Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
ULTIMO
(Sergio De Caprio) Montevarchi (Arezzo) 21 febbraio 1961. Capitano (poi colonnello) dei carabinieri. Uno degli uomini
che arrestarono Totò Riina (vicenda che gli ha anche causato problemi giudiziari per i ritardi nella
perquisizione del covo), noto al grande pubblico per una fiction tv
(interpretato da Raoul Bova) • «Fino al 25 maggio del 2000 è stato un uomo senza volto, senza identità. Se doveva testimoniare in un’aula di giustizia si copriva con un cappuccio, se doveva prendere un aereo gli
sceglievano nome e cognome di fantasia. Per tutti era Ultimo, il nemico dei
mafiosi. L’Arma lo aveva sempre protetto, pur sopportando con qualche difficoltà il suo carattere irruente, i suoi modi certamente estranei alla disciplina di
una forza armata. Quel giorno Ultimo capì che la fine era arrivata. Un comunicato di venti righe dettato alle agenzie di
stampa dal Comando generale dei carabinieri respingeva le sue accuse di essere
stato “lasciato solo e senza mezzi” per combattere le cosche. In quella nota, per ben tre volte, veniva nominato il
maggiore Sergio De Caprio. “L’Arma rompe il silenzio”, titolarono i giornali. Il leggendario capitano Ultimo ormai era uno dei tanti.
La sua battaglia per continuare a combattere la mafia come aveva sempre fatto,
era stata interrotta. L’uomo, che dopo aver catturato Totò Riina sognava di poter prendere anche Bernardo Provenzano, fu costretto ad
arrendersi. Gli investigatori che assieme a lui avevano passato giorni e notti
a dare la caccia al capo della mafia, erano stati quasi tutti destinati a nuovi
incarichi. Via Arciere, via Ombra, via tutti, uno dopo l’altro. E alla fine, via anche Ultimo, destinato al Noe, il nucleo operativo
ecologico» (Fiorenza Sarzanini)
• «Tienanmen, Toro Seduto, il Che. E un carabiniere “che se lo vedi non sembra neanche un carabiniere, giubbino di pelle, pantaloni
sdruciti, i guanti senza le dita e le sciarpone”, Pino Corrias si blocca, fruga nella memoria a caccia di un’immagine: “Un ragazzo della contestazione. Ecco a chi assomigliava, Ultimo. Un grande capo
carismatico, con una squadra di una decina di ragazzi, Vichingo, Arciere, erano
ragazzi sul serio, e lo adoravano”. L’anno è il 99, “stavo scrivendo la sceneggiatura per la fiction, e volevo sapere come lavorava,
chi era questo tizio che da vent’anni vive in clandestinità, con 7-8 condanne a morte che lo seguono e non vanno in prescrizione”. E il primo incontro tra il giornalista scrittore e il segugio antimafia: “Entro e vedo questa scrivania con il ripiano di vetro e, sotto, un bandierone
con la faccia del Che. Alzo lo sguardo, c’è Toro Seduto, e piazza Tienanmen, l’omino con il sacchetto della spesa che ferma i tank”. Tre personaggi, tre storie, “quello in cui crede sta lì, ognuno è libero se ha il coraggio di esserlo”. Inutile dire che Corrias all’ipotesi del favoreggiamento non dà corda, “penso che Ultimo
(il nome vero non lo usa mai — ndr) si senta investito da una missione collettiva, combattere la criminalità”. Il rivoluzionario, lo studente di Pechino, il capo indiano, “Ultimo è un cacciatore solitario, se non è più nel Ros ma al Noe, il Nucleo operativo ecologico, è anche perché ha una concezione individualistica del lavoro: l’uomo solo contro i tank. E nell’Arma, l’iniziativa personale non credo sia molto apprezzata”. Il dubbio sul blitz rimandato si scioglie in un’incomprensione, “probabilmente pensavano che altri reparti controllassero la casa, e poi c’era lo stress di anni sotto copertura, a fingersi spazzino o barbone”. Insomma, la triangolazione Mori-Ultimo-mafia a Corrias non torna, “può darsi ci sia stata una sovrapposizione di livelli investigativi che agivano all’insaputa l’uno dell’altro, che sia stato attivato qualche canale... Però lui ha continuato a fare il capitano, poi è diventato colonnello, ma ha sempre lavorato le sue 20 ore al giorno: se c’era un accordo con la mafia, possibile non gli sia venuto un tornaconto?”» (Gabriela Jacomella).