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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

FORATTINI

Giorgio Roma 14 marzo 1931. Vignettista. Di Panorama e del Giornale. «Ritengo che non stare in redazione, poter viaggiare, lavorare da qualsiasi parte
del mondo sia straordinario» • Lanciato da Paese Sera, ha lavorato anche per Repubblica, Espresso, Stampa • «Il bruco Veltroni verde-giallo. Il gerarca D’Alema in divisa verde e stivali neri. Mickey Mouse-Amato con scarpe gialle e
braghe rosse. Una pudibonda Emma Bonino nuda, dal roseo incarnato. Le “toghe rosse” (ovviamente) dipinte di rosso. Il più famoso tra i disegnatori satirici nostrani sa suscitare entusiastici consensi e
invincibili repulsioni. Divide (e impera). In ogni caso fa discutere, lascia il
segno. Fazioso? È un’accusa ricorrente, da parte della sinistra impietosamente presa di mira» (Maurizio Assalto)
• «Un fantaccino armato di penna, di matita, di carta, di fax. Un cocktail di Grosz
e di Plantu, di Longanesi, di Guareschi e di Maccari. Con un pizzico di D’Artagnan e un grano di don Chisciotte. Ogni suo libro un obitorio, pieno di
zombi che sopravvivono a se stessi e, purtroppo, anche a noi, che li vorremmo
sepolti per sempre» (Roberto Gervaso) • «È un signore sobriamente elegante che sembra molto sicuro dei suoi gusti, visto
che dai tempi della fondazione di Repubblica si veste e si pettina nello stesso
modo. Ma quando si mette a disegnare È colpito da una strana sindrome tipo Doctor Jekyll and Mr Hide: fa spuntare le
tette a Berlusconi, indulge in giochi di parole mica tanto fini, la butta sul
sesso con una certa sospetta frequenza» (Paola Zanuttini) • «A Natale, gli uomini da niente regalano panettoni, agende, penne e libri di
Forattini» (Pietrangelo Buttafuoco) • «Un tempo molte persone ritagliavano le mie vignette e le incollavano in un
quaderno. Da quando ho cominciato a raccoglierle in volume questa È tutta fatica risparmiata» • «È la notte del 13 maggio 74, la notte del referendum sul divorzio. In via dei
Taurini a Roma, nella redazione di Paese Sera, il grafico Giorgio Forattini È seduto al tavolo e sta mettendo a posto le pagine. Interrompe il suo lavoro e
porta un foglio al caporedattore Sandro Curzi. È un disegno: una bottiglia di champagne con il tappo che salta. Il tappo ha la
faccia di Amintore Fanfani. È la prima vignetta che Paese Sera pubblica in prima pagina ed È la consacrazione di Forattini che fino ad allora avevo pubblicato solo qualcosa
su Panorama e aveva diviso la sua vita tra mille lavori, dall’operaio al direttore di una casa discografica. Lì comincia la sua carriera di editorialista senza parole, come lo chiamavano i
tipografi di via dei Taurini. Sandro Curzi ancora ricorda la telefonata di
Giancarlo Pajetta per una falce rosso sangue disegnata dalla mano di Forattini
sulla prima pagina di Paese Sera: “Giorgio era libero di fare quello che voleva e spesso le sue critiche al Pci
colpivano nel segno”. La più diretta arrivò nel dicembre 77, quando già era passato a Repubblica, dopo uno storico corteo dei metalmeccanici:
Berlinguer in vestaglia prende il tÈ in casa e si concede anche il vezzo del mignolo alzato: “Fu quello — ricorda Paolo Guzzanti, allora inviato di Repubblica — uno degli episodi che fece venire a galla la frizione tra chi, come noi, veniva
da una storia radicale e libertaria e chi, come buona parte del giornale,
seguiva l’ortodossia del Bottegone”. Ancora oggi c’È chi non ha dimenticato le furiose litigate nella stanza di Eugenio Scalfari con
