Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
CELENTANO
Adriano Milano 6 gennaio 1938. Cantante. «Mi dice se è una diceria anche la storia che la Rai le ha chiesto di partecipare al festival
di Sanremo e lei ha detto: “Benissimo, però: 1) devo fare il regista; 2) il presentatore; 3) il concorrente e 4) la giuria”. Poi ha aggiunto: “Non vi preoccupate del conflitto d’interessi, se c’è uno meglio di me lo faccio vincere”. è andata così? “Certo”» (Adriano Celentano ad Antonio D’Orrico) .
VITA è figlio di piccoli commercianti pugliesi immigrati a Milano • «Da bambino giocavo a calcio: ala destra. Ho fatto anche un provino, all’Arena, per entrare nei Pulcini dell’Inter. Ero andato anche bene, ma siccome non avevo voglia di studiare, mio
fratello grande — era lui che mi faceva da padre, perché mio padre era morto — mi impedì di giocare per costringermi a stare sui libri. Così, alla fine, non ho giocato a pallone e ho continuato a non studiare... » (da un’intervista a Luigi Garlando)
• è cresciuto davvero in via Gluck (n. 14): «L’Adriano bambino? “Era un po’ frignùn” dice di lui un altro Adriano, l’Adriano Redemagni, che in cortile tutti chiamavano “el boxeur” e a volte gliele suonava. “Ma va’là, era un tosto”, fa il Gianprimo che abitava al 10. “Un gran fegatoso. Si tirava il fazzoletto sul viso, entrava qui dentro e si sparava tutta la
fogna, al buio tra i topi, rispuntando in piazzetta”. Ma lo chiamavano anche terremoto (biografia ufficiale) e magna marìsc, alla lettera “mangiamoccio” (biografia rionale), visto che aveva qualche difficoltà con il fazzoletto» (Metello Venè) • Mamma Giuditta (in un’intervista di Alberto Ongaro pubblicata dall’Europeo nel 68): «A me bastava che non diventasse un mascalzone, che avesse un mestiere sicuro,
una brava moglie e dei figli e facesse una vita tranquilla. Invece guarda che
figlio mi è venuto fuori. Un re. Tutti gli fanno festa, i ragazzini per strada lo fermano e
lo chiamano per nome, Adriano, Adriano, quando apre bocca tutti si mettono a
ridere, quando canta, poi, un delirio. E io credevo che di tutti i miei figli l’unico che non sapesse cantare, che non avesse neanche la minima idea di come si
canta, fosse lui, Adriano. Cantavamo tutti a casa. Io, le mie figlie, mio
figlio maggiore. Io poi lavoravo a macchina con un libretto di canzoni
napoletane sulle ginocchia e me le imparavo tutte a memoria. Adriano invece
cantava poco, almeno da bambino, e quando si è messo a cantare con quella voce così stramba e con tutte quelle mosse mi pareva che ci fosse da mettersi le mani nei
capelli. Pareva un mascalzone. Era un ragazzo buono, un semplicione sempre
beato e contento, allegro, si divertiva a fare il pagliaccio, a dire stupidate,
a giocare con gli amici. Noi vivevamo in via Gluck, una via di periferia, ed
eravamo poveri. Mio marito faceva il commesso viaggiatore e io facevo la sarta.
Quando mio marito morì io dovetti mantenere tutta la famiglia con il mio lavoro e, lavorando tutto il
giorno, avevo poco tempo per occuparmi dei figli. Adriano la mattina andava a
scuola e il pomeriggio lo mandavo all’oratorio, dai preti, dove giocava al pallone, andava alle funzioni, faceva
quello che gli pareva senza correre rischi. Almeno lo sapevo al sicuro. A
volte, quando dovevo lavorare molto, chiedevo ai preti che me lo tenessero
anche dopo cena, fino alle dieci e mezzo o alle undici, dopo andavo a prenderlo
e lo portavo a casa. Lo sapevo al sicuro, ma ero anche preoccupata per lui. Che
cosa avrebbe fatto nella vita, mi domandavo. Studiare non gli piaceva. Pareva
andasse a scuola soltanto per trovarsi con gli amici e per fare il pagliaccio.
Quando lo interrogavano faceva quei discorsi strambi che ora fa alla
televisione, diceva quelle cose senza senso che dice anche adesso. “Celentano vieni fuori”, gli dicevano. “Chi io?”, rispondeva, “io chi?”, si guardava attorno come se stesse cercando qualcuno e tutti ridevano. Insomma
faceva spettacolo. All’oratorio idem. Un prete parlava e lui gli faceva il verso, faceva le prediche ai
ragazzini come lui, come se fosse un prete: altro spettacolo e altre risate.
