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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

GABBANA

Stefano Milano 14 novembre 1962. Stilista. In coppia con Domenico Dolce. «Il vestito che scandalizza non interessa più: che m’importa di vendere un pantalone con tre gambe? Riuscire a fare abiti che danno
sensazioni nuove: questo è lo scandalo» • Preferisce la camicia alla T-shirt e il jeans a qualsiasi altro pantalone. Ha
il pallino dei blazer, delle giacche strette. Adorava Linda Evangelista. Che
resta una delle modelle preferite. Ma ha anche un debole per Giselle Bündchen • «Siamo stati gli ultimi italiani a emergere. Poi si è innescato un meccanismo strano: quando nell’84 abbiamo presentato la prima collezione, la sfida era sui vestiti. Adesso i
vestiti vengono dopo, prima ci sono i soldi e il potere. Se li hai, fai strada.
Sennò non ne fai. Noi ci siamo sempre autoprodotti. Armani è un altro indipendente, ma siamo animali in via di estinzione. Adesso gli
stilisti vengono comprati dai grandi gruppi. Ed è una fregatura, perché le aziende ti danno i soldi, ma puntano al guadagno immediato, non lasciano ai
giovani il tempo di crescere. è come pretendere che un bambino a tre anni sappia già leggere e scrivere. Come fa uno stilista, in un paio di stagioni, a produrre
utili? Quando noi abbiamo cominciato, ci ha dato una mano la famiglia di
Domenico. Non avevamo contratti, non avevamo nulla da perdere, pensavamo solo
ai vestiti ed è stata la nostra fortuna. Se non hai qualcuno dietro, non fai niente. Prendiamo
Alexander McQueen: lui è un grosso creativo, però è stato comprato. E lo stesso Galliano: comprato, anche se non del tutto. La cosa
migliore invece è fare un passo per volta, non avere fretta, radicarsi nel mercato. Mi piacerebbe
scrivere un libro per spiegarlo ai giovani e dire che la possibilità di arrivare, malgrado tutto, c’è, però bisogna crederci tanto, anche quando prendi sberle. Ci accusavano di essere
volgari per via delle spalline del reggiseno in vista, della corsetteria, dei
lacci. Mi ricordo che l’invito della nostra sfilata, nel 91, era un paio di collant con il reggicalze.
Ne uscì un casino. Adesso il reggicalze lo fanno tutti e non si scandalizza più nessuno. Siamo maturati, scandalizzare per scandalizzare non ci interessa, è un percorso già fatto. Rompere gli schemi, oggi, significa spaccare tutto e rimescolare, come
abbiamo fatto nell’ultima collezione, combinando mille stampe e mille stili diversi. Penso sia la
strada giusta per fare qualcosa di nuovo»
• «Il fatto che abbiamo questa morbosità dello stare sempre fuori, in mezzo alla gente, è per il timore di perdere il contatto. Ogni tanto il dubbio mi viene e lo dico a
Domenico: chissà per quanto ancora potremo disegnare D&G, la nostra linea giovane (non parlo della Dolce & Gabbana, quello è un altro discorso, quella siamo noi e basta). Ci sono dei fenomeni giovanili
che mi sforzo di capire, che capisco anche. Ma non li vivo più in prima persona, non è più il mio stile di vita. Quando realizzeremo (speriamo di non essere così cretini da non capirlo) che non siamo più in sintonia con i giovani, faremo disegnare la D&G da qualcun altro. Che dobbiamo fare? Non vogliamo che la linea invecchi con
noi»
• «è Domenico quello che vorrebbe ritirarsi. Perché è come quelle galline sotto lampadina 24 ore su 24 per fare uova a ciclo
continuo. Ogni sera sono sempre io a dirgli spegni la luce, smetti di covare e
andiamo a casa» (Stefano Dolce) • Con Dolce facevano coppia anche nella vita, poi l’altro ha preso una sbandata: «Io ho preso atto e ho mollato. Ho sofferto come un cane. Un anno d’inferno. Dovevamo continuare a dividere tutto, far finta di nulla. Quello è stato un momento difficile, di dubbi e domande. Ora no, per assurdo stiamo
meglio di prima».