le pubbliche riappacificazioni del giorno dopo. Mentre la vignetta su D’Alema che sbianchettava la lista Mitrokhin gli costò una querela da 3 miliardi, poi ritirata dopo le scuse di Forattini, quando D’Alema divenne premier. “Lo implorai di non andare alla Stampa — dice ancora Guzzanti — perché sapevo che sarebbe stato un pesce fuor d’acqua in un quotidiano lastricato di resistenzial-azionismo piemontese,
disegnato dalla Fiat come camera di compensazione fra l’industria, il sindacato e il Pci”. Anche Corrado Augias ha lavorato per anni con lui: “Le vignette del suo ultimo periodo alla Repubblica — dice — erano considerate inadatte al giornale perché animate non da spirito satirico ma da acredine. Non era una questione politica
ma di satira che supera il limite quando invece di esagerare un difetto reale
lo inventa di sana pianta. Berlinguer in vestaglia È caricatura, D’Alema che sbianchetta la lista della Mitrokhin È invenzione. Negli ultimi tempi doveva sempre aggiungere una didascalia alla sua
vignetta: il disegno non bastava più e questo È un sintomo di debolezza. Quel Berlinguer in vestaglia non aveva bisogno di una
parola”» (Lorenzo Salvia)
• «Ho cominciato a quarant’anni. Prima facevo il rappresentante di commercio nel sud Italia. Bisogna
pensare che se non si vende non si mangia, così ho imparato a raccontare le barzellette, talvolta anche a essere umiliato
quando la gente non comprava i miei prodotti. Vivevo a Napoli, vendevo prodotti
petroliferi. Mi ero sposato giovanissimo, avevo bisogno di soldi e giravo con
una Seicento attraverso l’Italia. Amavo disegnare, ma non potevo vivere dei miei disegni; mio padre, che
era direttore dell’Agip prima di Mattei, non voleva che io facessi l’artista ma preferiva una carriera solida come quella di banca. Però io cominciai a studiare teatro all’Accademia, dove c’erano anche Sofia Scicolone e Lina Wertmüller che studiava regia. Per mantenermi ho fatto anche l’operaio a Cremona. Avevo ventun’anni. Ho partecipato a un concorso per un nuovo personaggio a fumetti per Paese
Sera: era il 69. Vinsi il concorso ed entrai come grafico a Paese Sera. La
prima vignetta satirica politica fu su Panorama nel 73. Mi scoprì Gianluigi Melega. Poi, Paese Sera si accorse che il suo grafico era anche il
Forattini che faceva le vignette e così mi proposero di farle sul giornale. Erano gli anni di Nixon e di Paolo VI. Le
prime vignette che ebbero grandissimo successo furono quelle del giorno della
vittoria del referendum sul divorzio il 13 maggio 74. Quando nacque Repubblica,
nel dicembre 75, Scalfari mi chiamò per occuparmi della grafica del giornale. Nel primo numero feci una vignetta
nella pagina interna dei commenti. Nell’aprile 82, passai alla Stampa, con il direttore Giorgio Fattori che mi mise in
prima pagina. Mi ha richiamato Scalfari mettendomi in prima pagina anche lui.
Poi mi fece entrare all’Espresso, diretto da Valentini, dove stetti per tre anni. Sono pieno di querele
e di denunce» (da un’intervista di Alain Elkann)
• Come nasce una vignetta? «Non lo so. So solo che nasce sempre, comunque». E in quanto tempo? «Nasce in mezz’ora ed È disegnata al massimo in un’ora». I suoi maestri? «Guareschi per il suo coraggio. Jacovitti per il segno» • «La vignetta muta È il massimo, ma il “calembour” È una fonte inesauribile di comicità» • «La vera satira politica, prima e durante il fascismo era liberale. Tutti questi
ragazzi di oggi, quelli che vengono dal Male, da Tango e da Cuore si sono fatti
irregimentare: fanno una satira di sinistra ma non sulla sinistra. Nessuno ha
seguito la mia scuola. Il pubblico mi ama perché sono libero» • «Sono laico e non dico nemmeno “Vorrei credere”. Posso farne a meno. È la mia coscienza che mi guida».