Quello lì non può andare avanti tutta la vita a far ridere, mi dicevo, bisogna trovargli un
mestiere. Quando lasciò la scuola alla seconda commerciale lo mandai a lavorare. Ma lui passava da un
mestiere all’altro come se niente fosse e dove andava faceva sempre le stesse cose, gli
stessi, come si dice?, sketch, diceva le solite stupidate. Quando poi si mise a
cantare e a suonare, a portare in casa amici che cantavano e suonavano e a
uscire la sera con gli amici per andare a cantare e a suonare, cominciai a
preoccuparmi sul serio. Sta’ a vedere, pensavo, che vuol diventare artista di varietà. Sta’ a vedere che diventa un mascalzone»
• Esordio al Santa Tecla di Milano, cui segue (maggio 57) il debutto al Palazzo
del Ghiaccio accompagnato da un complesso di cui facevano parte Gaber, Jannacci
e Tenco: «Avevo un amico che lavorava in una ditta americana, mi disse: sai, a giorni
arriva quella musica che sta spopolando in tutto il mondo, e a noi ci arriva
cinque mesi prima. Io, ero scettico, perché non l’avevo mai sentita, però leggevo che i giovani sfondavano tutto nei cinema, che c’erano sempre tafferugli, non capivo, sembravano matti, ma ero anche curioso. Io
a quell’epoca aggiustavo gli orologi in casa, non cantavo neanche, suonavo un po’ l’organetto a bocca, fischiettavo sì e no, ero fuori da qualsiasi orbita musicale, anche se in casa mia cantavano
tutti. Bene, era d’inverno, e verso le sei di sera arriva questo mio amico, io ero al banco ad
aggiustare un orologio, e senza neanche girarmi gli dico: mettilo su, avevo la
testa china sull’orologio, lui ha messo a volume alto, guarda caso si chiamava
L’orologio matto, e sono rimasto folgorato. Ho smesso di girare il cacciavite, alla fine ho
tolto la lente, ero senza parole, mi dissi: adesso capisco perché succedono tutte queste cose, ci voleva. L’amico mi ha lasciato il disco, io ero come in trance, lo ascoltavo in
continuazione, e ho sentito la necessità di impararlo a memoria e cantarlo, era come una malattia, una droga. Bill Haley
la cantava in si bemolle, che non è la mia tonalità, e così non ci riuscivo. Mi sforzavo, ma mi sono sforzato così tanto che forse lì mi è aumentata l’estensione della voce. Alla fine l’avevo imparata talmente bene che gli americani pensavano che sapessi l’inglese, invece non lo so neanche ora. Gli amici della via Gluck per prendermi
in giro, una volta che eravamo in un posto che si chiamava la Filocantanti,
dissero che c’era un amico che conosceva il rock’n’roll, praticamente mi hanno sbattuto sul palco. C’era il gruppo che mi chiese: “In che tonalità?” E io: “E che cos’è la tonalità?”. “Insomma alto o basso, come la canti?” Poi dissero “noi partiamo e poi tu”. E io “no, parto io, perché il pezzo è così”, e l’ho cantata dall’inizio alla fine. Da quel momento la mia vita è cambiata, prima dovevo fare fatica per ballare con le ragazze, poi vennero loro
a chiedermi di ballare. Un anno dopo frequentavo il Santa Tecla, e si era
sparsa la voce che a Milano c’era uno che cantava il rock’n’roll, e Bruno Dossena, che era campione di boogie woogie organizzò al Palazzo del Ghiaccio il primo festival mondiale del rock (maggio 57), che
ovviamente non era vero. Ma in Europa effettivamente era il primo, non c’erano cantanti, neanche in Francia, Johnny Halliday arrivò due o tre anni dopo e cominciò cantando un mio pezzo,
Ventiquattromila baci. Dunque, c’erano otto orchestre di rock e un cantante solo che ero io: avevo racimolato la
mia band, al pianoforte c’era Jannacci. Poi però ci hanno bloccato, è successo un casino, anche perché Dossena l’aveva organizzato così bene che c’erano cinquemila persone dentro e cinquemila erano rimaste fuori. Dopodiché con quel gruppo non si riuscirono a fare le serate perché la polizia bloccò tutti i concerti di rock’n’roll. Oggi sembra incredibile, ma faceva un po’ paura. Allora a Dossena gli venne in mente di organizzare al Teatro Nuovo un
