Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
VITTI Monica (Maria Luisa Ceciarelli) Roma 3 novembre 1931. Attrice. Tra i suoi film: L’avventura, La notte, L’eclisse, Deserto rosso (60, 61, 62, 64, tutti di Antonioni), La ragazza con la pistola (Monicelli, Nastro d’argento 69 miglior protagonista), L’anatra all’arancia (Salce, Nastro d’argento 76), Amori miei (Steno, David di Donatello 79) • «Musa di Antonioni, simbolo al femminile della commedia all’italiana, attrice sospesa tra dramma e commedia tanto convincente da ricevere un Leone d’oro alla carriera
VITTI Monica (Maria Luisa Ceciarelli) Roma 3 novembre 1931. Attrice. Tra i suoi film: L’avventura, La notte, L’eclisse, Deserto rosso (60, 61, 62, 64, tutti di Antonioni), La ragazza con la pistola (Monicelli, Nastro d’argento 69 miglior protagonista), L’anatra all’arancia (Salce, Nastro d’argento 76), Amori miei (Steno, David di Donatello 79) • «Musa di Antonioni, simbolo al femminile della commedia all’italiana, attrice sospesa tra dramma e commedia tanto convincente da ricevere un Leone d’oro alla carriera. Ha lavorato all’estero con autori come Bu uel, Losey e Vadim e ha rotto l’egemonia maschile di mattatori come Gassman, Tognazzi e Sordi nella commedia all’italiana. Una ragazza capace di suscitare riflessioni e pensieri alti e talvolta un po’ perplessi durante il bellissimo sodalizio con Antonioni e poi di scatenare allegria e buon umore reinventandosi come interprete brillante» (Maria Pia Fusco) • «Sensibile, intraprendente, vitale, simpatica e attraente. Come Mia Farrow in Broadway Danny Rose che la imitò esplicitamente, come dichiarò l’allora compagna di Woody Allen, in un personaggio dotato di grandi occhiali e grandi cappelli, la voce roca e un’endemica capacità di coinvolgere gli altri nel casino turbolento della propria vita. Negli anni 50 Monica Vitti lottava contro un mondo cinematografico dominato dal 90-60-90 del corpo di Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Silvana Mangano, negli anni 60 anticipava l’icona sexy della donna atletica e affusolata destinata ad affermarsi nell’immaginario mondiale da Ursula Andress a Jane Fonda. Ma, più di molte di loro, ha saputo accompagnare a una sapiente interpretazione della propria immagine divistica, un’ottima tecnica attoriale: non c’è regista del periodo, da Blasetti ad Antonioni, che non abbia fatto di tutto per lavorarci assieme. Un grande attore, ha scritto qualcuno, è sempre la soluzione di un’equazione impossibile e la Vitti ne è una dimostrazione: cosa c’entrano le sue angosce e i suoi lunghi piedi da “esistenzialista” (come le diceva la madre) con quella fame atavica, allegra e vorace, che l’ha vista in molte scene dei suoi film divorare fettuccine, abbacchio, minestroni, pizze e intingoli. Forse nessuno più di lei e Alberto Sordi (e Totò), ha saputo rappresentare sullo schermo di un paese in via di industrializzazione, il sogno che ha perseguitato i popoli della penisola dall’era della preistoria: una folle scorpacciata di qualsiasi cosa. In realtà, ci sono film in cui non sembra aver bisogno di mangiare, anzi, in quelli più famosi che ha fatto con Antonioni ( L’avventura, Deserto rosso) ci si chiede se lo abbia mai fatto. In altri, da Dramma della gelosia a Teresa la ladra, lo spontaneo e generoso erotismo dei suoi personaggi corre pari passo a un robusto appetito. Ancor più della tradizionale mitologia della ragazza, inchiodata già dal nome a un destino di casalinga che diventa prima interprete teatrale, poi la maschera dell’incomunicabilità del cinema di Antonioni e successivamente l’unica vera star comica femminile di Monicelli, Sordi, Scola, Salce, più di tutto questo colpisce oggi la contraddizione tra biografia reale e immaginaria. Difficile trovare un’attrice così autrice della propria carriera, una diva capace di esplorare la propria versatilità con la stessa lucidità. L’ironia è che nessuno più di lei ha saputo portare sullo schermo donne che sembrano il contrario di lei: donne confuse, labili, indifese, soggette a ogni forma di