Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
GELLI Licio Pistoia 21 aprile 1919. Massone. Già Maestro Venerabile della Loggia P2 • «Il 17 marzo 1981 i magistrati andarono a perquisire gli uffici di Gelli a Castiglion Fibocchi (provincia di Arezzo) credendo di trovare documenti relativi all’inchiesta Sindona, forse addirittura la famosa lista dei cinquecento esportatori clandestini di valuta
GELLI Licio Pistoia 21 aprile 1919. Massone. Già Maestro Venerabile della Loggia P2 • «Il 17 marzo 1981 i magistrati andarono a perquisire gli uffici di Gelli a Castiglion Fibocchi (provincia di Arezzo) credendo di trovare documenti relativi all’inchiesta Sindona, forse addirittura la famosa lista dei cinquecento esportatori clandestini di valuta. I giudici Turone e Colombo in effetti stavano indagando su Sindona e non su Gelli, anche se erano ben coscienti del potere di Gelli e avevano messo in pratica ogni accorgimento perché la perquisizione non andasse a vuoto. Ma invece della lista dei 500 trovarono la lista dei 953 iscritti alla Loggia P2 ( Propaganda 2 — ndr), un gotha della politica, della finanza, del giornalismo, degli apparati militari. Nella lista erano rappresentate tutte le forze politiche tranne i comunisti. Non si può dire il panico che la scoperta provocò. Intanto, l’elenco dei nomi restò segreto per due mesi. I magistrati avevano mandato tutta la documentazione al presidente del Consiglio Forlani e questi s’era ben guardato dal diffonderla. Ma i giornali sapevano che la lista c’era e la copia dei documenti era alla fine giunta pure alla Commissione Sindona e i membri della Commissione cominciarono a raccontare qualcosa ai giornalisti, sicché — soprattutto sui settimanali — uscirono spezzoni di lista, che aumentarono il terrore generale. Quando finalmente il capo del governo ricevette dai giudici milanesi il nulla osta alla pubblicazione delle carte (ma anche la Commissione Sindona aveva ormai deciso di renderle pubbliche), il clamore fu enorme. Nella lista erano compresi tre ministri (Foschi, Manca e Sarti), e il segretario di un partito di governo (Longo del Psdi). Forlani non resistette allo scandalo e dovette dimettersi. La pubblicazione delle liste diede luogo a cinque inchieste e provocò conseguenze soprattutto nelle sfere militari, dove si procedette a sostituzioni e rimozioni. Tutti gli apparati, da quello dei giudici a quello interno ai partiti, misero in moto processi ai piduisti per accertare il significato della presenza nella lista (quasi tutti gli accusati si difesero dicendo che Gelli li aveva inseriti a forza, che si trovavano “in sonno” da molto tempo o che s’erano iscritti, sì, ma tanto per cedere alle istanze di qualche persona stimabile e senza saper bene quello che facevano). Nella maggior parte dei casi i processi si chiusero con delle assoluzioni. Ma certo le liste, a chi le sapeva leggere, spiegarono parecchie carriere fulminee e anche intese altrimenti inesplicabili. La pubblicazione provocò pure una valanga di smentite. Tra i personaggi noti chiamati in causa, non ve ne furono che due ad ammettere francamente di essere entrati nella loggia: il socialista Fabrizio Cicchitto e il giornalista-presentatore Maurizio Costanzo. Costanzo si confessò pubblicamente con Giampaolo Pansa, Cicchitto, ammesso lo sbaglio, sparì dalla ribalta politica ( è poi riapparso a fianco di Berlusconi: vedi la voce CICCHITTO Fabrizio). Parecchi altri tuttavia, che allora non subirono conseguenze e che anzi risposero con arroganza alle accuse, sono via via tramontati nel tempo. Quello che colpiva maggiormente l’immaginazione del pubblico era che apparentemente non c’era scandalo grande o piccolo nel quale non fosse in qualche modo implicato Gelli o almeno qualche piduista. Gelli aveva manovrato drappelli consistenti di deputati, assessori e consiglieri regionali, alti burocrati e militari. Erano iscritti alla loggia il generale Giudice e il generale Lo Prete, protagonisti dello scandalo dei petroli (duemila