Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

FRANZONI

Annamaria San Benedetto Val di Sambro (Bologna) 23 agosto 1971. Condannata a 30 anni di
carcere per l’assassinio del figlio Samuele (il famoso delitto di Cogne). Eccone una
cronologia:



• «30 gennaio 2002, ore 8.28. La signora Annamaria Franzoni chiama il 118. Il
figlio vomita sangue dalla bocca. Samuele Lorenzi, tre anni compiuti a
novembre, è agonizzante nel letto dei genitori, immerso in un lago di sangue, con una
profonda ferita alla testa. Morirà nell’ospedale di Aosta alle ore 9.55.



• 30 gennaio, ore 10.00. I carabinieri effettuano il primo sopralluogo nella casa.



• 1° febbraio. L’autopsia sul corpo di Samuele. Diciassette le ferite riscontrate sulla testa. L’arma del delitto: forse un oggetto munito di manico. L’arma non sarà mai trovata. I Ris effettuano un’ispezione nella villetta. Raccolgono “cose significative”: un paio di zoccoli con la suola macchiata di sangue e un pigiama (composto da
giacca e pantaloni), ritrovato sul letto di Samuele.



• 2 febbraio. I Ris effettuano la Bloodstain Pattern Analysis. Un accertamento
scientifico idoneo a verificare la direzione di provenienza delle macchie di
sangue. Si analizza la distribuzione delle tracce di sangue ritrovate sulla
giacca e sui pantaloni del pigiama. I Ris vogliono capire, in base alla forma
delle macchie di sangue, se il pigiama fosse indossato dall’assassino mentre uccideva Samuele. La domanda è: le macchie di sangue trovate sul pigiama sono schizzi o gocce?



• 1° marzo. I Ris depositano i risultati della Bloodstain Pattern Analysis. Le
conclusioni: l’assassino colpiva 17 volte Samuele con il braccio destro; usava un oggetto col
manico; stava sul letto in ginocchio vicino al fianco sinistro della vittima.
Nessun dubbio sulle macchie di sangue rinvenute sia sulla giacca che sui
pantaloni del pigiama della signora Franzoni: sono schizzi, non gocce. La
giacca del pigiama era indossata dall’assassino al rovescio, con le cuciture verso l’esterno, e al contrario, ovvero con i bottoni davanti posti sulla schiena.



• 6 marzo. I Ris individuano tracce di sangue sulla suola di un paio di zoccoli
della signora Franzoni, in particolare sulla suola di quello sinistro. Secondo
l’accusa questo elemento significa che la signora Franzoni indossava gli zoccoli
mentre uccideva Samuele.



• 7 marzo. Il pm Stefania Cugge deposita al gip Fabrizio Gandini la richiesta di
misura cautelare in carcere nei confronti della signora Franzoni. L’accusa: omicidio. La prova principale: gli accertamenti dei Ris.



• 14 marzo. è appena passata mezzanotte, i carabinieri convocano in caserma la Franzoni. La
donna va insieme al padre e al marito. I carabinieri le notificano l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Dopo impronte e foto segnaletiche,
la signora Franzoni parte per il carcere delle Vallette di Torino, entra in
cella tra le 4.30 e le 5. La motivazione del provvedimento cautelare afferma:
le macchie di sangue sul pigiama della signora Franzoni sono schizzi, non
gocce. D’altra parte chi poteva uccidere Samuele se non la Franzoni?



• 20 marzo. L’avvocato Carlo Federico Grosso, allora difensore di Annamaria Franzoni, impugna
l’ordinanza di misura cautelare in carcere dinanzi al Tribunale della libertà di Torino.



• 29 marzo. L’udienza inizia alle 12 e termina alle 21.30. Due tesi contrapposte. Quella dei
Ris. Quella dei consulenti della difesa, prof. Torre e dott. Robino. I primi
sostengono che l’assassino era sul letto in ginocchio, a sinistra di Samuele, e che indossava
pantaloni e giacca del pigiama, come dimostrano gli schizzi. I secondi
criticano le conclusioni dei Ris. Mettono in discussione la posizione che
secondo i Ris aveva l’assassino e di conseguenza la direzione e la natura degli schizzi di sangue.
Affermano che il pigiama non era indossato dall’assassino. Il pigiama era sul letto e si è sporcato di gocce e schizzi di sangue perché era rimasto accanto a Samuele mentre quest’ultimo veniva ucciso.



