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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

SOTTSASS

Ettore Innsbruck (Austria) 14 settembre 1917. Architetto. Designer • «Famoso per le sue residenze popolari; per la sua adesione al Mac (Movimento arte
concreta); per mobili, vetri, ceramiche, argenti; per le macchine da scrivere
Olivetti (Tekne, Praxis, Studio 45, Lettera 36, Valentine); per calcolatrici
elettroniche, telescriventi, e via dicendo» (Sebastiano Grasso) • «Il mobile gli ha offerto la possibilità di esprimere l’energia al massimo grado di creatività, di giungere a forme nuove, talora all’apparenza pericolanti, ma di forme così rivoluzionarie da sembrar concepite oggi. Si vedano gli esiti di “le strutture tremano” o “Vetrinette di famiglia”, che derivano da “graniglia o mosaici dei gabinetti delle metropolitane delle grandi metropoli...
o i colori delle sedie nella latteria... lamiere da tramvia municipale o gomma
da pavimento da aeroporto”. Con Memphis affiora il trionfo simbolico, emotivo, rituale, con mobili che
parevano allora assurdi, monumentali, ma divenuti, poi, icone moderne. All’architettura Sottsass si è dedicato dagli Anni 50, sempre legato al valore sensoriale del colore e dell’umanesimo, contro il razionalismo eccessivo. Picasso, Matisse, Braque entrano
nei colori, nei materiali innovativi, nei riti per l’uomo. Dal neoplasticismo l’architetto ricava le forme semplici (cilindri, sfere, piani, rette) cui aggiunge
i simboli orientali e l’espressionismo scabro delle sue radici austriache. Dall’architettura radicale procede verso gli anni 80 a una critica del contemporaneo
e disegna progetti utopici e ironici, i negozi Esprit, negli anni 85-86, ben
illustrano i suoi propositi. Decori, colori, materiali nuovi per spazi adatti
all’uomo, tutto su vasta scala, come nel progetto per il centro polifunzionale Peak
a Hong Kong, nell’83. Dal 90 con lo Studio Sottsass & Associati crea Casa Wolf in Colorado. Numerosi i progetti recenti in Cina,
Giappone, Hawai, Belgio, Italia, con sempre maggior rapporto con la natura e
con movimenti e percorsi della vita» (Fiorella Minervino)
• «Sono nato a Innsbruck. Ho vissuto in Trentino. Lassù la casa è protettiva. Qualcosa di quest’idea m’è rimasto: la casa si apre al mondo, s’immerge nel paesaggio, ma ti protegge anche, non solo dal vento e dalla pioggia
ma anche dal caos esterno. Protegge la tua gioia e la tua disperazione. In casa
io corro di felicità o mi schiaccio contro un muro. La casa è un anticorpo, un luogo dove ti recuperi. C’è molta retorica sulla tecnologia. Io continuo a pensare che quando vado a letto
la sera sono solo con il mio corpo miserabile, e mi preoccupo per mia moglie e
per quello che mangeremo domani, ho cioè pensieri arcaici, mi apro al mistero che ci insegue. La tecnologia non cancella
il mistero. Anzi, distrae. Perché la gente va in un tempio? Profumo d’incenso, una vetrata laggiù in fondo con un mandala di colori: lì ti recuperi, ti chiedi se stai morendo o vivendo. La casa si può allora immaginare come una piccola zona di sacralità, che non è religiosità ma appunto apertura al mistero, a ciò che non si sa e a cui non sappiamo dare risposta»
• «Uno sguardo inafferrabile, un non-sguardo, o uno sguardo remoto, antico. Il
lungo e intrecciato codino bianco» (Claudio Altarocca) • è stato sposato con Fernanda Pivano (dal 48). Sta da quasi trent’anni con Barbara Radice: «Negli anni Sessanta ho fumato canapa come un matto, chiuso in casa per settimane
con amici e artisti a parlare e a suonare. Uscivo solo per portare qualche
progetto alla Olivetti, dove ero diventato consulente per il design. Nei
Settanta, invece, ho vissuto come tutti una grande liberazione, non solo
sessuale. In una cultura che rompe tutti i vincoli anche la condizione erotica
si slega. Ogni cosa diventa più sciolta e cominci a guardare le donne con occhi nuovi. I miei si posarono su
una ragazza neanche tanto bella in senso tradizionale, ma appassionata e
selvatica. Era una giovane catalana che faceva la staffetta dell’Eta. Aveva la casa piena di volantini e io avevo una paura bestiale perché in Spagna c’era ancora il regime di Franco. Ho passato con lei cinque anni, facendo su e giù con l’Italia. In quel periodo ho fatto soffrire molte persone. Poi è arrivata Barbara» (da un’intervista di Stefania Rossini).