miliardi di lire truffati allo Stato). Nell’archivio di Gelli erano custodite certe carte segrete relative all’affare Eni-Petromin (cento miliardi di lire). Risultarono iscritti alla loggia (ma negarono con forza) sia l’ex presidente dell’Eni Giorgio Mazzanti sia il suo avversario Leonardo Di Donna. Questa, anzi, pareva una delle tattiche più raffinate del Venerabile, quella di reclutare personaggi di gruppi diversi, di non badare a inimicizie e a contrapposizioni. Nella lista c’erano Cicchitto, socialista di sinistra, ma pure Caradonna, missino. C’era Miceli e c’era Maletti. Però di tutti gli affaires in cui Gelli pareva implicato, nessuno sembrava avere lo spessore politico del caso Corriere della Sera. Risultavano iscritti alla loggia l’editore Angelo Rizzoli, il suo braccio destro Tassan Din, il direttore Franco Di Bella, alcuni eminenti giornalisti della testata e soprattutto i veri padroni del giornale, cioè Umberto Ortolani — che formalmente sedeva solo nel consiglio d’amministrazione — e Roberto Calvi, presidente dell’Ambrosiano che, mediante la sua finanziaria Centrale, aveva comprato il 40 per cento dell’azienda. Come si capì abbastanza presto, il trio Gelli-Calvi-Ortolani aveva approfittato delle difficoltà economiche del giornale per foraggiarlo e, di fatto, occuparlo. Rizzoli, Tassan Din e gli altri parevano soprattutto ostaggi nelle mani della loggia. E al progetto di strangolamento progressivo del Corriere — di cui erano del tutto ignari i giornalisti della testata — non era estranea la classi politica. Il terremoto di via Solferino ebbe conseguenze importanti. Di Bella dovette lasciare la carica di direttore e fu sostituito da Alberto Cavallari, alcune importanti firme del giornale trasmigrarono. Intanto si accendeva una lotta per la proprietà che si farà serrata l’anno successivo, dopo il suicidio di Calvi ( in realtà un omicidio mascherato da suicidio — ndr) e lo scioglimento del Banco Ambrosiano […] Il successore di Forlani — Spadolini — pose tra le quattro emergenze del paese anche quella morale (le altre tre erano quella economica, quella civile, quella internazionale — ndr), varò la legge che scioglieva la P2 e proibiva le associazioni segrete, sostituì i vertici dei nostri servizi» (Giorgio Dell’Arti) • Gelli era stato fascista, volontario in Spagna con le camicie nere (dove gli era morto il fratello Raffaele), coordinatore del Guf di Pistoia, poi aderente alla Repubblica di Salò e in contatto con Göring. Dopo la guerra, in contatto con la Cia (forse), complice nel golpe Borghese (sarebbe stato incaricato di arrestare il capo dello Stato), amico (a suo dire) di Perón, molto amico (a suo dire) di Andreotti, protagonista nell’affare Gladio. Avrebbe lavorato durante gli anni Sessanta per il Sid con il nome in codice Filippo. Da direttore generale della Permaflex, alle dipendenze del commendator Pofferi, aveva ottenuto un’importante fornitura per le forze armate della Nato. La magistratura lo segnala in collegamento con gruppi eversivi neri, nel 1974 e nel 1976 l’ispettore dell’antiterrorismo Emilio Santillo rende noto (nel suo rapporto numero 3) che Gelli ha scritto prima delle elezioni una lettera ai fratelli di tono «decisamente antimarxista con cui si invita la Democrazia cristiana ad uscire dalla grave crisi in cui versa il Paese, attuando un vasto piano di riforme: controllo radio-televisivo, revisione della Costituzione, soppressione dell’immunità parlamentare, riforma dell’ordinamento giudiziario, revisione delle competenze delle Forze dell’Ordine, sospensione, per due anni, dell’azione dei Sindacati e il bloccaggio dei contratti di lavoro». All’aeroporto di Fiumicino, nel 1982, in una valigia sequestrata alla figlia Maria Grazia, venne trovato un Piano di Rinascita che conteneva concetti analoghi ed era stato elaborato appunto nel 1976 (e, anche se non esplicitamente, nella famosa intervista a Maurizio Costanzo sul Corriere della Sera, Gelli esprimeva, sia pure con la massima prudenza, idee