processo al rock’n’roll. Andò a parlare con la polizia e disse: “Organizziamolo proprio per dire che non devono dare troppo in escandescenze”. La polizia accettò, e quindi al Nuovo ci fu lo spettacolo. Prima di cantare dissi al pubblico che
rischiavamo di non lavorare, “quindi applaudite, ma non troppo”. C’era anche Gaber che suonava con me. Io mi diverto con tutto, ma mai come col
rock, è una fiamma che si è accesa e non si è mai più spenta. Il rock è come un fantasma che ogni volta si presenta e dice “ci sarò nel disco”. Poi magari decido di no, ma questo pensiero c’è sempre» (da un’intervista di Gino Castaldo)
• Nel 59 vince il Festival di musica leggera di Ancona con Il tuo bacio è come un rock, che scala subito la classifica dei dischi più venduti. Nel 61 è a Sanremo con Ventiquattromila baci. Canta dando le spalle al pubblico, arriva secondo, diventa famosissimo • «Non doveva neanche partecipare perché era soldato e andammo a chiedere aiuto ad Andreotti il quale si lesse il
regolamento e scoprì che non si ponevano limiti agli spettacoli televisivi e dunque Adriano poteva
andare a Sanremo. Il regolamento, naturalmente risaliva agli anni Venti quando
la tv non c’era» (Piero Vivarelli, autore di Ventiquattromila baci, a Gianni Borgna) • Prima ancora di fare il cantante aveva provato a sfondare in Rai facendo l’imitazione di Jerry Lewis (respinto). Adesso quello storcer di gambe gli tornava
comodo: saltava di qua e di là, muoveva le anche come un pazzo, urlava da spaccare i timpani. Claudio Villa,
leader dei melodici: «Ma con una voce così bella perché fa tutto ‘sto casino?» • Siccome aveva imparato un po’ di sartoria dalla madre, si faceva i pantaloni da solo • «Da subito, a fine Cinquanta quando lambì i primi posti con Il tuo bacio è come un rock, lo chiamarono “Il Molleggiato”, in una versione italo-democristianizzata di “The Pelvis” (che era Elvis Presley): i fianchi infatti li scuoteva pure lui, d’istinto, con un corpo rimasto snello e nervoso fino ad ora che i decenni son
passati e i capelli son caduti. Prendeva in prestito le immagini da Oltreoceano
di quel re del rock amato dai ragazzi e temuto dagli adulti, e cantava in
inglese maccheronico: gli premevano le assonanze e comunque si faceva capire» (Marinella Venegoni) • «All’inizio degli anni Sessanta, quando a fare i reportage per L’Europeo ci andava Oriana Fallaci, Sanremo ha lanciato gli urlatori, e
soprattutto Mina e Celentano, che rappresentavano l’immagine anche fisica di una clamorosa innovazione di voci e di gesti, che
importava un’America teppista. Può darsi che allora, quando i Sixties erano ancora ben lontani dall’essere “fab”, l’ex Baby Gate e l’insolente Adriano fossero effettivamente gli emblemi di un paese giovane, che si
liberava a strattoni dai codici. Una generazione cresciuta fra l’hulahoop, lo scubidù, il twist e il fantasma del sesso» (Edmondo Berselli)
• Sempre nel 61 crea il Clan, che pubblica subito Stai lontana da me (versione italiana di Tower of strength di Bacharach) vincitrice nel 62 del primo Cantagiro. Il Clan è nello stesso tempo casa discografica e comunità di amici (molti di questi amici, non troppi anni dopo, lo molleranno e
parleranno di lui come di un despota insopportabile) • A quel punto Celentano è stato scoperto anche dal cinema: ha debuttato nel 60 con Il tuo bacio è come un rock e ha poi girato altri quattro film. Nel 63 lo ingaggiano per Uno strano tipo, regia di Lucio Fulci. Fa la parte di un celebre cantante rock chiamato Adriano
Celentano e tormentato da un sosia. Nel cast c’è anche Claudia Mori • Si sposano nel 64 (matrimonio notturno, segreto, a Grosseto). Lei è «figlia di un muratore comunista romano, quartiere Testaccio, “morto di troppo lavoro”. Popolana e bellissima. Le veniva attribuito un flirt con il calciatore oriundo
Lojacono, che lei rivendica, ridendo, anche oggi, “un fusto pazzesco”. Adriano già divo incontrastato del rock all’italiana, Claudia attrice leggera in ascesa. Nessuno dei due timido. Il loro
incontro fece faville, un amore intenso e burrascoso, da cinema. A suo modo,
