Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
POMODORO
Arnaldo Morciano di Romagna (Forlì-Cesena) 23 giugno 1926. Scultore. Fratello di Gio’ (17 novembre 1930-21 dicembre 2002) • «Uno degli artisti italiani più famosi nel mondo: le sue monumentali sculture in bronzo sono nelle piazze delle
nostre città, ma anche a Copenaghen, Mosca, Tokyo, New York, Los Angeles... Eppure sembra di
vederlo quel ragazzino con i capelli rossi che rendevano difficile chiamarsi
Pomodoro, una madre sarta - energica e antifascista - che si affannava a
mandare avanti la famiglia, e un padre che amava troppo l’alcol e i cavalli (“papà? un vitellone felliniano, morto di cirrosi epatica quando io avevo 20 anni”). Quel ragazzino, che avrebbe voluto iscriversi all’Accademia ma studiò da geometra perché in famiglia c’era bisogno di lavorare, aveva un unico sogno: evadere dalla provincia angusta. “E per me, cresciuto sui narratori d’Oltreoceano tradotti da Pavese e Vittorini, il sogno era quello americano”. Dopo un primo impiego nel Genio Civile, giunse all’arte attraverso la scenografia. “La folgorazione avvenne negli anni Sessanta, davanti alle sculture di Brancusi.
Guardavo la purezza di quelle forme, il volto di un bambino che nasce da
accenni di bocca e di naso scolpiti in un uovo perfetto... A un tratto, ho
immaginato dei tarli corrodere quella perfezione. E ho pensato a Fontana, al
suo lacerare la tela come supremo gesto di protesta. Da allora ho lavorato
sulle forme geometriche solide, la sfera, il cubo, il cilindro, la piramide,
strappando la loro superficie impeccabile. Ho tratto mille idee dalle
invenzioni leonardesche e tengo sempre sul tavolino le riproduzioni dei suoi
codici”. Nei primi anni Arnaldo lavorava molto spesso con il fratello Gio’ Pomodoro, un grande della scultura monumentale, poi i due presero strade
incomunicabili» (Antonella Barina)
• «Non ama il marmo (al contrario di Gio’), anche se entrambi hanno cominciato alla stessa maniera: creando gioielli,
utilizzando gli ossi di seppia (titolo di un libro di versi di Montale) che
venivano incisi, scavati e utilizzati come stampi. In comune, invece, c’era, nei due fratelli, il senso del teatro, della scenografia, che di certo
avrebbe entusiasmato Marinetti e Boccioni. Per il resto, Arnaldo è una gazza ladra (non quella di Rossini): ama le cose che luccicano, il brillìo delle superfici lev
igate che restituiscono immagini deformate, sbilenche, ingigantite,
assottigliate. Ma, al tempo stesso, scandaglia la materia, vi si ficca dentro,
la esplora. Esiti? Con un occhio ai tempi antichi e l’altro ai nostri giorni, riesce a fondere classico e moderno, anzi a rendere
moderno il classico, rivisitando miti e leggende» (Sebastiano Grasso).