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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

BAGLIO

Aldo Palermo 29 settembre 1958. Attore. Comico. «Basta essere pirla e tiri fuori il massimo» • È il componente siciliano del trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Ha raccontato la sua
vita così: «Ero un lattante grosso, grossissimo, e i figli grossi a Palermo allora erano
quelli belli. “Quant’È beddu ’stu fiiiiju” dicevano a casa mia. Macché, ero come il carosello della Philco, sembravo uno del pianeta Papalla. Appena
nato dovevo essere un maiale: quattro chili e mezzo. Ho sempro odiato studiare
e ho avuto un cattivo rapporto con i compiti che sul diario non segnavo mai;
non riuscivo a stare al passo neppure con quello. Di matematica, inglese,
italiano non ho mai capito niente, e andavo sempre al doposcuola. Volevano
bocciarmi anche in terza media, ma con gli insegnanti ho fatto un patto: il
diploma in cambio della promessa che non avrei continuato gli studi. Figurati,
io non aspettavo che di andare a lavorare. Lo sai cosa hanno scritto sul mio
libretto scolastico: “Nessuna attitudine”. Ogni tanto lo riguardo e mi scappa da ridere. Sono belle le rivincite con
quelli che hanno detto che non sarei stato niente. Avevamo un amico, Bebo
Storti, che era all’oratorio con noi e aveva fatto la Scuola d’arte drammatica. Era, È sempre stato, un gran chiacchierone. Per quanto noi eravamo timidi e taciturni,
lui era uno di quelli che ti teneva su anche raccontando cose irrilevanti o
inventate. Un giorno che eravamo insieme, Giovanni e io cominciammo a fare gli
stupidi per la strada, a mimare delle cose. Eravamo un po’ pazzi, ma avevamo l’età per esserlo. Lui ci guardò e disse: “Però, siete bravi. Dovreste fare una scuola”. Non avevo mai partecipato alle recite, da bambino. Diciamo che È stata una vocazione tardiva, sono una persona che s’È scoperta capace di fare ’sto mestiere dall’oggi al domani. E su cosa dovevo puntare se non sulla fisicità? All’inizio con Giovanni facevamo pantomime e maschere, un repertorio abbastanza
lontano da quello che facciamo oggi. Mi capitava anche di abbandonare lo
spettacolo a metà. Una volta, a Bassano del Grappa, stufo di prendere insulti da uno che aveva
bevuto e interrompeva sempre, Giovanni lo ha mandato a quel paese. Fine dello
spettacolo. Alla fine, su dieci serate quattro andavano male, ma sei andavano
bene ed eri ripagato. Sono stati anni belli, ma anche difficili. E logoranti. A
un certo punto io non andavo più tanto d’accordo con Giovanni: s’era creato tra noi due qualcosa di personale senza che fosse successo niente di
reale. E non riuscivamo più a comunicare come prima. Giacomo lo abbiamo imbarcato perché volevamo fare questa cosa in tre, ci credevamo. Lo volevamo con tutte le nostre
forze. Giacomo era una sferzata d’energia. Molti amici ancora oggi ci ripetono che a
Su la testa non piacevamo. Però, nell’ultima puntata, con la scena dei vecchietti, abbiamo lasciato una buona
immagine. È andata un po’ come a Mai dire gol…, quando all’inizio facevamo i personaggi degli arbitri, e non È che funzionassero troppo. Poi, alla terza domenica, È bastata un’invenzione. Giovanni ha fatto il geco e via. Fortuna? Follia? Merito della
Gialappa’s che in trasmissione ti protegge e valorizza le tue cose? Da lì in avanti di personaggi ne abbiamo sfornati a raffica. Bastava essere pirla e
tiravi fuori il massimo. E comunque la popolarità È arrivata con il contagocce, e non È stato traumatico farci l’abitudine, dopo tanti anni di lavoro. È cominciata con la gente che per strada ci faceva il verso, riprendendo i
tormentoni dei personaggi di
Mai dire gol… ed È esplosa con il film Tre uomini e una gamba. E con lo spettacolo teatrale».