Celentano inventò (tra le mille altre cose) anche il primo reality-show, senza bisogno di
televisione. I suoi amici diventarono “il clan”, lui e Claudia “la coppia più bella del mondo”, la vita privata elaborata in saga canora, in spettacolo popolare» (Michele Serra)
• Gli anni Sessanta sono una sfilza di trionfi: Pregherò (versione italiana di Stand by me), Grazie, prego, scusi, Ciao ragazzi ecc. Altri grandi successi Il ragazzo della via Gluck (66), Azzurro (di Paolo Conte, 68), La coppia più bella del mondo (67, ancora di Conte), Chi non lavora non fa l’amore (vincitrice al Festival del 1970), eseguite entrambe in duo con la moglie
Claudia Mori • Filosofia di Celentano a questo punto: ecologismo (la via Gluck), Gesù (Chi era lui). Antipatia per il sindacato e gli scioperi (Chi non lavora non fa l’amore) e per la nuova generazione dei capelloni, quelli che stanno facendo il
Sessantotto (Torno sui miei passi). Un rockettaro conservatore in un mondo che va sempre più nettamente, specialmente sul piano del gusto, a sinistra. «Sta di fatto che quando Celentano nel 66 cantò Il ragazzo della via Gluck (bocciata al primo turno) riuscì a vedere i problemi dell’urbanizzazione, ma anche l’anomia metropolitana, la desolazione di “case su case, catrame e cemento”. Ciò che per Adriano in seguito sarebbe diventato una fissazione, in quel momento
festivaliero era un’intuizione. Ma lo stesso Celentano, che quattro anni più tardi canta con Claudia Mori la temibile Chi non lavora non fa l’amore, in cui il sesso coniugale è moneta di scambio e strumento di ricatto, reagisce all’autunno caldo con tutta la sua psicologia da maggioranza silenziosa, da
incallito estremista di centro» (Berselli) • «Quando tirai fuori Prisencolinensinanciusol, un pezzo che ha preceduto il rap di dieci anni, in Italia non successe niente.
Passarono sei mesi e mi chiamò la Cgd per dirmi che dovevo pensare a un nuovo pezzo da far uscire a breve, e
io dissi, ma no il pezzo ce l’ho già, è già inciso. Come, risposero, hai già inciso il pezzo e non ci dici niente? Ma no, dico io, lo conoscete bene, è Prisen... Contemporaneamente arrivò dalla Francia uno di una radio libera, molto seguita dai giovani, dicendo che
voleva comprare dei pezzi miei, e dopo averne ascoltati un po’disse voglio questo, ed era Prisen. Il direttore artistico della Cgd gli spiegò che il brano in Italia non aveva fatto nulla, e lui disse, ok, ma io lo prendo
lo stesso, lo mise in radio ed ebbe un sacco di richieste, e io allora — per contratto potevo farlo — ho imposto di ripubblicare il pezzo dopo un anno. Ha venduto un milione di
copie, un milione in Francia, lo stesso in Germania e in altri paesi dove non
sono mai stato»
• «In Francia e in Germania ci sono andato perché potevo arrivarci in macchina. Ma in America è diverso, mi arrivano ancora oggi offerte addirittura sconvolgenti, per quanto
riguarda le cifre, ma non sono mai andato per paura di volare. Sono andato solo
una volta in Russia, ma fu un’eccezione perché avevo fatto il film Joan Lui (su Gesù che ritorna ai giorni nostri) e ricevetti una lettera dal Cremlino in pieno
comunismo, c’era Gorbaciov che era appena andato su, e la lettera diceva che erano
interessati, allora mi dissi: a questo punto diventa una missione e quindi devo
andare in Russia, non può cadere l’aereo, e infatti andai in aereo senza paura, e l’aereo barcollava tantissimo, c’era brutto tempo e alla fine ero io che tranquillizzavo gli altri, per me era un
segno, quella volta l’aereo non poteva cadere. C’è stato un passaparola straordinario. In Russia, mi dicevano, circolavano
migliaia di cassette clandestine con le mie canzoni»
• Dopo il bel successo di Serafino, di Pietro Germi (1968 con Ottavia Piccolo), gli anni Settanta sono quelli del
