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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

BELLOCCHIO

Marco Piacenza 9 novembre 1939. Regista. [op]


Ultime Nel film Sorelle, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2006, racconta tre estati nella casa
di campagna di Bobbio e «costruisce una storia impalpabile e tenerissima, fatta di memorie familiari,
ricordi cinefili e sfide professionali» (Mereghetti). La casa è la stessa, appartenente alla famiglia, che venne adoperata per I pugni in tasca. La sfida professionale consiste nel fatto che l’opera è stata realizzata quasi con niente: gli attori, a parte Donatella Finocchiaro,
sono quasi tutti membri della famiglia Bellocchio, la piccola Elena, poi Maria
Luisa, Letizia, Piergiorgio • Ha cominciato poco prima dell’estate, in Trentino, le riprese di Vincere, sulla storia d’amore tra Ida Dalser e Mussolini e la tragica fine sia di lei che del figlio
Benito Albino nato da quella relazione (entrambi rinchiusi in manicomio e resi
innocui) • L’Istituto Luce e la General Video hanno dato inizio alla ripubblicazione — che si annuncia sistematica — delle sue opere. La prima uscita comprende Nel nome del padre (1972), La condanna (1990), Il principe di Homburg (1997), La balia (1999).


Vita Tra i suoi film: I pugni in tasca (1965), La Cina è vicina (1967), Sbatti il mostro in prima pagina (1972), Il diavolo in corpo (1986), Il sogno della farfalla (1994), Il principe di Homburg (1997), La balia (1999), L’ora di religione (2002), Buongiorno notte (2003), Il regista di matrimoni (2005). «Il successo è niente, l’importante è arricchirsi dentro» • «Sono nato nella guerra, da una famiglia borghese, provinciale, anzi paesana. Mio
padre, avvocato a Piacenza, veniva da una famiglia di agrari di Bobbio, non
ostile al fascismo. In casa avevamo l’autografo del Duce (Benito Mussolini) che si congratulava per la numerosa prole:
otto figli. Io ero l’ultimo. Mia madre era religiosa. Mi mandarono prima dai fratelli delle scuole
cristiane, poi in liceo a Lodi, dai barnabiti. Un collegio per benestanti e
paganti, il che forse contribuì a proteggerci da violenze o devianze. Non ho ricordi drammatici, nulla più di un frate che allunga le mani verso i calzoni corti degli allievi, nulla che
ricordi le vicende che abbiamo visto in questi anni al cinema, da
Magdalene alla Mala educación di Almodovar. La cifra era semmai la noia, la regola, l’ordine: la messa ogni mattina, che diveniva spesso un prolungamento del sonno» • «Da ragazzo, il mio idolo era Lenin. Ero un rivoluzionario, ero contro il
revisionismo del Pci, ma personalmente non ho mai torto un capello a nessuno. L’ironia e la prudenza, innate, mi hanno salvato in più di un’occasione» • «In quasi tutti i film di Bellocchio c’è un ribelle, e c’è un genitore da assassinare. Nel primo, autoprodotto nel 1965 con un mutuo da 20
milioni ottenuto grazie al fratello Piergiorgio Bellocchio, il protagonista
annega il fratello e getta nel burrone la madre. “Il mite vendicatore dell’Appennino”, come lo definì Alberto Moravia, avrebbe dovuto essere Gianni Morandi. Si era appena rivelato
come cantante, e imprevedibilmente accettò la parte. Fu bloccato dai produttori e dal padre che gli disse: “se fai quel film ti spezzo le gambe”. Era
I pugni in tasca, successo ripetuto due anni dopo con La Cina è vicina, premiato a Venezia dalla critica insieme con La chinoise di Godard» (Aldo Cazzullo) • «Nella tradizione artistica spesso ci sono inizi folgoranti e poi un declino
lento ma inesorabile. è come se nei quarant’anni successivi a I pugni in tasca, che fu un film di ribellione nichilista, io mi sia ribellato al successo di
quella ribellione e all’identità che mi aveva dato. Certamente molti ancora mi definiscono “l’autore dei Pugni in tasca”. Non ne disconosco la paternità, ma non mi è bastato. Tutto il mio lavoro successivo ha sempre evitato la ripetizione di
quell’esperienza» • «A vedere un film di Marco Bellocchio si va ormai con una certa inquietudine:
amandolo moltissimo, parteggiando per lui con tutto il cuore di spettatore, si
teme di provare, se non una delusione, una specie di incompletezza, il fastidio
verso se stessi per non riuscire a capire sino in fondo, di essere insomma in
torto verso un autore che da più di quarant’anni, e restando un uomo dall’eterno fascino mite e schivo, ci ha dato opere bellissime e importanti che hanno
segnato il cinema italiano e la nostra stessa vita. Non si smette mai di
aspettarsi da lui un capolavoro» (Natalia Aspesi)
• «C’è un film che divide il mio percorso in due: è Il diavolo in corpo. è stato una rivoluzione per me. Quella novità si è sviluppata poi attraverso altre ricerche e altri esperimenti e da lì, è vero, il mio lavoro è diventato più “accessibile”. Ma non ho mai smesso di essere un ribelle. Neanche con L’ora di religione: ribellione alla cultura assoggettata all’autorità della Chiesa. I giovani (si dice: se non si è ribelli a vent’anni... Poi purtroppo molti se lo dimenticano) amano il mio atteggiamento nei
confronti del potere culturale istituzionale. Nessun mio film è venuto meno a questo principio, ma negli ultimi forse la mia maturità ha trovato una comunicabilità più diretta» • Dal 1997 dà vita a Bobbio al festival Farecinema • Il figlio Piergiorgio (Roma 16 aprile 1974), avuto da Gisella Burinato, è attore e ha recitato in molti suoi film (Salto nel vuoto, La balia, Buongiorno notte): «Non mi ha mai regalato una parte senza un provino». [oq]