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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

COLANINNO

Roberto Mantova 16 agosto 1943. Imprenditore. Manager. Fattosi conoscere all’Olivetti, ebbe un grande momento di notorietà grazie all’Opa con la quale conquistò Telecom (ceduta nel 2001 a Tronchetti Provera e Benetton). Alla fine del 2002 è tornato a far parlare di sé portando avanti un piano di salvataggio per la Fiat, che gli azionisti e le
banche non hanno alla fine accettato. Quindi ha preso in mano la Piaggio • «Tutto comincia da quel 96, dopo aver fatto il manager, Colaninno prende in mano
la Olivetti e inizia a pensare a Telecom Italia. Ci pensa fino al 21 febbraio
del 99 giorno in cui, prima che Deutsche Telekom facesse la prima mossa, lancia
l’Opa sulla società privatizzata retta da un nocciolo duro del quale facevano parte anche gli
Agnelli. Un’operazione che cambierà il volto della finanza e dell’industria italiana» (Daniele Manca) • Figlio di un sottufficiale dell’esercito e di una sarta, studi di ragioneria al Pitentino, università a Parma interrotta per lavorare • «Cosa poteva fare, nei primi anni Sessanta, un giovane ragioniere appena
diplomato? Per prima cosa una domanda di assunzione in banca. Ma all’Agricola, la banca per antonomasia per un mantovano, gli risposero picche. Con
la formula burocratica usuale: “Al momento non abbiamo disponibilità di posti in organico”. Ventiquattro anni dopo Colaninno sarà nominato consigliere di amministrazione di quella stessa banca. Una bella
rivincita. A scoprire che quel giovane poteva avere del talento fu qualche
tempo dopo Walter Francesconi, imprenditore, titolare di una piccola azienda,
la Fiaam Filter, produttrice di accessori per auto. La conoscenza fu quasi
casuale. Colaninno, abbandonata l’idea di fare il bancario, era entrato in uno studio legale specializzato in
problematiche fiscali, al quale si rivolgevano industriali, commercianti e
artigiani per risolvere i loro problemi con il fisco. E lì Francesconi, cliente dello studio, si accorse del giovane praticante brillante
e discreto, già abituato a districarsi tra denunce Iva e ritenute d’acconto. Gli propose di occuparsi a tempo pieno della contabilità dell’azienda. Cosa che Colaninno fece talmente bene da meritarsi, passo dopo passo,
la fiducia dell’azionista di controllo. Da lì a qualche anno avrebbe scalato le gerarchie interne fino a diventare
amministratore delegato. L’esperienza in Fiaam è importante per capire la filosofia operativa di Colaninno. Uno che non si
accontenta di lavorare per conto terzi, ma vuole entrare in prima persona in
tutti i business. Quando Francesconi decide di vendere la società per ritirarsi dagli affari e dedicarsi alla pittura, è Colaninno che si preoccupa di trovare il comp
ratore: la britannica Turner & Newall. Come mediazione ottiene una piccola quota del capitale. Qualche anno
dopo la storia si ripete: gli inglesi lasciano e lui si dà da fare per collocare altrove la maggioranza. Questa volta la strada di
Colaninno si incrocia con quella di Carlo De Benedetti: il finanziere
piemontese, al culmine del suo successo, accetta di rilevare la Fiaam,
collocandola nella Sogefi, altra società, mantovana di origine, concentrata sull’attività immobiliare e destinata a diventare il secondo polo industriale del gruppo,
dopo l’Olivetti. è l’inizio di un sodalizio di successo. Per oltre quindici anni Colaninno guida da
plenipotenzario la Sogefi. La società cresce rapidamente e da piccola holding diventa una multinazionale della
componentistica auto, quotata in Borsa. De Benedetti lo lascia fare. E i
successi permettono al ragioniere di Mantova di conquistare i galloni di uomo
di fiducia dell’ingegnere. Fino a quando, nel 96, viene chiamato a gestire la stessa Olivetti» (Giacomo Ferrari)
• «Di telefoni il ragionier Colaninno non si era mai occupato in vita sua fino all’età di 53 anni quando, in ventiquattr’ore, giusto il tempo di consultarsi con la moglie Oretta Schiavetti, accetta l’offerta di De Benedetti che lo vuole alla guida di un’Olivetti ormai con l’acqua alla gola. Nel 97, dopo qualche mese di noviziato, all’Espresso che gli chiede chi glielo ha fatto fare di lasciare l’ottima Sogefi e la sua bella Mantova per i veleni di Ivrea, Colaninno risponde
con crudo realismo: “A uno che ha gestito mille miliardi di fatturato nessuno offrirà mai un’azienda da 10 mila miliardi se questi 10 mila miliardi non sono marci”. E aggiunge: “Qui sono troppo intelligenti, hanno inventato tante cose, ma un’azienda non è un laboratorio e la Olivetti non ha le forze per coltivare tutti questi
business: Omnitel e forse Infostrada hanno un domani, il resto è da vendere o da chiudere”. I telefoni sono il futuro da conquistare. Conclude Colaninno: “In questa posizione hanno fallito grandi nomi, se andrà male anche a me, nessuno mi metterà in croce”. è una missione impossibile, almeno in apparenza. E Colaninno si accontenta di uno