cinema. In particolare: Er più (71), Bianco, rosso e… (con Sophia Loren e un’Alessandra Mussolini di nove anni), L’emigrante (73), Rugantino (73), Yuppi Du (74, di cui è anche regista), Geppo il folle (78, idem), Il bisbetico domato (80), Innamorato pazzo (81). Questi ultimi due con Ornella Muti • «Claudia Mori e Adriano Celentano. Una coppia affiatatissima, almeno all’apparenza. La coppia più bella del mondo. Poi a un certo punto fra i due compare, sui giornali
specializzati in gossip, Ornella Muti, l’amante. è la fine? Passano alcuni mesi e la coppia Mori-Celentano si ricompone. Celentano
torna all’ovile. Claudia Mori dimentica. La famiglia, la fede, l’amore sono più forti di tutto. Vince il perdono. Signora Mori, bisogna perdonare? “Bisogna perdonare. Almeno la prima volta. La seconda si può perdonare con fatica”. La terza? “La terza no, è troppo. Se il tradimento è un incidente di percorso, si può superare. Se diventa una pratica costante il perdono perde significato. Vuol
dire che non esiste la coppia. Che senso ha rimanere insieme a una persona che
tradisce continuamente il nostro amore?” Tra lei e Adriano come andò? Era vero quello che scrissero i giornali? “La persona potrebbe non essere quella di cui si parlava ma il fatto è successo veramente. E noi siamo stati molto bravi a superarlo”. Come lo scoprì? “Lo sapevo, ma non gli chiesi nulla. Lui me ne parlò spontaneamente”. E lei lo perdonò? “Eravamo sposati da 15 anni. Eravamo entrati in crisi. Io mi ero allontanata. Non
ne potevo più di quella famiglia allargata che era il clan Celentano. Il nostro matrimonio
era basato sull’amore e sull’allegria ma in quel momento quella famiglia così poco privata mi aveva fatto sentire troppo esposta. Glielo avevo detto ad
Adriano ma lui non capiva. Avevo una crisi di maturità che lui non aveva. Gli dissi: o le cose cambiano o me ne vado”. E lui? “Lui soffrì molto. Ma non parlammo mai di separazione”» (Claudia Mori a Claudio Sabelli Fioretti)
• «Non c’è niente in quella storia che non somigli a una qualsiasi crisi di coppia, alla
fuga di una moglie, alla solitudine e al dolore di un uomo, a un cedimento
erotico consolatorio» (Claudia Mori a Stefania Rossini dell’Espresso, a proposito del tradimento di Celentano con la Muti) • Gli anni Ottanta — in calo i successi del cantante, dell’attore e del regista — sono quelli del boom televisivo. Celentano viene chiamato a condurre Fantastico 8 su Raiuno nel 1987-88. Il risultato è enorme sia in termini di audience che di eco critica: Celentano sta lungamente
in silenzio davanti al video in modo insopportabile, poi pronuncia discorsi
sconclusionati di contenuto ecologista o moralista o addirittura religioso
suscitando lo scandalo soprattutto della sinistra. Giorgio Bocca lo battezza «un cretino di talento» (perché il programma, ad onta delle storditaggini del conduttore, ha indubbiamente
successo), il resto dell’establishment culturale — compresi i Veltroni, i Biagi, gli Scalfari che dopo il
Rockpolitik del 2005 gli hanno innalzato un monumento — lo fa a pezzi • Da allora, ogni arrivo di Celentano in tv è stato un evento (con gigantesche ricadute in termini di audience). Dopo Svalutation del 1992 (titolo mutuato da una sua canzone del 76) e Francamente me ne infischio del 99, grandi polemiche ha suscitato, già in fase di avvio, la trasmissione del 2001 che Celentano voleva ad ogni costo
chiamare 125 milioni di cazzate. Intorno a questo titolo partì un’estenuante trattativa con la Rai • «Caro Adriano Celentano, trovo anch’io un po’eccessivo il titolo 125 milioni di cazzate. è meglio evitare un muro contro muro che non gioverebbe a nessuno. Io direi così: offrire 120, e poi accordarsi su 115. 115 milioni di cazzate. Così è molto più ragionevole» (Adriano Sofri sul Foglio, 19 aprile 2001) • Il programma si chiamò poi 125 milioni di caz… te e sembrò un gran successo che si fosse salvata almeno una zeta • Spiegazione del dj Linus di come Adriano Celentano e i suoi autori stanno
preparando i testi per la nuova trasmissione del cantante su RaiUno: «Si va tutti a casa sua a Galbiate, al mattino, e si sta tutta la giornata lì. Ci sono la pausa pranzo, la pausa merenda, la pausa passeggiata nel parco. E
