Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
DEBENEDETTI
Franco Torino 7 gennaio 1933. Politico. Si è laureato in Ingegneria elettronica al Politecnico. Ha lavorato in importanti
aziende: Fiat, Olivetti (amministratore delegato e vicepresidente), Sasib
(presidente), consigliere d’amministrazione di Cir e Cofide. Nel 94 è stato eletto senatore nelle liste del Pds, rieletto nel 96 e nel 2001. Nel 96
ha vinto il premio Ezio Tarantelli per la migliore idea nel settore dell’Economia e della Finanza. Fratello di Carlo De Benedetti
• «A metà fra industria e politica. Un po’ com’era Bruno Visentini, su una posizione ideologica e politica simile. Del senatore
Franco Debenedetti si dice quello che Eugenio Scalfari diceva di Visentini: “è l’uomo più a sinistra della destra e più a destra della sinistra”. è fratello di Carlo De Benedetti e con lui ha percorso gran parte della storia
industriale del dopoguerra italiano. Ma, a differenza del fratello, a un certo
punto ha mollato tutto, fabbriche, consigli di amministrazione, presidenze, e
ha scelto la politica» (Claudio Sabelli Fioretti)
• Il fratello si firma De Benedetti: «In famiglia ci sono degli attaccati e degli staccati, anche tra i fratelli di
mio padre. Mio padre si è sempre scritto attaccato. I miei cugini alcuni staccati, altri attaccati» • «Mio padre aveva una fabbrica. Era per metà ebreo ma le leggi razziali in Italia erano blande. Quando scoppiò la guerra scappammo in Svizzera, a Lucerna. A Torino abitavamo in corso
Matteotti 26, nella casa degli Agnelli, nell’appartamento di sopra. In Svizzera imparai il tedesco. Da allora ho una grande
passione per Thomas Mann e Thomas Bernhardt. Ho chiamato mio figlio Tommaso per
quello. In Svizzera vivevamo in una pensione al secondo piano. Un giorno io e
Carlo, dal balcone, sputammo in testa a un soldato. Mio padre ci picchiò, per dimostrare alla recluta svizzera che i padri italiani non transigono.
Fabbricavamo tubi metallici flessibili, per motori. Durante la guerra la
fabbrica fu distrutta. Mio padre la ricostruì, pilastro su pilastro. Vendeva un po’ di tubi e costruiva un pilastro. Ne vendeva altri e faceva la soletta. Facevo
di tutto, portavo anche alla stazione i pacchi dei tubi da spedire. Andai a
studiare una lavorazione in Germania e la introdussi in Italia. Stabilii un
cottimo che se lo facessi oggi finirei in galera. Era talmente trainante che
gli operai avevano coniato l’espressione “Pissé ’n ’dla tola”. Pisciare nella tolla. Per guadagnare di più non andavano nemmeno al gabinetto. Gli operai erano contenti... poi alla fine
dovemmo smettere... gli operai guadagnavano più dei capi reparto. Agnelli aveva adocchiato Carlo. Gli offrì di diventare amministratore delegato e di comprare la nostra fabbrica. Io
divenni capo del settore Componenti. Due anni eccezionali. Poi decisi di venir
via. L’uscita di Carlo era stata vissuta in modo non sereno da entrambe le parti»
• Seguì suo fratello in Olivetti. «Mi convinse Visentini. Furono anni difficili. L’Olivetti era un’azienda complicata. Feci la scelta della politica. Ho sempre frequentato
intellettuali più che colleghi industriali. Pestelli, Vattimo, Mila. Una sera i Pestelli
organizzarono una cena per raccogliere fondi per l’elezione di Violante. Io aderii e mio fratello si incazzò molto. In quegli anni essere a favore del Pci non era il massimo».