Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
DAMI Elisabetta 1959. Scrittrice. Autrice della saga di Geronimo Stilton • «Il patto, siglato nella redazione dell’Eco del Roditore, è che non la si chiami “autrice”
DAMI Elisabetta 1959. Scrittrice. Autrice della saga di Geronimo Stilton • «Il patto, siglato nella redazione dell’Eco del Roditore, è che non la si chiami “autrice”. Tutt’al più madrina, scopritrice, talent scout del celebre topo dalle uova d’oro. “I bambini credono che Geronimo esista davvero: perché deluderli?”, dice muovendosi con grazia nel giornale diretto da Stilton e ricreato con raggelante verosimiglianza a uso dei ragazzini in visita. A differenza della mamma di Harry Potter, J. K. Rowling, ritratta dalla stampa inglese nelle piangenti vesti di single mother abbandonata, Elisabetta vanta tutta un’altra storia. A cominciare dalla lunga e fortificante esperienza con il padre Pietro Dami, l’editore dei giganteschi album illustrati tradotti all’estero, il maestro che le ha insegnato a “costruire storie esportabili: un mondo fantastico fuori da spazi riconoscibili, animali al posto di bambini”. La giovinezza non deve essere stata tra le più quiete: giro completo del mondo, corsi di sopravvivenza nel Maine, trekking in Nepal, maratone nel deserto (cento chilometri nel Sahara), gare su fuoristrada in Africa (Tunisi-Cape Town). Ha anche il brevetto di pilota e di paracadutista, e le capita non di rado di guidare il deltaplano. “Una ribelle di razza”, dice di lei la scrittrice Vivian Lamarque. Una figlia irrequieta che a un certo punto taglia con l’ingombrante padre e trasloca insieme alla sua dorata creatura alla Piemme, di cui acquista il cinquanta per cento. “Ma a mio padre devo tutto”, dice lei con convinzione. “Ancora oggi è il mio consigliere più ascoltato. Se me ne sono andata è perché sentivo il bisogno di mettermi alla prova, fuori dalle protezioni famigliari”. Confessa di vivere in simbiosi con Stilton, di condividerne paure e nevrosi. “Per dirla con Flaubert, monsieur Geronimo c’est moi”. Sulle sue storie - con cadenza ormai mensile - lavora giorno e notte, traendo ispirazione da amici e congiunti che vengono così caricaturizzati, “ma loro non se ne accorgono”. In fondo ha inventato un genere, mescolanza tra fumetto - nitidi e curati i disegni - e narrazione elementare, depurata da parole difficili e resa più lieve da calligrammi e voci onomatopeiche. “La critica mi obietta che sono libri-non libri. Forse è vero: ma è il primo approccio dei bambini alla lettura”. Può sorprendere che all’origine di questa storia fortunata ci sia l’esperienza del dolore. “Tutto ebbe inizio dal mio volontariato per bambini malati. Era un periodo delicato della mia vita: io avevo bisogno di stare vicino a loro, loro sentivano le mie energie. Ho cominciato con le buffe avventure d’un topo sventato e incline all’infortunio. I piccoli si divertivano, stavano meglio. Erano loro a suggerirmi il lieto fine”» (Silvia Fumarola).