intanto si fa partire il decoder, perché con Celentano il ruolo dell’autore è soprattutto quello del decoder: cercare di capire e decodificare quello che lui
più o meno ha in mente e cercare di dargli una forma un po’più concreta. Ricordando una cosa fondamentale: non sto scrivendo il mio programma
ma sto dando una mano ad Adriano a fare il suo. Il programma è lui»
• «La testa di Celentano è molto meno complicata della testa di chi fa televisione oggi» (Tommaso Pellizzari) • Infine, nel 2005, RockPolitik la sua ultima apparizione televisiva: «Giovedì 20 ottobre, più o meno alle 21, è andato in onda su Raiuno il temuto RockPolitik di Celentano: scenografia di Gaetano Castelli che vuol rappresentare (crediamo)
l’intero mondo di oggi e di ieri e la confusione nella quale viviamo, tre sedie
vuote, che attendono i censurati Rai di Berlusconi — cioè Biagi, Grillo e Luttazzi —, foto di Biagi e scritta con le sue parole: “Grazie per l’invito, ma non posso entrare nella rete che mi ha impedito di lavorare”. Il quarto invitato era Michele Santoro che aveva fatto sapere di essersi
dimesso dall’Europarlamento per poter partecipare al programma. Eccolo arrivare, infatti,
impacciato, parla un italiano zoppicante, dà l’impressione di avere un groppo in gola. Non nomina Berlusconi, dice che tornerà presto in video, invita i “suoi” a prepararsi, poi esclama: “Viva la fratellanza, l’uguaglianza, viva la cultura, viva la libertà”. Dopo di lui il comico Cornacchione fa finta di essere un berlusconiano doc e
ridicolizza il Cavaliere, Maurizio Crozza sulla musica di Bamboleo canta “Ho sognato Che Guevara e c’è Bordon” e realizza così una specie di par condicio. Celentano fa vedere una classifica dell’associazione Freedom of the Press, dalla quale l’Italia risulta un paese semilibero, che occupa il 77° posto nella graduatoria mondiale della libertà di stampa. Il cantante va a chiedere ad Alfredo Meocci, direttore generale
della Rai, seduto in prima fila, se si sente tranquillo. Meocci: “Stasera l’Italia è salita nella classifica della libertà. Hai attaccato Raiuno e siamo su Raiuno”. L’atteso, tradizionale monologo delle 22.30 mette insieme bambini, ecologia,
illuminismo, bruttezza e bellezza, eccetera. Durissimo attacco ad Albertini,
sindaco di Milano. Tutto il programma viene giocato sulla distinzione tra ciò che è rock, cioè bello, e ciò che è lento, cioè brutto. Per esempio, il Papa è rock, la politica è lenta. Adriano fa anche sentire delle canzoni. Non esegue
Azzurro in playback e si percepisce che la voce non è più quella d’una volta. Del resto, fra tre anni ne farà 70. Gli ascolti sono stati mostruosi: più del 47 per cento di share, undici milioni e seicentomila spettatori di media,
distribuiti tra tutte le fasce d’età. Numeri che non si vedevano dal Fantastico 8 del 1987. Berlusconi è stato quasi zitto per un paio di giorni, poi Bruno Vespa ha rivelato quello che
pensa (frasi virgolettate che saranno stampate nel suo prossimo libro): “Celentano non è un fatto nuovo, è dal 2001 che vengo attaccato ogni giorno dai comici della Rai, Serena Dandini,
Sabina Guzzanti, Gene Gnocchi, Enrico Bertolino, Dario Vergassola, Corrado
Guzzanti e altri che cerco di non tenere a mente”. La sinistra ha difeso a spada tratta il cantante (che all’epoca delle sue prime esternazioni veniva invece definito “un cretino di talento” e ormai s’è meritato la qualifica di “artista”) e ha definito “nuove liste di proscrizione” i lamenti del premier. Però ci sono interessanti voci in disaccordo, sia di qua che di là. Giuliano Ferrara ha sciolto un peana a Celentano (“Un vero, grande maestro”), Casini lo ha elogiato senza riserve. Milena Gabanelli, che fa la giornalista
sul serio e negli schemi giornalistici viene attribuita alla sinistra, ha
smontato la classifica di Freedom Press: “Ma quella è una raccolta di opinioni, senza nessun valore scientifico”. Commento di Gianni Mura su tutta la faccenda (su Repubblica): “Se la nostra libertà è tutelata da Celentano tanto vale chiedere asilo a Lugano. Ho cercato su alcuni