stipendio nemmeno troppo elevato (2,5 miliardi dichiarati nel bilancio 98)
anche perché spunta da De Benedetti una stock option robusta: in pratica può acquistare a mille lire l’una 12 milioni di azioni Olivetti. Facendo leva su questa stock option costruirà le sue fortune di capitalista. Quella che è chiamato a condurre Colaninno è la liquidazione della Olivetti come gruppo industriale. I conti vengono
risanati. Il titolo si rianima, anzi si esalta. I computer passano all’avvocato Edward Gottesman, la società Op Computers, che ha rilevato Scarmagno e gli altri stabilimenti, è in stato fallimentare, anche il diritto ventennale d’utilizzo del marchio Olivetti per queste produzioni è messo in vendita come un tornio, nella primavera del 98 Colaninno vende alla
Wang Laboratories di Joseph Tucci la Olsy, la vecchia Olivetti System & Networks che ancora ha 11 mila addetti e in cambio riceve il 20 per cento di
Wang, un anno dopo, quando una sconosciuta società olandese lancia un’Opa sulla Wang, tutti sono felici di aderire: in testa Colaninno che si sdebita
con Tucci chiamandolo nel consiglio Telecom. A questo punto - siamo ormai in
estate - Colaninno comincia ad avere chiaro il quadro della situazione. L’emergenza Olivetti è finita. C’è ancora da sistemare la Olivetti Lexicon, la Olivetti Ricerca, un po’ di servizi centrali senza futuro: ottomila dipendenti, tutte aziende che
perdono, ma perdono poco se paragonate ai computer e alla Olsy. E poi la
telefonia è decollata. Alla grande. Omnitel è una storia di successo. Infostrada vale già tanti soldi. Il titolo si sta risvegliando: dalle 600 lire del 97 viaggia verso
le tremila. Grazie alla stock option, il Ragioniere è miliardario. La moglie, che si è comprata quasi un milione di Olivetti, è forse la più ricca insegnante di lettere di Mantova»
• «Trovatosi quel tesoro in tasca avrebbe potuto tenerselo, magari comprandosi il
49 per cento che era della Mannesmann. Si sarebbe ritrovato la Omnitel, che è una delle aziende di maggior successo d’Europa e che macina utili a più non posso. Consigliato da banchieri d’affari assai bravi a fare il loro mestiere che è quello di guadagnare commissioni miliardarie, e incoraggiato dal primo ministro
del tempo, Massimo D’Alema, ha scelto invece di vendere Omnitel e Infostrada e tentare la conquista
di Telecom. A Palazzo Chigi in quei mesi si ragionava in grande, si
teorizzavano i campioni nazionali, vista da fuori sembrava una merchant bank,
ma dentro ci si immaginava un ruolo di modernizzatori e architetti del nuovo
capitalismo italiano. Colaninno in quel contesto era l’uomo che ci voleva, era quello che con il suo coraggio, la sua determinazione,
la sua spregiudicatezza avrebbe dato la spallata al grande capitalismo
facendolo apparire all’improvviso vecchio, esangue, superato. Si decise, il profeta del nuovo
capitalismo italiano sarebbe stato lui. L’Opa del secolo, la madre di tutte le scalate, per qualche tempo fu vera gloria.
Il ragioniere mantovano era diventato l’idolo dei piccoli azionisti, dei day trader, dei bocconiani, il mondo intero
sapeva della sua esistenza e delle sue gesta. Passati i mesi, le cose si sono
fatte più complicate. Colaninno si trovava a fare molti mestieri, quello del manager,
quello dell’imprenditore, quello del socio-gestore, e con un’azienda da guidare di dimensioni neanche lontanamente comparabili con quelle che
nella sua vita gli era capitato di guidare» (Marco Panara)
• Sulla scalata Telecom vedi anche RICUCCI Stefano • «Io non sono mai stato a casa di D’Alema, non so nemmeno dove abita» • Venduta Telecom (vedi TRONCHETTI PROVERA Marco) «aveva sperato di essere il cavaliere bianco che sarebbe salito sul ponte di
comando della Fiat. “Ho il denaro e i progetti”, diceva agli amici, “perché non dovrei farcela”. Quei titoloni dei giornali lo avevano inebriato. Sposato da secoli con
Orietta, padre di Matteo e Michele - bravi ragazzi educati alla parsimonia e al
decoro della buona borghesia del nord - Colaninno non lo dice, ma dopo Telecom
ha incassato il colpo del rientro nel semianonimato di gente ricca, ma senza
potere. La Fiat, raccontò a un’amica giornalista, poteva essere la grande occasione, ma non è andata. Segno che il format dei favolosi anni 88-98, quelli in cui i raider
specializzati diventavano imprenditori grazie a una buona intuizione, è ormai finito, azzerato dai nuovi modelli dell’era globalizzata. Che cosa poteva restargli, se non il suo motto: back to the
basic? La Piaggio, sospira lui, è solo il primo passo» (Monica Setta)
• Gianni Agnelli a Luca Cordero di Montezemolo che richiesto di un parere aveva
detto di veder bene Colaninno alla Fiat: «E se questo poi lancia un’Opa sulla General Motors?».