• 30 marzo, ore 14.00. Il Tribunale della libertà di Torino annulla la misura cautelare in carcere disposta nei confronti della
signora Franzoni. I giudici torinesi concludono in maniera opposta rispetto al
gip. Mettono in evidenza che soltanto una piccola parte degli esiti delle
indagini ha effettiva valenza indiziaria, e che invece altri esiti
investigativi sono in contraddizione tra loro e non sono tali da lasciare
ipotizzare la responsabilità di Annamaria Franzoni. Sottolineano che vari riscontri scientifici inducono a
escludere che l’aggressore del piccolo Samuele indossasse il pigiama di Annamaria Franzoni (sul
quale sono state rilevate macchie di sangue) mentre compiva il delitto.
Inoltre, sarebbe da escludere che in base alle tracce di sangue rilevate sugli
zoccoli bianchi della donna si possa concludere che essi fossero calzati dall’assassino al momento del delitto.



• 30 marzo, ore 15.00. La signora Franzoni esce dal carcere le Vallette di Torino.



• 3 luglio 2003. La Procura di Aosta chiede il rinvio a giudizio per Annamaria
Franzoni con l’accusa di omicidio volontario aggravato.



• 16 settembre. L’udienza preliminare dinanzi al gup di Aosta, dott. Eugenio Gramola. Il giudice
Gramola si trova di fronte a un caso difficile: un bambino ucciso, nessun
testimone, due ricostruzioni scientifiche, accusa e difesa, contrapposte. Il
giudice ordina una ulteriore ricostruzione scientifica e dà l’incarico al dott. Schmitter, esperto della polizia tedesca. Il giudice chiede
all’esperto di stabilire se l’assassino indossava il pigiama mentre uccideva Samuele; se sul pigiama della
Franzoni ci sono schizzi o gocce di sangue; se le macchie di sangue, su una
suola degli zoccoli della Franzoni, sono indicative.



• 8 aprile 2004. Il dott. Schmitter deposita il suo elaborato. Conclusione: “La persona che ha commesso il delitto ha colpito la vittima con indosso solo i
pantaloni del pigiama”; “le altre tracce rinvenute sulla giacca del pigiama e sugli zoccoli non sono
necessariamente collegate al fatto”.



• 19 luglio, ore 9.30. L’avv. Carlo Taormina chiede che la Franzoni sia giudicata dal gup con il rito
abbreviato. Si procede. L’accusa conclude per la condanna a trent’anni. La difesa chiede l’assoluzione. Il gup di Aosta Eugenio Gramola si ritira in camera di consiglio
per decidere.



• 19 luglio, sera. Il giudice Eugenio Gramola condanna Annamaria Franzoni a trent’anni di reclusione. La sentenza di condanna è composta da novantadue pagine. Le prove della colpevolezza dalla lettura sono:
l’assenza di un alibi per la Franzoni (una paginetta, la 51); il fatto che l’assassino indossava i pantaloni del pigiama e “forse” anche la giacca e gli zoccoli (due pagine scarse, la 55 e la 56); il fatto che
la Franzoni mentiva affermando di avere gli zoccoli indosso mentre soccorreva
Samuele (12 righe, a pagina 57). La mancanza di un alibi non può costituire una prova. Di conseguenza l’unica prova è costituita dagli accertamenti tecnici. Una condanna a trent’anni di carcere sulla sola base di accertamenti tecnici. Il valore scientifico
dei quali è sconosciuto. Non si sa se le metodologie utilizzate siano riconosciute dalla
comunità scientifica o meno. Nulla si sa sul grado di certezza prodotto da questi
accertamenti. Il guanto di paraffina, accertamento tecnico, ha prodotto
numerosi ergastoli ingiusti, prima che fosse scoperta la sua inaffidabilità. Non è stata applicata nessuna attenuante. Escluso il vizio parziale o totale di
mente. Una madre che uccide il figlio è sana di mente.



• 30 ottobre. La difesa della signora Franzoni presenta appello contro la sentenza
di condanna.



• 16 novembre 2005. Inizia il processo di appello dinanzi alla Corte di assise di
Torino. Schizzi o gocce?» (Il Foglio).