simili) • Intervistato nel 2003 da Concita De Gregorio, ha detto tra l’altro: «Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo». La De Gregorio ha poi osservato: «Quel che rende Licio Gelli ancora spaventosamente potente è la memoria. Lo si capisce dopo la prima mezz’ora di conversazione, atterrisce dopo due. Il Venerabile maestro della Loggia Propaganda 2 è in grado di ricordare l’indirizzo completo di numero civico della prima casa romana di Giorgio Almirante, l’abito che indossava la sua prima moglie quel giorno che gli fece visita a Natale, i nomi dei tre figli di Attilio Piccioni e da lì ricostruire nel dettaglio il caso Montesi che vide coinvolto uno dei tre, ricorda il numero di conto corrente su cui fece quel certo bonifico un giorno di sessant’anni fa, la targa della camionetta di quando era ufficiale di collegamento col comando nazista, quante volte esattamente ha incontrato Silvio Berlusconi e in che anni in che mesi in che giorni, come si chiamava il segretario di Giovanni Leone a cui consegnò la cartella coi 58 punti del piano R, che macchina guidava, se a Roma c’era il sole quella mattina e chi incontrò prima di arrivare a destinazione, che cosa gli disse, cosa quello rispose. Questo di ogni giorno dei suoi 84 anni di vita, attualmente archiviata in 33 faldoni al primo piano di villa Wanda, dietro a una porta invisibile a scomparsa. “Ogni sera, sempre, ho scritto un appunto del giorno. Per il momento per fortuna non mi servono, perché ricordo tutto. Però sono tranquillo, gli appunti sono lì” […] Gelli è in piena attività. Riceve in tre uffici: a Pistoia, a Montecatini, a Roma. Oltre che in villa, naturalmente, ma fino ad Arezzo si spingono gli intimi. Dedica ad ogni città un giorno della settimana. A Pistoia il venerdì, di solito. A Roma viene il mercoledì, e scende ancora all’Excelsior. Le liste d’attesa per incontrarlo sono di circa dodici giorni, ma dipende. Per alcuni il rito è abbreviato. Al telefono coi suoi segretari si è pregati di chiamarlo “lo zio”» • L’ex Gran Maestro Armando Corona, medico, nominato nel 1982 con il compito di ripulire la massoneria dai piduisti, ha dato, in un’intervista a Mario Sechi, una lettura riduttiva del fenomeno Gelli: «“La P2 in realtà era una bolla di sapone, c’erano un sacco di iscritti che non sapevano neppure di cosa si trattasse. Tanta gente era ignorante di cose massoniche, pure qualche giornalista. E moltissimi erano in buona fede. La loggia — e poi macché loggia! — non si riuniva neppure, pensi un po’”. Però lei fu chiamato al Grande Oriente per fare pulizia. E Gelli non era isolato. “Certo che no. Ma allora dobbiamo cominciare a dire come è nata la P2. Il guaio è che in quel periodo era Gran Maestro il professor Lino Salvini, che era un medico, socialista di sinistra”. Il guaio? “Sì, proprio da qui è nato tutto il guaio. Perché gli americani si sono subito chiesti: un Gran Maestro di sinistra? Allora vuol dire che la massoneria appoggerà la sinistra e se scoppia la guerra appoggeranno anche l’altro blocco. Questa si vede benissimo che è una stupidaggine, ma gli americani allora ragionavano così. E, mi creda, questa è la verità”. E Gelli cosa c’entra nel ragionamento degli americani? “Vista la carta d’identità di Salvini, gli americani chiesero di poter costituire in Italia una massoneria di destra. Pensavano di metterla in contrapposizione a quella che loro pensavano fosse di sinistra”. La politica dei due blocchi perfino nella massoneria. Però ancora non c’è traccia del burattinaio Gelli. “Ora ci arriviamo. Succede una cosa semplicissima: nello studio di un grande avvocato gli americani chiesero di cercare una persona per mettere in piedi questa loggia. E chi c’era da questo avvocato? Licio Gelli, che portava le pratiche in ospedale per conto di questo studio. E siccome Gelli era uno svelto, alla fine incaricarono proprio lui. Gelli, che non era stupido, preso subito l’incarico, si insediò e cominciò a raccogliere persone che volevano iscriversi