Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
FORLANI
Arnaldo Pesaro 8 dicembre 1925. Politico • Presidente del Consiglio dall’ottobre 80 al maggio 81. Giornalista professionista, eletto deputato
democristiano per la prima volta nel 58. Nel 69 segretario politico del
partito. Nell’89 rieletto segretario politico del partito. Nel 94 è stato coinvolto e processato per la maxitangente Enimont insieme a tutti i
segretari del vecchio pentapartito nell’ambito dell’inchiesta Mani pulite (vedi CUSANI Sergio): tristemente memorabile la sua
deposizione in tribunale: pallido, quasi incapace di aprir bocca, un filo di
saliva all’angolo della bocca
• Ai bei tempi perennemente in gessato. Furbo, prudente, è la “F” del Caf che ha dominato gli anni Ottanta (Craxi-Andreotti-Forlani) • Interista e buon mediano in gioventù • «Fu uno dei politici più potenti della Prima Repubblica - da segretario della Dc a presidente del
Consiglio, mancando il Quirinale per 29 voti appena: fronda andreottiana, pare» (Sebastiano Messina) • «Grandiosa stagione di leader del “Caf”, slogan memorabile che riassumeva la sua complicata alleanza a tre, con Craxi e
Andreotti. Una stagione in apparenza invincibile, fino alla rivoluzione
giudiziaria del 92. Un curriculum lungo come un lenzuolo. Per 34 anni, dal 58
al 92, deputato della Democrazia cristiana e per due volte segretario, all’inizio degli anni Settanta e poi, alla fine, dall’89 al 92. Sei volte ministro, dalle Partecipazioni statali alla Difesa agli
Esteri. Presidente del Consiglio dei ministri nel 83 e due volte vicepresidente
a fianco di Craxi. Infine, stroncato - con una condanna a tre anni — dalle vicende di Tangentopoli» (Cesare Lanza)
• Natalia Aspesi sulla Repubblica del 18 dicembre 1993: «Si sgretola definitivamente il grande Caf, in quest’aula del tribunale, surriscaldata dalla tensione e dall’attesa di uno spettacolo straordinario e tetro, umiliante non solo per i suoi
protagonisti eccellenti, adesso qui testimoni “indagati per reato connesso” , ma anche per tutto il Paese, che per anni li ha voluti ai suoi vertici, alla
sua guida. Un polo del Caf, Giulio Andreotti, ha subìto l’oltraggio di un vero e proprio interrogatorio lunghissimo, da parte dei giudici
di Palermo, e un confronto con un criminale pluriassassino. Gli altri due,
Arnaldo Forlani e Bettino Craxi, ieri si sono trovati nella desolata situazione
di doversi difendere, qui a Milano, aggrappati alle loro verità che paiono menzogne e che pure accanitamente ripetono, come fanno da mesi.
Tutti e due sono stati presidenti del Consiglio, tutti e due sono stati
segretari dei loro potenti partiti, la Democrazia cristiana e il Partito
socialista: Forlani per due volte, Craxi per 17 anni di seguito, sino a quel
maledetto 92, quando anche Forlani ha dovuto ritirarsi. Come potessero
governare insieme, al di là di eventuali ragioni di interessi non solo politici, appariva ieri quasi
impossibile, tanto i due uomini sono diversi umanamente. Anche nell’affrontare la Corte e il pm Di Pietro, che tutti e due già conoscono, anche nell’affrontare il senso amaro delle loro responsabilità: Forlani, per difendersi, nega tutto, non solo per sé e per la Dc, anche per tutti i partiti. Craxi, per difendersi, accusa tutti i
partiti, il Psi, ma mai se stesso. Li unisce invece il giudizio sprezzante sull’accusa di aver ricevuto dalla dissanguata Enimont 35 miliardi (la Dc), 75
miliardi (il Psi, evidentemente considerato degno di maggiori riguardi): “La notizia della maxitangente è un maxibugia, una maxifavola”, dice compìto Forlani, ascoltato a metà mattina. Mentre Craxi, che chiude la giornata come una star, è più brusco: “La maxitangente è una maxiballa”. E paiono essersi messi d’accordo per scaricare ogni trama, ogni illecito, ogni maneggio di sporchi
miliardi, ogni trasporto di borsone-casseforti, a silenziosi, arruffoni, in
fondo eroici segretari amministrativi. “Citaristi aveva un compito ingrato, quello di raccogliere denaro, ho molta
comprensione per lui”, dice Forlani evocando la sofferenza del vecchio servitore del partito. Infine
Craxi, malgrado la sua capacità di imporsi, è un vinto, come Forlani, che pare una statua di sale se non fosse per la bava
che gli scende all’angolo della bocca, segnale di disperazione. Non sapeva niente, non voleva saper
niente, non chiedeva niente, il partito divorava miliardi ma non gli
interessava sapere quanti, non era suo compito: pare una di quelle mogli
spendaccione che non chiedono al marito impiegato come fa a regalargli il
visone. Non sapeva che il suo partito prendesse denari illeciti, ma neanche che
lo facessero altri partiti: viveva in un suo mondo di fiaba, dove i miliardi
fioriscono per conto loro. Andava a cena con Gardini, o Sama e Cusani per
parlare del futuro del mondo, confonde gli anni cruciali, non ricorda gli
incontri pericolosi. Contraddice quel che ha detto in un’altra udienza Citaristi, non si sa se dica il vero o il falso: la sua voce è una nenia soporifera, le sue risposte un groviglio di frasi fatte: eppure, lui
segretario politico, la Dc nella catastrofica elezione del 92 fu votata ancora
da più di 11 milioni di italiani, il 29,7%. In poco più di un anno la Dc si è frantumata, e il suo ex segretario ha chiuso».