«Il vero reality show della tv italiana è stato l’omicidio del piccolo Samuele. Per due anni è andato in onda su molte reti, ha mobilitato noti conduttori, ha coinvolto
schiere di esperti, di innocentisti e di colpevolisti, ha sperimentato nuove
strategie difensive. Ha offerto sensazionali colpi di scena, come l’annuncio in diretta della nuova maternità di Annamaria Franzoni, ha persino emesso, in una famosa puntata del Costanzo Show, un verdetto di assoluzione. Non così il tribunale di Aosta. Tutto comincia la mattina del 30 gennaio 2002, in una
villetta di Montroz, in Val d’Aosta. Per giorni e giorni i tg aprono con la notizia del bambino di tre anni
assassinato nel suo letto e Cogne si trasforma presto in un set televisivo:
parabole, telecamere, microfoni, cronisti ma anche dicerie, pettegolezzi,
sussurri. Sembra la scena di un film, qualcosa a metà tra L’asso nella manica e il Truman show tanto che il sindaco Osvaldo Ruffier vorrebbe smantellare quell’improvvisato teatro di posa: “Basta citarci come il paese del delitto, è tempo di turismo!”. Già perché, intanto, l’unica indagata è proprio la mamma di Samuele e l’idea che una madre abbia potuto uccidere il proprio figlioletto è così aberrante che quelle immagini si imprimono nella memoria di tutti: la villetta
isolata, i carabinieri che entrano ed escono dalla casa, i giocattoli
abbandonati nel cortile, gli zoccoli, il pigiama. La prima parte del reality
vede sotto accusa gli organi di informazione: i giornalisti sono incolpati di
essere invadenti e morbosi, e le trasmissioni tv bollate come “forcaiole”. L’allora ministro Umberto Bossi parla addirittura di “campagna di tv e giornali contro la madre di Samuele, fatta da chi vuole
distruggere la famiglia”. Poi la svolta: l’avvocato difensore Carlo Federico Grosso viene “nominato” ed esce dalla Casa (anzi, dal caso); al suo posto una new entry, l’avvocato Carlo Taormina. E qui il reality subisce una clamorosa svolta, così sintetizzabile: fronteggiare un’opinione pubblica colpevolista. Così l’imputata viene trasformata in personaggio tv e la disperazione che sta alla base
di simili scelte diventa esca per accendere i fuochi dei talk show:
Porta a porta allestisce una piccola compagnia di giro, da Grand Guignol, guidata dallo
psichiatra Paolo Crepet e dal criminologo Francesco Bruno, e serializza l’evento con tanto di modellino in studio. Due i coup de théâtre che pongono il sigillo su questa inedita condotta giuridico-mediatica: nel
marzo del 2002 la Franzoni si concede prima alle telecamere di Studio aperto (piange con disperazione) e poi, quattro mesi dopo, a quelle del Costanzo show. La madre del piccolo Samuele, guardando in macchina, si rivolge direttamente
all’ignoto assassino: “Tu che l’hai fatto devi dire che sei stato tu...”. La trasmissione decide che la Franzoni è innocente: “Se recita, recita così bene che la voglio scritturare”, dichiara il conduttore. Da un punto di vista mediatico, la Franzoni viene
dunque assolta. è vero che in cambio deve dare una notizia in esclusiva (l’annuncio di una nuova maternità), concedersi alla morbosità del pubblico, mettere in mostra angoscia e orrore, “recitare la parte” ma questo fa parte del gioco, del reality appunto» (Aldo Grasso)
• «Quello che penso per il futuro è quando i miei figli, Davide e Gioele, comunque vadano le cose, qualunque cosa
io dica loro, troveranno una raccolta di giornali in una biblioteca e
leggeranno che io ero un mostro, che per voi, per quelli che non sanno nulla,
ero un mostro. Questo farete leggere» • «La condanna? Non me ne frega niente, a me interessa trovare l’assassino. Io sono una mamma e vivo per i miei figli» • «Non mi nascondo dietro a un paio di occhiali scuri o nel ritocco di un lifting.
Per strada c’è chi ammicca e dice: guarda chi è quella. Una donna ha mangiato un dolce con la mia marmellata e lo ha sputato: è sangue della Franzoni, ha detto. Ma io tiro diritto per la mia strada. Quello
che mi interessa è la verità».