in una massoneria di destra. Il problema è che raccoglieva solo marcantoni scemi oppure ingenui che pensavano così di difendere la patria”. Non sarà stata tutta un’operetta? “Gelli cominciò a crescere. Il numero di persone iscritte saliva. C’erano molti militari e ammiragli. Molte cose furono facilitate dal fatto che quasi tutta la flotta di Napoli si era iscritta alla loggia”. E i soldi per mantenere la baracca? “Loro avevano necessità di finanziamenti e gli americani cominciarono anche a dargli dei soldi. Si dice anche che fossero non pochi. Tanto è vero che quando la P2 si liberò da questa scemenza americana, allora chiesero a Licio Gelli di restituire un po’ di soldi che non aveva investito”. Andreotti ricorda Gelli così: il direttore della Permaflex. Insomma, tutt’al più un esperto di molle e materassi. “In realtà Gelli ebbe proprio dalla Dc l’appoggio per avere la Permaflex. E mi creda, ho scoperto che per lui questo fu un grosso aiuto”. I piduisti e gli ex piduisti a leggere certe cronache sembrano coinvolti in tutti gli scandali d’Italia. “Trame d’Italia? Mah, a quei tempi c’erano di mezzo personaggi strani e influenti, perfino un segretario dell’allora presidente della Repubblica. Ma la loggia in sé non aveva nessuna forza e nessuna filosofia. Era una conventicola di marcantoni che facevano affari ed erano protetti dagli affiliati della guardia di finanza, che era ben rappresentata”» • Appassionato di poesie, un suo volume di versi è stato mandato a Stoccolma ed è stato preso in considerazione per il Nobel. L’editore Brombergs si è proposto di pubblicarlo. L’editore italiano Dino, specializzato in pubblicistica fascista, ha ripubblicato nel 2003 la sua opera prima, Fuoco!, tiratura limitata, copertina in bassorilievo d’argento (la collana ha pubblicato anche un’opera di papa Wojtyla e una di Berlusconi intitolata Cultura e valori di una società globalizzata) • è stato condannato con sentenza definitiva per procacciamento di notizie contenenti segreti di Stato; per calunnia nei confronti dei magistrati milanesi Colombo, Turone e Viola; per i tentativi di depistaggio delle indagini sulla strage alla stazione di Bologna; per bancarotta fraudolenta (Banco Ambrosiano). Il 19 luglio 2005 è stato formalmente indiziato per la morte di Roberto Calvi • Condannato anche alla restituzione di 30 miliardi di lire a titolo di sanzioni antiriciclaggio e illecito valutario. Nel 2000 gli sono stati pignorati 126 lingotti d’oro che aveva depositato nella sede romana della Banca d’Italia e cinque miliardi e mezzo di lire in valuta estera e italiana su un suo conto alla Banca Nazionale del Lavoro. Nel febbraio 2006 il tribunale di Arezzo gli ha messo all’asta villa Wanda, dove nel 1981 era stata trovata la lista. Filippo Ceccarelli: «Notevole, immersa tra i boschi del colle di Santa Maria delle Grazie, in una delle campagne più belle d’Italia, una trentina di stanze, sale e saloni su tre piani, ampie terrazze con capaci e fatali fioriere, tre ettari di parco, campo da tennis, piscina, una cappella consacrata, statue di dee e di putti a rallegrare i viali». Perquisita almeno 40 volte. «In una delle ultime, la più cinematografica, compiuta nella primavera del 1998 con l’indispensabile sussidio dei vigili del fuoco dotati di apparecchiature sfonda-pareti, metal-detector, strumenti geofonici e radaristici, venne scoperta una prevedibile stanza-bunker». Una settimana dopo uscirono fuori 150 chili d’oro in lingotti, per un valore di tre miliardi, nascosti negli orci di terracotta sotto i gerani, le rose e le begonie. Gelli comprò la villa dagli imprenditori del marchio Lebole, da lui aiutati. Villa Wanda da Wanda Vannacci, sua amatissima moglie • Tre figli. Oltre a Maria Grazia, scomparsa in un incidente d’auto, Raffaello, fino al 2001 membro della Commissione permanente per i diritti umani dell’Onu e indagato per contrabbando di sigarette con la Serbia, e Maurizio, arrestato nel 99 dalla magistratura austriaca per riciclaggio.