Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
TONINI
Ersilio Centovera di Sangiorgio (Piacenza) 20 luglio 1914. Cardinale (dal 94) • Ordinato sacerdote il 18 aprile 37, dal 53 parroco di Salsomaggiore, dal 69
vescovo di Macerata e Tolentino, dal 75 arcivescovo di Ravenna (fino al 90) • «Sempre sorridente, sempre sereno, con una infinita fiducia nel trionfo del bene» (Enzo Biagi) • «Porta nei tratti l’impronta della sua gente, perché lo stampo era ben marcato. 20 luglio 1914, in una grande cascina a Centovera,
frazione di San Giorgio, provincia di Piacenza, Celestina, moglie del
capobifolco Cesare Tonini, mette al mondo il suo terzogenito. È lì, questa madre molto amata, in una foto accanto alla scrivania, gli occhi anche
lei chiari, il figlio di un anno in braccio. Sola: il marito era un fante nelle
trincee del Carso. Nell’Emilia visceralmente rossa di quegli anni, una famiglia intensamente cristiana
che insegna ai figli le preghiere del mattino, e prima ancora la gioia e lo
stupore per il dono ricevuto con quelle vite: “Abbiamo fatto tanta festa, quando siete nati”. La certezza di essere stati pensati e amati da Dio, È la prima cosa tramandata» (Marina Corradi)
• «Questa certezza dell’infanzia, di essere dentro un disegno, mi ha accompagnato. Ho visto l’intervento del Signore. Qualcuno ti guida, sei aspettato. Io studiavo in
seminario e pensavo: mi preparo per gente che È ancora “in mente dei”, ed era vero. Meraviglioso incrociarsi di destini. Ho imparato che ogni
avversità È per un bene: gli scioperi feroci degli anni Venti, con le vacche lasciate tutta
notte a muggire nelle stalle, e il contadino che mi sfidava col suo ateismo: “Non andrai mica prete? Guarda che quelli servono solo a mantenere la bottega”. E me ne veniva una più grande voglia di capire le mie ragioni, e le sue, e già imparavo a confrontarmi con chi non crede. Quando in Burundi vedo i bambini che
mangiano le formiche, torno a Ravenna e vorrei salire sui tetti, e gridare di
aprire gli occhi, di finirla con questa nostra follia di gente che non vede,
mentre un altro mondo muore. Viviamo, discutiamo, ci arrabbiamo per cose in
fondo così piccole, mentre quelli, Dio mio. Mia madre, quando faceva la pasta, e la vedevo
che muoveva le labbra, perché pregava senza parlare. Essere cristiani non È una condotta morale, È una gratitudine. È essere come tanta gente semplice che ho conosciuto in confessionale, quando ero
parroco: semplicemente grati a Dio, come un figlio col padre»
• «La prima volta che ho letto la Bibbia, la prima volta che ho letto i Vangeli si
lega strettamente alla storia della mia formazione, alla nascita della
vocazione. O meglio, alla mia infanzia e alla figura di mia madre, che mi
insegnava a pregare al mattino. È stata lei, sin dalla mia nascita, a comunicarmi il senso del divino e a farmi
vivere quella grande idea dell’adorazione, per il fatto di essere opera sua e, attraverso lei, di Dio. Vissi
sin da allora l’esperienza nuova di avvertire un amore che coincideva col senso stesso della
vita. Così non mi sorpresi quando arrivò il momento e sentii dirmi: “Preparati ragazzo, il Signore ha del bene da farti fare”. La lettura del capitolo XVII del Vangelo di Giovanni: “Padre, È giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il figlio glorifichi te”, in quel momento, mi raccontò e rese evidente che il Figlio di Dio si era fatto uomo per me, anche per me,
proprio per me. La mia sorte si legava così ed era stata preparata insieme a quella di Cristo. E il messaggio del
cristianesimo, dalla sua dimensione di storia favolosa, venne ad acquistare
tutta la forza di qualcosa di reale, una verità che segna la stessa vita» (da una conversazione con Il Messaggero).