Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
CACCIARI
Massimo Venezia 5 giugno 1944. Filosofo. Politico della Margherita. Sindaco di Venezia (dal 93 al 2001 e di
nuovo nel 2005) • La sua candidatura a sindaco di Venezia alle amministrative del 2005 ha fatto
molto clamore. Il centrosinistra siglò un accordo con i Verdi e con Rifondazione per candidare a sindaco il magistrato
Felice Casson. Dall’accordo era sostanzialmente fuori la Margherita, che voleva proporre l’avvocato Alessio Vianello, un uomo di Cacciari. Bocciato Vianello e non essendo
d’accordo sulla candidatura di un uomo che fino a poco prima aveva fatto il
magistrato in città, Cacciari decise di candidarsi e presentò il suo nome poche ore prima che scadessero i termini. La polemica tra lui e
Casson, e a livello nazionale tra la Margherita e i Ds, sembrava preannunciare
le divisioni che lo schieramento di centrosinistra avrebbe dovuto affrontare
nel 2006 a livello nazionale. Al primo turno nessun candidato superò il quorum del 50 per cento. Ma i due più votati, destinati al ballottaggio, risultarono proprio Casson e Cacciari. Nel
turno decisivo, il 18 aprile 2005, prevalse poi Cacciari, benché al primo turno fosse stato distanziato da Casson di ben 14 punti (37,68 a
23,22). Lo fecero vincere - mandandolo di un soffio oltre il 50 per cento - i
voti di centrodestra. Casson fu sconfitto anche perché una parte degli elettori non gradì la sua alleanza con i Verdi, nemici dichiarati del Petrolchimico di Marghera
• «Sindaco della Serenissima, ex deputato comunista, barbuto cugino del musicologo
d’estrema destra Piero Buscaroli, ha sdoganato nella cultura della sinistra
italiana il “pensiero negativo”, a cominciare da quello del sulfureo Nietzsche. Nei suoi libri filosofici, ama
molto le maiuscole e le parole fratturate che diano il senso della profondità (tipo “de-cidere”, al posto di “decidere”) ma nei suoi interventi politici il sindaco di Venezia abbandona le abissali
oscurità e diventa incisivo e caustico. Celebre la risposta a chi gli chiedeva se non
avesse per caso voglia di iscriversi al Psi: “Non ne ho bisogno, sono già ricco di famiglia”» (Pietrangelo Buttafuoco)
• «A che cosa mira e dove approda la sua irrequieta ricerca? Che cosa ha
rappresentato per la cultura italiana? Tutti ricordiamo le movimentate
esperienze intellettuali e politiche attraverso cui il giovane Cacciari maturò il proprio inconfondibile stile di pensiero. Interveniva allora con
stupefacente versatilità e incisività in molti campi: in filosofia, arte, letteratura, politica ed economia. Si era
nei turbolenti anni Settanta, e più che alla costruzione di una filosofia Cacciari lavorava a un intrepido
sfondamento dei blocchi compatti delle ortodossie attraverso una
riconsiderazione delle esperienze più intriganti della modernità: la letteratura e le filosofie della crisi primonovecentesche (Musil,
Hofmannsthal, Roth, Kraus, Loos, Spengler, Wittgenstein), la cultura di Weimar
(in particolare Weber e Rathenau), il decisionismo di Schmitt ed Jünger, il pensiero ebraico (Rosenzweig). Un’operazione trasversale che ebbe il merito non solo di provocare scompiglio nell’autocomprensione della sinistra e di sollecitarne un rinnovamento, ma anche di
riscoprire e sdoganare autori, testi e passaggi storico-concettuali dimenticati
od ostracizzati. L’eclettismo delle sue ricerche non gli ha impedito peraltro di tracciare solchi
profondi nel dibattito filosofico e politico. Ha lasciato il segno, per
esempio, la sua individuazione e valorizzazione di quella corrente di “pensiero negativo”, antidialettico e nichilistico, che attraversa il pensiero moderno, e che nella
Distruzione della ragione Lukács aveva rabbiosamente bollato come irrazionalismo. Contro l’anatema marxista, e in parte contro la cultura einaudiana allora dominante in
Italia, in
Krisis (1976) Cacciari riabilitava tale pensiero come espressione di un’intellettualità disincantata e come punta avanzata dell’autocoscienza borghese. E ciò gli consentiva di sfruttare per un’analisi critica del presente alcune intuizioni portanti del nichilismo europeo.
Un altro solco profondo lo ha tracciato con la sua prima produzione adelphiana:
Dallo Steinhof (1980), Icone della Legge (1985), L’Angelo necessario (1986). Termine di confronto è qui la modernità letteraria, filosofica, artistica e musicale, che nella baldanzosa immagine
delle avanguardie appare come la definitiva liquidazione dell’antico e della tradizione. Cacciari invece ha portato alla luce le “erranti radici” del mondo moderno, le sue sfuggenze, i conflitti senza conciliazione, i
sentieri interrotti, l’assenza di un nomos condiviso. Di qui l’esigenza di riattivare risorse simboliche ancora praticabili. Come quella del
Politico, riconsiderata nell’importante dittico filosofico-politico adelphiano:
Geofilosofia dell’Europa (1994) e L’Arcipelago (1997). Ma soprattutto quella del Sacro e del Religioso. Un’apertura che inizialmente, nel mezzo del dibattito sulla secolarizzazione, lo
poneva decisamente in controtendenza. E spiazzava molti atei di principio. Dell’Inizio (1990) ha costituito la coerente e coraggiosa elaborazione speculativa di quest’apertura: Dio, il Principio, l’Assoluto, nella sua abissale ineffabilità, è qui posto di nuovo al centro della filosofia» (Franco Volpi) • Alle voci di una sua storia con Veronica Berlusconi, diffuse da battute
pubbliche dello stesso Berlusconi, ha replicato così: «Veronica non la conosco. Sua figlia Barbara è una mia brillante allieva».