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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

FERRI Alessandra Milano 6 maggio 1963. Ballerina. Étoile alla Scala. «Quando ballo il corpo non è una scatola che mi contiene, ma il mezzo per poter esprimere ogni mio sentimento» • Studi alla Scuola di ballo della Scala, poi al Royal Ballet, nell’80 è entrata nella compagnia del Covent Garden per affermarsi in tre balletti di Kenneth McMillan: Histoire de Manon, Mayerling, Romeo e Giulietta

FERRI Alessandra Milano 6 maggio 1963. Ballerina. Étoile alla Scala. «Quando ballo il corpo non è una scatola che mi contiene, ma il mezzo per poter esprimere ogni mio sentimento» • Studi alla Scuola di ballo della Scala, poi al Royal Ballet, nell’80 è entrata nella compagnia del Covent Garden per affermarsi in tre balletti di Kenneth McMillan: Histoire de Manon, Mayerling, Romeo e Giulietta. Invitata a New York (American Ballet Theatre) nell’85, vi è tornata in diverse occasioni • «Quando danzo Carmen di Roland Petit so di essere sensuale non solo perchÉ lo richiede il personaggio, ma anche perchÉ sento una totale fusione del mio corpo con i movimenti. Ho una particolare predilezione per i ruoli da seduttrice. Penso a Manon Lescaut, a Margherita Gautier della Dama delle Camelie. Erano creature meravigliose, ma anche prostitute. Dunque il loro modo di muoversi rispecchia il loro vissuto. PerchÉ travisarle quando indossiamo un paio di scarpette?» • «Una ballerina può arrivare bene fin verso i 45 anni. Dopo si rischia di dover rinunciare a qualcosa. Devi poter comunicare una gioia meravigliosa nel quanto ti tiri indietro. La tua schiena, le tue gambe, le tue estensioni, i tuoi salti... Sono la tua danza» (nel 98) • è sposata con il fotografo Fabrizio Ferri. Hanno due figli: «Un incontro all’insegna del caso. Lui ha una casa a Pantelleria. In quelle stanze si conoscono (grazie a un’amica comune, Isabella Rossellini). Scocca ciò che, banalmente, si chiama “la scintilla”... Alessandra e Fabrizio sentono, irresistibile, la necessità di esprimersi, per la prima volta, a trecentosessanta gradi. Lui viene folgorato da lei donna, e ne coglie l’apparente contraddizione fra ballerina e, appunto, donna in carne e ossa: esattamente come le onde del mare che li circondano contrastano con le rocce scure. Ma c’è un punto di contatto che unisce tutto questo, ed è l’aria. O meglio, Aria. Si chiede Fabrizio (lo facciamo un po’ tutti noi) come riesca Alessandra a volare, seppure per mestiere. E perchÉ vola? Lei riesce a fargli (e a farci) capire che la risposta sta nell’essenza della danza e al tempo stesso nel suo essere una creatura che vuole volare, che ha la necessità di crescere e d’imparare a librarsi nel cielo. Che la risposta è Aria. Dieci giorni di totale abbandono, su e giù per l’isola a bordo di una jeep, alla ricerca di luoghi, di odori, di emozioni. Alessandra: “Trovavo un posto che m’ispirava, e ballavo seguendo una mia musica interiore, un ritmo fatto non di note ma di sentimenti. Tentavo di staccarmi dalla terra, di spiccare il volo. E m’accorgevo che era davvero possibile. E meraviglioso”. Fabrizio: “E io scattavo”. Lei era nuda. O meglio, “a nudo”. Proprio come “a nudo” è un’artista che vuole dare l’anima quando sale sul palcoscenico. Nuda. Insolito per una star internazionale osannata nei principali teatri del mondo. Fabrizio: “Il primo giorno le ho detto che, se solo per un momento avesse visto nei miei occhi o in quelli della troupe qualcosa di morboso, avrebbe dovuto andarsene, per sempre”. Alessandra è rimasta. Non si sentiva spiata dal buco della serratura, ma soggetto di qualcosa di bello e d’importante. Di bello e terribilmente difficile (“Affrontare la propria emancipazione senza compiacimenti è sempre doloroso”): e infatti c’è un’immagine, umanissima, che la ritrae mentre si morde una mano e piange. C’era, fra loro, sintonia. E amore (lei si separò burrascosamente dal marito, e per i giornali quello fu “il caso” dell’autunno 96)» (Stefano Jesurum).