quotidiani esteri un qualche commento a una sera fondamentale per la democrazia
italiana. Manco una riga. Mi sono un po’ consolato, non ero riuscito a commuovermi per la bieca epurazione di Santoro e
quindi non potevo esultare per il suo ritorno sul video, manco fosse stato vent’anni in ceppi all’isola di If. Sempre lui che a prendere i soldi di Berlusconi c’era andato, e senza cantare sulla strada di Arcore non dico
Bella ciao, ma neanche Sciur padron da li beli braghi bianchi. Da calcolare: se Celentano fa quasi il 50 per cento d’ascolto con 12 milioni di spettatori, significa che 24 milioni di italiani
guardano la tv. Fino a qualche anno fa erano 30. Questo significa che 6 milioni
di italiani si sono allontanati dalla tv. Se a questo 20 per cento aggiungiamo
il 20 per cento che si è allontanato dagli stadi...”» (Giorgio Dell’Arti) • Ultimi album da segnalare: il Mina-Celentano del 98 (1.500.000 copie vendute), Io non so parlar d’amore (con Mogol e Gianni Bella, 1.800.000 copie), Esco di rado e parlo ancora meno (con gli stessi, 1.200.000 copie) • Tre figli. Nell’ordine: Rosita, Giacomo e Rosalinda. Tutti impegnati nel mondo dello spettacolo • Nel 1982 ha raccontato la storia della sua vita a Ludovica Ripa di Meana (Il paradiso è un cavallo bianco che non suda, Sperling & Kupfer)
COMMENTI «Con il suo monologo anti-politico e contro la caccia svelò l’arcano del potere della televisione, e da sinistra lo massacrarono, ma solo
Ermanno Olmi si sforzò di far capire semplicemente che lo straordinario di Celentano è che si offre come una perfetta immagine “all’italiano qualunque”. E qualunquista, appunto, era l’epiteto meno pesante che si beccava dalla sinistra che ora lo considera un
profeta. L’Unità, con tanto di titolo in prima pagina, ancora nell’aprile dell’88 strillava: “Torna Celentano. Da Fascista”. E fa sorridere rileggerli ora, tutti insieme, certi commenti dell’intellighenzia progressista, raccolti nell’introvabile e ottimo
Questa è la storia... di Aldo Fittante, biografia celentanesca pubblicata da Castoro negli anni bui
dell’emarginazione del fu Molleggiato. Per Camilla Cederna era solo “un caso demenziale”, per Sergio Saviane “un sordomuto fintotonto, imbecille, col cervello pieno di segatura”: e citiamo solo i colleghi eccellenti che non possono più ricevere querela. Umberto Eco, che pensava ai telepredicatori americani, arrivò addirittura a scrivere, di sicuro per “celentaneggiare” anche lui: “Va in fumo il Concilio di Trento, se sulla rete carismatica della tv di Stato si
pone un personaggio che mima alla perfezione le tecniche dei carismatici
americani”. Precisa l’intuizione del futuro direttore girotondista di Micromega Paolo Flores d’Arcais, che il 3 gennaio del 1988 sentenziò: “Celentano è un sintomo del peronismo strisciante che attraversa l’Italia”» (Paolo Martini)
• «Perché gli ospiti vanno in televisione? Per promuovere qualcosa. Ma io sono un
dilettante rasoterra al confronto di Celentano. La parte più fantastica dei suoi contratti con la Rai non è la barca di miliardi che gli danno. Con uno starnuto di Celentano ci paghiamo
un anno di Porta a porta. ma che dire degli spot che gli fanno per sei mesi, dei dischi che promuovono?» (Bruno Vespa) • «Celentano deve poter dire quel che vuole. Lui si è sempre occupato dell’ambiente e della vita, a modo suo. Pericoloso non è Celentano, pericolosi siete voi e le vostre interpretazioni. Pericolosa è la politica che istituisce una commissione per vigilare sulla tv, mentre
