Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
CARRETTA
Ferdinando Parma 7 novembre 1962. Il 4 agosto 1989 uccise a colpi di pistola il padre Giuseppe, la madre Marta Chezzi e il fratello Nicola nella casa
di famiglia a Parma. Negli anni seguenti, si disse che i Carretta (Ferdinando
compreso) erano fuggiti ai Caraibi. Ritrovato 10 anni dopo a Londra e
processato da reo confesso nel 1999, fu assolto per incapacità totale di intendere e di volere. Ha passato sette anni e mezzo in ospedale
psichiatrico giudiziario a Castiglione delle Stiviere (Mantova), uno e mezzo in
comunità a Barisano (Forlì), dal 9 febbraio 2008 in libertà vigilata. Diplomato in ragioneria, si occupa della contabilità della cooperativa Coforpol. «Quel giorno sono morte non tre ma quattro persone»
• «Il padre Giuseppe, capocontabile della ditta vetraria Cerve, era stato a lungo
il suo obiettivo e quella sera d’estate, col camper già carico davanti a casa, Ferdinando mise in atto il suo piano da perfetto serial
killer. Ha atteso in corridoio che il padre entrasse nel ripostiglio per
togliersi le scarpe, l’ha raggiunto e ha sparato più volte scaricando una rabbia covata dentro fin dall’età di 12 anni. La madre Marta Chezzi, accorsa dalla cucina, subisce la stessa
sorte. “Volevo uccidere solo mio padre, ma è accorsa e ho dovuto sparare anche a lei” dirà poi Ferdinando con una punta di pietà. Ma nessun sentimento poteva fermare la sua lucida follia. Allora attende anche
il rientro del fratello Nicola, più giovane, reo di avere un rapporto stretto col padre. Si apposta in corridoio e
spara più volte anche a lui. Il giallo prosegue con le sue sequenze. Ferdinando mette i
corpi dentro teli di cellophane e li accatasta nella vasca da bagno. Poi porta
il camper lontano da casa simulando la partenza. Quindi si chiude nell’appartamento di via Rimini al buio coi cadaveri in bagno. Di notte li trascina
fino in cortile, li carica sulla Croma del padre e decide di disfarsene.
Attraversa la città piena di posti di blocco (era stata rapita da poco Mirella Silocchi) e approda
alla discarica di Posta di Viarolo in cui li seppellisce, ma dove le ruspe
scaveranno per un mese senza trovare nulla. Non si trova nemmeno la pistola,
gettata in un canale. Poi la fuga col camper lasciato in viale Aretusa a Milano
dove verrà ritrovato nel novembre 1989, quando di questo troncone d’inchiesta si occuperà Antonio Di Pietro formulando per primo il sospetto dell’omicidio. Un ritrovamento che spazza via le prime ipotesi formulate dopo la
sparizione secondo le quali la famiglia, partita per un tour del Mediterraneo,
si sarebbe perduta nel deserto. E mentre a Parma si fa strada l’idea di una fuga miliardaria in un paradiso fiscale, Ferdinando si rifugia a
Londra dove comincia il suo miserevole esilio fatto di espedienti per vivere.
Pensava di essersi liberato degli incubi con quei colpi di pistola, ma alle
vecchie ossessioni se ne aggiungono altre ancora più ingombranti. Il peso del rimorso cresce di mese in mese nella solitudine di una
periferia londinese dove Ferdinando non ha rapporti col prossimo. E quando un “bobby” gli controlla i documenti scoprendo che il suo nome è inserito nell’elenco degli scomparsi, prende tutto ciò come una liberazione» (Valerio Varesi).
[afa]