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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

PREZIOSI

Enrico Avellino 18 febbraio 1948. Imprenditore. Presidente del Genoa. Ha creato nel 78
la Giochi Preziosi, holding del giocattolo, oggi seconda azienda europea del
settore (dopo Lego) e quarta nel mondo (dopo Mattel e Hasbro) • Entra nel mondo del calcio rilevando il Saronno nel 92-93 e portandolo dall’Interregionale fino alla C1 in due stagioni. Nel 96-97 sfiora la promozione in
B. Poi, nel 97, rileva il Como, in C1. Anche qui, come presidente, firma un’altra impresa: ancora nel 2000-01 la società era in C1 e in due stagioni ha conquistato la serie A (poi è ridiscesa in C, è fallita e Preziosi, indagato per bancarotta fraudolenta, ha fatto anche qualche
giorno di carcere). Nel giugno 2003 ha acquistato il Genoa e ne è diventato il 39° presidente, dopo avere avuto contatti con Naldi per rilevare il Napoli. Nel
2005 ha centrato la promozione in A. Però a Cogliate, presso la Giochi Preziosi, la Guardia di finanza ha fermato Paolo
Pagliara, dirigente del Venezia, che aveva addosso due buste su carta intestata
del Genoa al cui interno si trovavano 250 mila euro. Si era appena giocata
Genoa-Venezia (11 giugno 2005, 3 a 2) e la Guardia di finanza interpretò quella somma come un pagamento avvenuto in cambio della vittoria genoana.
Pagliara aveva anche un contratto di acquisto delle prestazioni sportive di
Ruben Maldonado, stipulato al di fuori del mercato ufficiale. Messo sotto
processo, il Genoa, che aveva vinto la B, venne retrocesso in C1 (è tornato in B alla fine del campionato 2005-2006). Però i giudici sportivi che lo condannarono — tutti dell’era Moggi — sono adesso sotto inchiesta: mentre parlava il difensore di Preziosi si
scambiavano bigliettini in cui Preziosi e i suoi difensori venivano insultati. è anche in corso una perizia della Microsoft: pare che la sentenza di condanna
del Genoa fosse stata scritta tre giorni prima del processo
• «Quello che ad Avellino, alle scuole elementari, beccava bacchettate sulle mani
dalla maestra Serra. Quello che un’altra insegnante, mi pare si chiamasse Bianca, prese per il collo per farlo
stare buono. E pure quello al quale diedero di corsa la licenza media purché se ne andasse più lontano possibile da quella scuola... Ero vivace, ma non cattivo. Spesso
succede che chi ha più fantasia degli altri, magari più creatività, sia giudicato impertinente»
• «La mia famiglia non era né ricca né povera. Papà aveva un’orologeria, mamma insegnava. Uscito da scuola, cominciai a lavorare con papà, smontavo orologi, mi piaceva quel lavoro, ma a 17 anni persi il papà. E la mamma non se la sentì di lasciare sulle mie spalle la responsabilità del negozio. Potevo avere un posto con lo stipendio garantito, ho preferito
venire al Nord, in cerca di fortuna. Ne ho fatti tanti, di lavori. Non li
ricordo nemmeno tutti e non ho molta voglia di parlarne. Un giorno, aiutavo in
un negozio di elettricità, entrò un signore che produceva favole per bambini e voleva riprodurle in cassetta.
Una alla volta era troppo lento e la traccia sbiadiva... gli consigliai un’apparecchiatura per farne 12 alla volta. Diventammo soci. Lui ci metteva le
favole, io i nastri... Tutto cominciò così»
• «La scalata fu rapidissima. Nuovi giocattoli, nuovi marchi, lo stabilimento a
Hong Kong: “Emilio”, un bestseller da un milione e mezzo di pezzi, poi “Cantatù”, testimonial Fiorello, altri due milioni di pezzi: “è un mercato senza limiti, perché non si smette di giocare invecchiando, ma si invecchia quando si smette di
giocare”».