffi» • «Con il maestro Muti ci stimiamo. Ma non c’intendiamo».