Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
SPAZIANI
Maria Luisa Torino 7 dicembre 1924. Poetessa • «Era il 54. Mi sono ritrovata nello Specchio di Mondadori fra Saba e Ungaretti,
io, giovane, femmina e inedita. Avevo mandato — nessuno ci crede, ma è vero — il manoscritto alla casa editrice senza nemmeno una lettera di accompagnamento.
E dopo pochi mesi, ecco il contratto. Mio padre fabbricava macchine per
costruire dolci, e a casa mia, a Torino, di cioccolata ce ne è sempre stata tanta, fa bene all’umore. E il buon umore fa bene alla poesia, che ha sempre coinciso con la mia
vita. Quando ricevetti il contratto per quel mio primo libro
Le acque del sabato (1954, ero a Parigi con una borsa di studio) ne fui così felice che la parte più interessante la scrissi dopo il contratto, appunto. Io credo di riuscire a
creare unità fra la voglia di mordere la vita e un’idea — sempre indispensabile per la poesia — che può coincidere con l’idea di un’altra persona, creando un incontro. Tempo fa su un treno, un signore anziano mi
riconobbe. Mi disse: “Io so a memoria alcuni suoi versi del 66”. La poesia sta fra la terapia e la religione, è un modo per guardare in alto, oltre il perimetro delle cose, nel loro
significato segreto. Ed è anche la ricerca di sensibilità particolari che possono essere risvegliate anche quando non si sa di averle.
Per questo quello sconosciuto mi fece felice»
• «La fortunata carriera di Maria Luisa Spaziani si è espansa anche al di fuori della poesia: critica, saggistica, traduzione,
teatro. Le acque del sabato fu subito premiato (premio internazionale Byron di Londra), e fu il primo dei
molti premi (fra cui un Viareggio nell’81 per Geometria del disordine, sempre nella collana Lo Specchio di Mondadori) che la scrittrice ha ricevuto
nella sua intensa vita letteraria. Ha insegnato per trent’anni Letteratura francese a Messina “e me li sono goduti. Soprattutto per aver potuto fecondare altre fantasie, altre
immaginazioni. Ancora oggi moltissimi ex allievi vengono a trovarmi”. [...] “Io sono come scissa: da un lato la sacralità della poesia, dall’altro il teatro comico, appunto. In una mia pièce,
La vedova Goldoni, ho anche recitato, con Francesca Benedetti, a Lisbona, nel 97. La vedova
Goldoni sta a Parigi da sola nel suo appartamento quando la vicina, una vecchia
puttana, le chiede due uova in prestito. Fanno amicizia, e la puttana,
esterrefatta, riceve una autentica lezione di erotismo, basata sul fatto — che mi risulta scientificamente provato — che nelle donne può provocarsi un orgasmo anche senza sollecitazioni, sessuali o mistiche o altro.
Alla vedova era capitato tre o quattro volte, e non l’aveva mai confessato a nessuno dei suoi infiniti confessori. Lo considerava “un regalo personale che mi ha fatto Dio”, e ne parla all’altra. Mi piaceva da morire quella parte. Mi tiravo su le gonne, mi grattavo le
cosce... Gassman, una volta che vide lo spettacolo, mi disse: “Ma tu hai un mestiere pronto”. Chiesi: “Quale? L’attrice o…??”» (Laura Lilli)
• Su Montale: «Nel 49, a Torino. Era venuto per una conferenza. Io sapevo a memoria Ossi di seppia ma non volevo conoscerlo, m’avevano detto che era antipatico. Finita la conferenza, mi pregano di restare. “Vogliamo presentargli delle giovani scrittrici...”. Resto. Ero l’ultima della fila. Lui nemmeno le guardava. Teneva gli occhi bassi, e continuava
a ripetere meccanicamente “piacere, piacere”. Arrivato a me, quasi grida: “è lei!” Sì, rispondo, “le parrà strano ma sono proprio io in persona”. Allora dirigevo una rivista, Il dado. Una piccola cosa, anche se ci scrivevano
bei nomi. Lui disse: “Lei non mi ha mai invitato a collaborare. Sapesse come ho aspettato...”. E io: “Venga a colazione da me domani”. Accettò. Il pittore Enrico Paolucci disse: “Eugenio, domani dobbiamo andare dai Camerana...”. E lui: “Non posso perché sono invitato dalla signorina”. Io torno a casa con le ali ai piedi. Era tardi, i miei genitori erano a letto,
ma la luce dalla parte di mia madre era accesa. Le dico: “Domani viene Montale a pranzo”. In quell’epoca parlavo sempre di Proust. Mia madre disse: “meno male che Proust è morto”. In seguito, in quei quattordici anni di vita quasi in comune, quando lui
veniva dai miei, le ripeteva: “Signora, Proust è morto, ma io, purtroppo, sono ancora vivo...”»
• Dice che Montale era un po’ tirato sui soldi. Lei è una delle diciannove donne a cui Montale ha dedicato delle poesie.