Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
JANNACCI
Enzo (Vincenzo) Milano 3 giugno 1935. Cantante. Autore. Attore. Chirurgo. «Sono sempre stato scomodo, anche per la medicina» • Suo più grande successo Vengo anch’io. No, tu no (1967). Altri brani celebri: L’Armando e El portava i scarp del tenis (1964), Quelli che... (1975), Ci vuole orecchio (1980), Se me lo dicevi prima (1989). Tra i film L’udienza (Ferreri, 1971). «Guardi, io mi definisco un medico fantasista, c’è scritto anche sulla carta d’identità». In teatro, celebre messa in scena, nel 90, di Aspettando Godot di Beckett. L’altro clochard era Giorgio Gaber • Padre aviatore di origini pugliesi («un napoli, si diceva all’Ortica») ma nato a San Fermo della Battaglia (Como): «Poteva diventare generale e invece è morto maresciallo per star vicino ai suoi uomini. Io ho fatto il medico perché mio padre voleva che imparassi cosa è la sofferenza e a stare vicino alla gente»; madre monzese, figlia di lavandaia, «ma forse figlia illegittima di un pezzo grosso, addirittura un conte» • «La gavetta è stata lunga: suo padre lavorava all’aeroporto Forlanini, quello citato in El portava i scarp del tenis, e in casa Jannacci negli anni Cinquanta di soldi ne circolano pochi. Il
giovane Enzo studia e lavora. Suona jazz nei locali della “Milano che cambia” e, nel 56, diventa il tastierista dei Rocky Mountains che si esibiscono al
Santa Tecla, il tempio cittadino del rock’n’roll, dove la voce è Tony Dallara, presto sostituito da Giorgio Gaber con cui formerà I corsari. Tempi di musica e di cabaret e di lavoro duro in ospedale per
Jannacci, ormai diventato dottore. Tempi di successi e di rifiuti. Di
esaltazioni e di delusioni»
• «Al Derby ero arrivato all’inizio dei Sessanta, per due motivi, per fame e per Dario Fo. Che c’entra Fo? Io fino a quel momento non ero nessuno. Sì, avevo fatto qualcosina con Giorgio Gaber, ma ero l’ultimo arrivato e c’erano in giro cantautori come Bindi, e poi Sergio Endrigo, gli altri... Un
giorno ero a Roma, a registrare alla Ricordi, e Dario lì a sentirmi. “Vieni a casa mia”, mi dice poi. Una volta lì mi fece ascoltare
La luna è una lampadina, Il foruncolo, canzoni che poi misi nel Milanin Milanon. E lì iniziò una bella collaborazione che dura ancora oggi. Lui mi considera suo figlioccio.
Insomma fu Dario che mi spinse sulla strada che poi tutti conoscono. Mi ha
insegnato tutto. Io ero pazzo, è vero, come diceva Gaber, ma mica scemo. Sapevo imparare. Scrivemmo insieme
canzoni come Ho visto un re, L’Armando, Il primo furto non si scorda mai, che poi erano storie disperate in musica, cabaret appunto, già attraversato da una vena satirica che è stata poi una delle caratteristiche della comicità milanese di quegli anni. Studiavo Medicina e dovevo mantenermi agli studi.
Suonavo il pianoforte, facevo concertini nelle fabbriche o in piccoli locali.
Al Derby all’epoca c’era Enrico Intra che invitava un mucchio di bei musicisti, ma a notte fonda
lasciava posto anche ai giovani. Il Derby era così, si stava insieme, celebrità e sconosciuti. è lì che ho sentito
El portava i scarp del tenis suonata dal Modern Jazz Quartett. Tanti di quei giovani ne ho portati io. Cochi
e Renato li avevo visti al Club 64 di Tinin Mantegazza, altro cabaret milanese
anche se più politico, più intellettuale. Cochi cantava canzoni popolari e Renato faceva da spalla. Li
portai con me. Da Torino chiamai anche Felice Andreasi e poi Lino Toffolo, che
era il più bravo» (ad Anna Bandettini) • «Enzo Jannacci racconta di un’umanità cialtrona, dolente, rassegnata, folle, egoista, generosa e distratta. Le sue
canzoni sono umanità in movimento, popolate da esseri così poco interessanti per il prossimo da parere nissun, dei nulla con gli occhi
impastati di cemento, traffico, fatica e lacrime che vivono e muoiono
contromano. Non sono grandi malfattori, ma pali guerci di bande di ladri
improvvisati, sono mariti che si accorgono che gli affanni per le rate di
questo e di quello hanno ucciso l’amore. Non sono grandi eroi, ma uomini che sanno morire con dignità allungando il passo. Sono i protagonisti di storie minime, sono persone e non
personaggi che raccontano tutta la loro vita in un lampo, nel tempo di una
canzone [...] Enzo Jannacci è un artista che con la chiave dell’assurdo e del nonsenso svela, con levità e apparente svagatezza, la fatica del quotidiano, la crudezza di vite vissute
solo con gli abiti di tutti i giorni ma con una voglia, talvolta irrefrenabile,
di fantasia. Il suo è un coinvolgente recitare cantando e cantare recitando, tra guizzi surreali di
pensieri che si attorcigliano su loro stessi, tra pause che solo lui può permettersi e che vanno a comporre un senso di smarrita verità. La verità di
Sei minuti all’alba per ricordare, senza retorica e con dolcezza, chi è morto per la libertà. La verità del gioco, della beffa, del guardare questa povera società piena di facili ricchi, “ricch” e non “sciuri”, con amara consapevolezza ma con la forza di chi vuole continuare a farsi beffe
di tutti “quelli che...” e lo sa fare con quella impalpabile naturalezza che è dei grandi artisti» (Magda Poli) • «Il Vaticano, certa Dc non mi hanno mai sopportato. Mi lasciavano cantare Vengo anch’io. No, tu no perché era tranquilla e infatti con quella canzone ho fatto il botto. Ma se cantavo
cose come La costruzione sulle morti sul lavoro o Sei minuti all’alba che parla di Resistenza, mi tenevano lontano dalla tv» • «Mettiamola così: Jannacci non ha mai rifatto il verso a nessuno e nessuno ha mai imitato
Jannacci. E già questo lo isola. Può cantare canzoni di altri (da Fo a Chico Buarque, da Conte a Fortini) e altri
possono cantare canzoni sue (da Tenco a Milva, da Mina a Lauzi), ma resta un
isolato» (Gianni Mura) • Sposato con Giuliana Orefice, un figlio, Paolo (Milano 5 gennaio 1972),
pianista, compositore, arrangiatore (nel 2008 esce il suo disco Trio). A fine 2006 l’album The Best, antologia con inediti curata dal figlio • Viaggia su di una Volvo usata, in città gira invece con un Sì della Piaggio. Possiede anche una Fiat 127 d’epoca • Parla cinque lingue (inglese, francese, tedesco, svedese e un po’ di russo). «Dopo anni da chirurgo, ora studio medicina d’urgenza, una specialità che è sempre utile» • Casa di vacanza a Bosco sul Corniglio, piccolo centro della Cisa • Milanista.