Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
CELESTINI
Ascanio Roma 1 giugno 1972. Autore e attore. «Uno dei rari cantastorie che sfugge alla scuola di Dario Fo» (Franco Quadri) • «Inizialmente parlavo come mangiavo. Ho un nonno carrettiere e uno spaccalegna,
una nonna contadina e una narratrice di storie di streghe (il marchio l’ho preso da lei). Mio padre (Gaetano, detto Nino, morto nel 2003 - ndr) era restauratore di mobili del Quadraro e mia madre, da giovane, era
parrucchiera di Torpignattara (due quartieri popolari di Roma—ndr)» • «Ascanio Celestini nella bottega di Morena (Roma) ogni tanto ci torna: restaurare
gli piace, ed è da lì che escono le scarne scenografie dei suoi spettacoli: “Quando avevo 7 anni mio padre mi fece gli attrezzi giocattolo da bambini. Ho
continuato da ragazzetto e pure dopo: se doveva spostare un mobile mi chiamava”» (a Paola Zanuttini) • «Però da un certo momento in poi ho fatto mia anche la parlata di quelli da cui mi
facevo dire storie di varia umanità o avventure di guerra, persone capaci di costruire vicende già di per sé teatrali, perché immaginano quello che dicono prima di riferirtelo, come un film vissuto. E ho
preso a fare molto uso delle ripetizioni, che sono importanti per incidere le
immagini. Dopo il primo amore per la chitarra elettrica la svolta ci fu coi
corsi universitari di etnologia e antropologia, con la registrazione delle
esperienze degli anziani di casa, finché trascorsi tre anni, dal 1995 al 1998, nel Livornese e in tutta l’Italia a fare teatro di strada, nei panni di uno Zanni romanesco, raccogliendo i
soldi del pubblico col cappello. Canovacci miei. Cui seguirono gli spettacoli
in proprio, per il pubblico sperimentale, finché il Teatro di Roma, in seguito a un concorso sul nuovo teatro indetto da Mario
Martone, ospitò all’Argentina
La fine del mondo e Luoghi della Memoria Radio Clandestina» • «I racconti dei partigiani per lui sono così epici da evocare le gesta di Ettore e Achille. Sostiene che la cultura popolare
italiana ha subìto un freno e un guasto alla fine dell’ultima guerra con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa. è un patito della tradizione orale, legata molto ai gesti, improntata a tutto
meno che alle immagini. Ha cominciato a lavorare in pubblico dal 1998 per una
trilogia sulla narrazione orale iniziata con Baccalà, il racconto dell’acqua, e conclusa nel 2000 con La fine del mondo, spettacolo coprodotto dal Teatro di Roma. Poi ha intrattenuto il suo pubblico
con Radio clandestina che rievoca i fatti della capitale dalla fine dell’800 ai drammatici giorni del ’44 con l’azione a Via Rasella e la rappresaglia alle Fosse Ardeatine» (Rodolfo Di Giammarco) • Tra i suoi spettacoli più noti Fabbrica (2002), libro+cd audio pubblicato da Donzelli • Dopo aver portato in giro per quasi due anni lo spettacolo Appunti per un film sulla lotta di classe, è regista e sceneggiatore del film sui precari dei call center Parole sante, presentato anche alla Festa del Cinema di Roma. Contemporaneamente esce il suo
primo disco, anch’esso intitolato Parole sante, dove sono raccolti, oltre ad alcuni inediti, anche le canzoni presenti negli
spettacoli e nel documentario. Il disco ha ricevuto nel 2007 il premio Ciampi
come “Miglior debutto discografico dell’anno” • Le “parole sante” sono «“quelle di chi si rifiuta di affondare cantando, come è successo sul Titanic. Quelle di chi non vuole un lavoro subordinato mascherato
da contratto a progetto o un part-time a tempo indeterminato da 550 euro al
mese. Se continuiamo a parlare di “precarietà” come qualcosa di inevitabile, accettiamo una condizione di illegalità”. Nel film lei racconta il caso del call center Atesia, a Roma, tra scioperi,
condoni, licenziamenti, azioni giudiziarie. “Abito lì dietro ed è il più grosso call center italiano. Per più di due anni ho seguito tutta la storia, ho fatto 30 ore di interviste. Ma non
mi interessava fare una denuncia politica. Volevo mostrare la parte positiva: l’autoorganizzazione di un gruppo di lavoratori, nonostante l’assenza delle istituzioni tradizionali” Nel 2008 lei parla di lotta di classe. “Io non voglio la povertà diffusa, vorrei che tutti diventassero ricchi!”» (ad Alberto Pezzotta).