dovrebbe essere la tv a vigilare sulla politica» (Beppe Grillo) • «Celentano non sopporta neppure il controllo di se stesso su se stesso» (Michele Serra) • «La televisione è lenta, i Simpson sono rock, vincere è rock, doparsi è lento, farsi intervistare è lento, fare un monologo è rock» (Valentino Rossi da Celentano) • «è un insulto ai lavoratori e alla loro causa. Io, signor padrone non l’ho mai detto e non lo dirò mai a nessuno» (Sergio Endrigo, terzo a Sanremo 1970 con L’arca di Noè, su Chi non lavora non fa l’amore, arrivata prima) • «Un testo in cui l’amore (cronometrizzato, taylorizzato) viene ridotto a pura gestualità meccanica, e per ciò completamente demistificato» (Gianni Borgna, oggi assessore diessino alla Cultura al Comune di Roma, su Ventiquattromila baci) • «Si sono violate, in maniera gravissima, tutte le regole del servizio pubblico:
insulto alla Corte costituzionale, appello contro i partiti, pronunciamento per
il boicottaggio dei referendum, per di più nel giorno di rispetto degli elettori. Ciò è avvenuto per iniziativa di un personaggio dello spettacolo scopertosi
improvvisamente predicatore elettronico di un qualunquismo tanto rozzo, quanto
pericoloso» (Walter Veltroni, all’epoca responsabile del settore Propaganda e informazione della direzione del
Pci, il 7 novembre 1987, dopo la puntata di
Fantastico 8 in cui Celentano invitava a scrivere sulle schede referendarie: “La caccia è contro l’amore”) • «Adriano Celentano è un cretino di talento; Dario Fo un cretino di supertalento» (Giorgio Bocca dopo la puntata di Fantastico 8 col duetto tra i due su «il caval galoppa, il cammello invece trotta») • «Ancora tre giorni fa l’ineffabile Celentano dai teleschermi della Rai ha detto di non essere né di sinistra né di destra e neppure di centro. “Se vi dicessi come voterò — ha aggiunto — sposterei 4 o 5 milioni di voti, ma non lo dirò” e giù una tirata contro il trapianto di organi e le biotecnie che salvano le vite.
Non darei molto peso a questi goffi tentativi di manipolazione delle opinioni
ma lamento invece un’afonia di messaggi che pongano gli elettori di fronte a una scelta responsabile
di identità e di futuro». (Eugenio Scalfari, 29 aprile 2001)
• «Mi sembra assolutamente precoce questa adozione di Adriano Celentano alla
sinistra, e lo dico senza esitazione. I giornali dell’area non fanno alcun distinguo. Invece per me Celentano resta il qualunquista di
un tempo. Prendiamo Chi non lavora non fa l’amore, uno slogan falso dal punto di vista sociologico, escludo che le mogli degli
operai allora ragionassero così» (Pancho Pardi su RockPolitik).
FRASI «Il comico più grande è Dio, dopo viene Gesù. è un essere simpaticissimo, un mattacchione, scherza e gioca sempre. Proprio come
me» • «Sono il re degli ignoranti».
POLITICA «Che si faccia passare Celentano per uomo di sinistra mi sembra ridicolo. Ha idee
da primo Ottocento» (Enzo Iacchetti) • «Berlusconi è partito dal niente proprio come me, perciò penso che sia un perfetto ragazzo della via Gluck».
TIFO Interista. Tifo dichiarato fin dal 1967 (Eravamo in centomila) • «Celentano l’ha messa tra i lenti. “In verità io sono un po’ lento e un po’rock. Lui è interista”» (Moggi a Enrico Maida).
VIZI «L’atto sessuale è per esempio sapere che se voglio, adesso, chiamo mia moglie in cucina e gli
tiro giù le mutande, e la violento sul tavolo o davanti ai fornelli» • «Io la Claudia l’ho sempre considerata una cosa mia, che potevo toccarla, alzargli le vesti a
bruciapelo, metterle una mano nel sedere. Anche in mezzo alla strada, in
piazza, davanti agli altri, alzargli le cosce, che lei ha delle belle cosce,
però che posso toccarle soltanto io» • Ha paura non solo dell’aereo ma anche delle gallerie: quando si sposta, specialmente nelle zone di
montagna, per evitarle è costretto a lunghissime deviazioni • Superstizioso: «Adriano (e tutti noi sappiamo quali sono i suoi rapporti con la stampa) ha
sempre pensato che qualsiasi notizia o pettegolezzo inerente alla lavorazione
del film venga messa in giro non serva altro che a nuocere al film stesso. E
che meno si parla di un film durante la sua lavorazione, meglio è» (Pipolo) • Gli piace il poker • Nella casa milanese dei piccoli Celentano, un tavolo sempre apparecchiato per
sei. Alla richiesta di spiegazioni (in famiglia erano in cinque), “papà ci raccontava che il sesto posto era per Gesù”» (Rosita Celentano).