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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

PELLICIOLI

Lorenzo Alzano Lombardo (Bergamo) 29 luglio 1951. Manager. Dal 2005 amministratore
delegato della De Agostini e presidente della Lottomatica. Ex amministratore
delegato della Seat-Pagine Gialle • «Manager simbolo della New Economy. Nel 97, quando un gruppo di investitori, tra
cui la casa editrice di Novara, rilevarono la Seat Pagine Gialle dalla Stet non
ancora privatizzata, Pellicioli fu scelto per guidare la nuova fase di
sviluppo. In pochi si sarebbero aspettati che una delle prime privatizzazioni
del mercato italiano in soli quattro anni si trasformasse nel più profittevole leveraged buy out della storia recente. Complice la bolla
finanziaria che gonfiò a dismisura le quotazioni di Borsa della Seat: nella famosa fusione con Tin.it,
scorporata per l’occasione dalla Telecom gestione Roberto Colaninno, nel febbraio 2000 la società che edita le Pagine Gialle è stata valutata più di 20 miliardi di euro. E quando per la Seat si trattò di acquistare la maggioranza del portale Virgilio proprio dalla De Agostini,
Pellicioli non esitò a valutare la società la stratosferica cifra di 2,6 miliardi di euro. Un record mai più toccato in seguito. Erano i tempi in cui la Seat in Borsa valeva più dell’Enel e Pellicioli guardava dall’alto in basso Franco Tatò, all’epoca amministratore delegato del gruppo elettrico. Alla fine del processo la
vendita alla Telecom fruttò a Pellicioli un incasso complessivo pari a 170 miliardi di lire (
esattamente 168 - ndr), che passò alla storia come la prima mega stock option degli anni Duemila. Poi la bolla
comincia a sgonfiarsi e l’11 settembre 2001 Pellicioli esce di scena, a causa dell’ingresso della Pirelli nell’azionariato del gruppo Olivetti-Telecom che segna il passaggio di testimone
dalla gestione Colaninno a quella di Marco Tronchetti Provera. Con Pellicioli
tramonta anche il sogno del terzo polo televisivo, che si stava costruendo
intorno a La7 e che lo aveva visto protagonista di accese polemiche oltre che
di una dura contrapposizione con la Mediaset di Silvio Berlusconi» (Giovanni Pons)
• Dal processo che è seguito alla vendita di Seat, Pelliccioli (con Colaninno, Gnutti, Erede e altri
otto indagati) è uscito assolto, anche se severamente censurato dal procuratore Bruno Tinti e
dal pm Roberto Furlan: tutta l’operazione, passata anche attraverso un aumento di capitale, è stata condotta secondo i giudici in modo da fruttare il massimo per i soci di
maggioranza e penalizzare gravemente i piccoli azionisti • La carriera di Pellicioli «comincia dalla vocazione di giornalista. O forse prima, addirittura nel 66,
quando il primogenito di Luigi e Maria Teresa, si iscrive alla gioventù liberale. Anni duri, quelli dell’istituto tecnico Paleocapa, in mezzo ai primi fuochi della contestazione. Ma un
tirocinio prezioso che, indirettamente, apre a Pellicioli le porte del Giornale
di Bergamo, per due terzi dell’Unione industriali, per un terzo dell’Ingegnere che, a quei tempi, per un bergamasco voleva dire Carlo Pesenti. Alla
guida degli industriali c’era il dottor Cima, fedelissimo di Pesenti, ma anche convinto che il direttore,
il missino Alessandro Minardi, avesse spostato la linea del giornale troppo a
destra. Perciò, a 21 anni non ancora compiuti, Pellicioli viene mandato in prima linea, pardon
in redazione, per occuparsi dei decreti delegati. Sono gli anni delle prime,
timide riforme dc, quelli dei decreti Malfatti, contestati a sinistra ma
giudicati una sorta di lasciapassare per i “comunisti” dall’intransigente Minardi. A Pellicioli viene assegnata una stanza, lontano dal
cuore della cronaca, per ricevere le delegazioni dei genitori. Ma nei giornali,
si sa, l’occasione arriva, prima o poi. Per il giovane Pellicioli il maestro ha il nome
di Francesco Barbieri, caporedattore in cronaca, l’uomo che ha in mano la macchina. è con lui che Pellicioli si convince sempre di più che il suo futuro sarà tutto penna e taccuino, ospedali, commissariati e tribunali, da buon cronista
di “nera”, anche se, confesserà, “facevo fatica a scrivere. Ogni pezzo mi costava ore di fatica”. E Minardi, al momento di assumerlo, frena: “Prima fai il militare”. Al ritorno dalla naja, però, c’è una novità: il “protettore”, Francesco Barbieri, è passato a Bergamo tv, emittente della Popolare di Bergamo, una delle tre
