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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

GATTUSO

Gennaro Ivan Corigliano Schiavonea (Cosenza) 9 gennaio 1978. Calciatore. Del Milan (squadra con la quale ha vinto
nel 2003 Champions League e coppa Italia, nel 2004 lo scudetto) e della
Nazionale. Ha giocato anche con Perugia, Salernitana, Rangers Glasgow. Campione
del mondo in Germania nel 2006: partito in una posizione di mezzo tra titolare
e riserva (Lippi stava per rimandarlo a casa per via di un infortunio), ha poi
giocato sempre per la squalifica di De Rossi, divenendo — grazie alla grinta messa in campo — il simbolo stesso della Nazionale. La notte prima della finale non è riuscito a chiudere occhio e ha sofferto di mal di pancia («Stavo sempre in bagno e a un certo punto mi sono infilato un pezzo di ghiaccio
non vi dico dove»). Alla fine ha ammesso che senza lo scandalo Moggi, la squadra non avrebbe
probabilmente trovato la concentrazione e la determinazione per conquistare il
titolo
• «Detto Ringhio (e anche Davids bianco, o più teneramente Gennarino), ma il soprannome è già di troppo. Basta il cognome ormai, denso e sferzante come un insulto
meridionale, a indicare le qualità di mastino faticatore antifighetto che albergano nei piedi e nel cuore di
questo ragazzo di Calabria (oltretutto). Qualcosa del genere capitò a Benetti prima di lui, all’incirca nel suo ruolo» (Alberto Piccinini) • «Lasciai la famiglia a 13 anni, per fortuna i miei genitori mi fecero partire.
Gaucci mi trattò bene, ma a quell’età è dura vivere lontano da casa. A 17 anni non giocavo, non avevo un contratto e
scappai dalla finestra alle 3 di notte per andare a Glasgow. I primi mesi
furono difficili: mi chiudevo in bagno a piangere, ma non volevo mollare. Non
avrei accettato di tornare in Italia da fallito. Ce l’ho fatta anche grazie all’aiuto di Monica. L’amore con il lavoro c’entra poco, ma la sua presenza è stata fondamentale»
• «Innanzitutto piantiamola con la storia del figlio del Sud che lascia il paesello
e trova riscatto nel calcio. “Non siamo mai stati ricchi, ma nemmeno poveri”. E poi smettiamola con quel soprannome, Ringhio, “che era diventato un altro nome, tutti mi chiamavano così e mi è sembrato che a un certo punto si esagerasse”. è l’idolo dei compagni e della curva. Con un’importante consapevolezza: “Ai miei tifosi piaccio molto, agli altri molto meno”. Papà Franco, maestro d’ascia come il nonno a Corigliano Schiavonea, nella provincia di Cosenza
affacciata sul Mar Ionio, l’ha scolpito nel legno e di quella materia Gennaro ha mantenuto, nel bene e nel
male, le stesse ruvide proprietà. La resistenza: “Nessuno, a 25 anni, ha corso quanto me”. L’attaccamento alle radici: “Sono orgoglioso di essere un uomo del Sud. Conosco le difficoltà dei giovani a trovare lavoro, la delinquenza, la droga. Nascere al Sud è dura: ci vuole una grande forza di volontà per emergere”. La genuinità: “Ho vissuto tutta la vita salendo le scale, sono uno che se perde non ci dorme la
notte”. E poi ci chiediamo ancora perché Gattuso è il leader proletario del Milan delle stelle e il totem indiscusso della
tifoseria? Il centrocampista-operaio non ha una fidanzata-velina (si chiama
Monica, scozzese di Glasgow, figlia di un napoletano) e non progetta vacanze da
Novella 2000. Una vita da mediano non è sempre come la raccontano nelle canzoni. Quella di Gattuso, il ragazzo che in
casa si ricorda di spegnere la luce quando esce da una stanza (“Cosa c’entra se guadagno miliardi?”), è il prolungamento settentrionale dell’avventura del padre Franco, ex giocatore di C2, tosto come Rino, lungimirante
abbastanza da organizzare partite lunghe un pomeriggio sulla spiaggia di
Corigliano, come porte due bidoni di nafta, “hai voglia le capocciate che tiravamo...”. Se Maldini e Costacurta prima di scendere in campo gli ricordano come deve
comportarsi, Franco Gattuso è un amico: “Ci sentiamo tre volte al giorno, quando ero a Glasgow mi portava il pesce: lo
nascondeva nella borsa del ghiaccio, non so come facesse a non farsi beccare
alla dogana”» (Gaia Piccardi)
• «Io stesso ho la nausea del calcio in tv: è troppo».