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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

ARIGLIANO

Nicola Squinzano (Lecce) 6 dicembre 1923. Cantante. «Il più grande crooner di casa nostra» (Paola Zonca). «Il Buena Vista di casa nostra» (Marinella Venegoni). «Nell’aspetto, il più serio dei nostri cantori. Non si abbandona a smancerie, a leziosaggini. Si
direbbe che canti perché debba sostenere il peso della famiglia con le proprie corde vocali. È una risorsa per i fredduristi tv che, attribuendogli scarsa venustà, fanno sul suo conto battute come “Adesso viene il bello”. Allusioni ingiuste, in quanto pare che l’A. abbia vinto un concorso di bellezza. Del resto sarebbe certamente bello, se
fosse un cantante negro. Ha la maschera d’un pulcinella tutt’altro che allegro e bonario. Un pulcinella etrusco, in terracotta, disseppellito
in uno scavo di necropoli e ancora coperto di zolle aggrumate. Canta con un suo
distacco di gentiluomo campagnolo. La sua voce simpaticamente sgangherata
potrebbe autorizzare il nome di “Aragliano”. Da pubblicazioni specializzate: “Trascorre molto tempo a studiare antichi documenti bizantini; conosce
perfettamente l’arabo”. È stato garzone macellaio e fattorino postale. I concittadini (pugliesi) gli
hanno regalato un pappagallo che sa dire “amorevole” come lui. Trecentomila lire a sera» (Achille Campanile sull’Europeo nel 1960)
• «La vita del solitario Arigliano ha tratti romanzeschi. Scappò di casa che aveva undici anni. Fu per vergogna: racconta che era stanco di
vedere i suoi familiari che ogni volta che lui apriva bocca ridevano; pure la
madre, massimo dello sconforto. Il fatto È che aveva un difetto, una potente balbuzie, e non c’era modo di uscirne. Così un giorno prese il treno che da Squinzano, il paesino in provincia di Lecce in
cui era nato e viveva, lo portò a Milano. Qui rintracciò i tanti amici emigrati prima di lui con le loro famiglie, gli stessi che per
primi, nei giorni delle vacanze estive, gli avevano fatto balenare l’idea della fuga. A metà degli anni Trenta l’undicenne Nicola, maturo come un adolescente, si cercò casa, i primi lavoretti, e cominciò a coltivare il sogno di diventare un musicista. Sarà per quella iniziale balbuzie che Arigliano si È sempre considerato “il cantante che non canta”, una voce che sussurra, sottolinea le parole. Un crooner italiano, insomma, e
fu del tutto naturale accentuare la sua passione per lo swing seguendo questa
sua inclinazione» (Carlo Moretti).