potenze assolute della città, assieme all’Italcementi e all’onnipresente Curia. Pellicioli lo segue. è il 78. L’anno in cui il giovane liberale scopre che il giornalismo non è tutto: a Bergamo tv presto si accorgono della sua abilità organizzativa. E, soprattutto, della sua capacità di venditore, appresa alla scuola del nonno, venditore di ceri e candele, che
lui accompagna da ragazzino nel giro dei clienti: i parroci della bergamasca,
gente da riverire e da coltivare con qualche astuzia se si vogliono fare buoni
affari. All’inizio degli anni Ottanta Pellicioli, direttore dei programmi, è un trentenne in carriera, pronto ad aspettare l’occasione giusta per salire sul tram del successo. Questa arriva quando la
Manzoni, allora nell’orbita di Flaminio Piccoli, acquista l’emittente bergamasca. La tv privata è ancora in fasce o poco più. Ma ha davanti a sé spazi infiniti, altro che la carta stampata. Pellicioli fa allora il primo,
decisivo, degli incontri che contano. Quello con Luca di Montezemolo che lo
porta alla Publikompass, ammiraglia della pubblicità Fiat, sezione tv. Sono gli anni della guerra per il controllo dell’etere. Pellicioli guida la squadra di Italia1, allora di Rusconi. Sembra un
grande affare, e per la Fiat lo è. Per Rusconi meno. Quando l’editore alza bandiera bianca, sembra fatta: le truppe dell’Avvocato sbarcheranno nelle tv private. L’affare lo conclude Luca di Montezemolo, Gianni e Umberto sono d’accordo, Luigi Gabetti pure. Ma Cesare Romiti dice no. E l’affare salta. Montezemolo emigra in Cinzano, lui, il fedele di Alzano Lombardo,
sta per seguirlo quando Romiti gli manda a dire che per lui ha altri programmi.
E così Pellicioli finisce in Mkt, società al 51 per cento Fiat, il resto di Mondadori, che muove i primi passi nel campo
delle sponsorizzazioni. Qui, ecco il secondo incontro fatale: Leonardo
Mondadori. I due s’intendono di pelle, così Lorenzo l’irrequieto fa le valigie alla volta di Segrate. “Mi bastarono 15 giorni — dirà in seguito — per capire che Rete4 stava per mandare a picco la casa editrice”. La morale? Pellicioli organizza una campagna degna di Rommel: finge una grande
offensiva per risanare l’azienda. In realtà prepara il terreno alla grande ritirata sparando le ultime cartucce (sconti a
raffica) che gonfiano il fatturato e complicano la vita ai concorrenti. Tempo
quattro mesi e la tv di Segrate finisce nelle mani di Silvio Berlusconi, con la
mediazione di Enrico Cuccia. Pellicioli non ha ancora 34 anni, ma è già un boss. All’apparenza è invincibile, in realtà, quando oserà toccare i fili della pubblicità unificando le varie concessionarie del polo Mondadori-L’Espresso (
era diventato intanto amministratore delegato della Manzoni, la concessionaria
di pubblicità del gruppo Espresso — ndr), qualcosa si sblocca. Alla fine degli anni Ottanta, l’ex ragazzo d’oro della pubblicità si trova attaccato da tutte le parti: da Berlusconi, nuovo socio di Segrate; ma
anche dagli “amici” dell’Espresso. Ci vogliono spalle solide per superare un momento del genere: nel giro
di pochi anni Pellicioli ha detto no a Romiti (uno che non dimentica certi
affronti), patisce l’ostilità dichiarata di Berlusconi (che non digerisce i quattrini sprecati nella guerra
del dumping tv) e non può contare sulla solidarietà del gruppo Cir. Non resta che far le valigie e cambiar vita: dalla pubblicità alle navi di Costa Crociere. Bella mossa, sia perché gli permette di varcar l’Oceano e di farsi dimenticare per un po’ (tecnica preziosa, da tenere a mente). Sia perché, cosa che non guasta, Pellicioli ha lo stipendio in dollari proprio mentre la
lira va in mille pezzi. Tutto finito? No, il richiamo della foresta si fa
sentire ancora. “Già dal 93 — ricorderà — quando mi capitava di discutere con il mio amico Phil Cuneo gli dicevo che in
Italia c’era un solo gruppo di pubblicità per cui valeva la pena lavorare: la Seat. ‘Si vede che non sai che stipendi hanno nell’area pubblica, mi rispondeva’”. Ma il pubblico, negli anni della grande rincorsa all’Europa, sta per passare di moda. Nel 96 Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi
decidono di mettere in cantiere la privatizzazione di Seat. Cuneo telefona a
Pellicioli: “Se ci stai a far l’amministratore delegato, mi metto a cercare i soldi”. La risposta è quasi immediata» (Ugo Bertone).