somatizzazione della propria fragilità e a ogni effetto indesiderato della propria passionalità» (Mario Sesti) • «Nel 53, quando io andavo a scuola di recitazione, le attrici dovevano essere superdotate, direi bellissime, le sceglievano nei concorsi di bellezza e venivano doppiate. Io non ero adatta a quel cinema, né fisicamente né moralmente. Non volevo essere una diva, ma un’attrice drammatica. Ma Sergio Tofano, mio grande maestro, era sbalordito dal mio talento comico» • «I miei handicap mi hanno sempre aiutata: la voce per esempio, che disastro! In Accademia esisteva solo la voce di Gassman (che allora insegnava già), la mia che prospettiva poteva avere?» • «Come nelle favole, un bel giorno Antonioni cercava la voce della benzinaia del Grido. Serviva perciò una voce un po’ sfiatata e la mia era l’ideale. Durante il doppiaggio mi arrivò un suo commento dalla regia che era alle mie spalle. “Ha una bella nuca, potrebbe fare il cinema”. Le sue storie mi somigliavano, così cominciò la mia grande avventura» • «C’era per i comici uomini, una tradizione cui rifarsi, dei modelli, anche se rivissuti con grande autonomia. Come attrice comica io non avrei potuto imitare nessuno. In Italia c’erano soltanto le bellissime e le caratteriste (Titina De Filippo, Ave Ninchi, Tina Pica). Un’attrice che fosse fisicamente normale e che sapesse recitare e far ridere, non esisteva» • «Il segreto della mia comicità? La ribellione di fronte all’angoscia, alla tristezza, alla malinconia della vita» • Sulla relazione con Michelangelo Antonioni: «Sono stati una delle coppie più famose ed insolite del cinema internazionale: non esuberanti e presenzialisti, né presi dal terrore di essere ignorati dai paparazzi. Al contrario, erano l’incarnazione dell’incomunicabilità trionfante nella famosa trilogia (L’avventura, La notte, L’eclisse) portata poi all’ennesima potenza in Deserto rosso; due amanti con un’immutabile espressione di rassegnata tristezza, di noia, di inaccessibile lontananza. Non esisteva quasi confine tra il leitmotiv dei film e della vita di coppia. Ma per Monica Vitti, stregata dal regista, non era naturale quell’aria annoiata, da intellettuale e profeta inascoltato, propria di Antonioni. E lo si capì nel gennaio 64, quando la Sacra Rota annullò il precedente matrimonio del cineasta con Letizia Balboni. Allora l’attrice esplose di felicità. non riuscì a mascherare la sua vera e reale speranza: “Finalmente possiamo riposarci”. Dopo sette anni di convivenza particolare (una sola casa in via Tiberio, a Roma, ma due diversi appartamenti uniti da una scala a chiocciola) Maria Luisa Ceciarelli - in arte Monica Vitti - desiderava diventare la signora Antonioni. Anche se confessava: “Non cambierà nulla tra noi, si tratta di una pura formalità e, almeno per ora, non lasceremo neppure la casa di via Tiberio, ideale per una coppia come la nostra”. Due anni dopo, non solo il matrimonio non è stato celebrato, ma cominciano a circolare voci su una rottura tra i due. La bella attrice inglese Vanessa Redgrave - ancora moglie del regista Tony Richardson - si profila all’orizzonte come una possibile rivale della trentaduenne Ceciarelli (il regista ne ha 52), che tuttavia finge di non sapere cosa sta succedendo. E ribalta le parole di due anni prima: “Per la gente come noi, attori o registi, per noi artisti sposarsi è un vero pericolo, può voler dire rischiare di perdersi”. Non si sposano perché si vogliono troppo bene, disse qualche agiografo. Invece le strade di Vitti e Antonioni cominciarono a dividersi proprio nel 66. Il regista andò prima in Inghilterra a girare Blow-up, poi in Usa (nel 70) per Zabriskie Point. Fu una progressiva separazione professionale e affettiva, che vide Antonioni sempre più identificato con la sua immagine di intellettuale pensoso, sofferto e disilluso, mentre lei rovesciò il carattere delle sue interpretazioni, scegliendo la commedia» (L’Europeo) • Il 28 settembre 2000 ha sposato, dopo 27 anni di convivenza, il regista Roberto Russo (con cui ha girato nell’83 Flirt, nell’86 Francesca è mia).