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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

SAVOIA

Vittorio Emanuele (Alberto Carlo Teodoro Umberto Bonifacio Amedeo Damiano Bernardino Gennaro
Maria) Napoli 12 febbraio 1937. «Io sono tirchio» (ai magistrati che lo interrogavano) • Unico figlio maschio di Umberto Il, re d’Italia (15 settembre 1904-18 marzo 1983) e di Maria José (4 agosto 1906-27 gennaio 2001), regina d’Italia, nata Saxe-Coburgo Gota, principessa reale del Belgio. L’11 gennaio 1970 a Las Vegas (rito civile) e il 7 ottobre 1971 a Teheran (rito
religioso) ha sposato Marina Ricolfi Doria dalla quale ha avuto Emanuele
Filiberto • È, in linea dinastica, il successore al trono d’Italia, una volta che il Paese trovasse il modo di tornare alla monarchia (cosa
che la Costituzione impedisce). Questo diritto, apparentemente indiscutibile,
gli È stato tuttavia contestato più volte (anche a causa del suo comportamento) e da ultimo, formalmente, dalla
Consulta dei senatori del Regno, che lo scorso 7 luglio lo ha dichiarato
decaduto indicando in Amedeo di Savoia il successore. Vittorio Emanuele,
secondo questo atto, si sarebbe escluso da sé sposando una non-nobile (Marina Doria). Sarebbe decisivo il fatto che Umberto
non abbia riconosciuto il matrimonio. Il figlio di Vittorio Emanuele, Emanuele
Filiberto, ha contestato, richiamandosi allo Statuto albertino e alla legge
salica, la decisione in sé e il diritto formale della Consulta (un’associazione privata) a deliberare
• Aldo Mola sostiene che il 15 dicembre 1969, con un decreto, Vittorio Emanuele
dichiarò decaduto il padre e si proclamò re d’Italia • Un’altra corrente di pensiero dice che Umberto II stesso ha posto fine alla
monarchia dei Savoia facendo chiudere nella propria bara il sigillo reale • Vittorio Emanuele, in base alla XIII disposizione transitoria della
Costituzione italiana ha vissuto in esilio fino al 2003. Abrogata dal
Parlamento italiano quella disposizione (prima Vittorio Emanuele e suo figlio
hanno giurato per iscritto e senza condizioni fedeltà alla Costituzione e al presidente della Repubblica, avallando l’inesistenza dei titoli nobiliari — così come scritto nella XIV dispisizione transitoria — e dunque rinunciando anche la titolo di principe), È tornato in Italia il 15 marzo 2003. L’accoglienza — a Napoli, aeroporto di Capodichino — È stata assai poco cordiale: gruppi di varia estrazione politica hanno salutato i
Savoia al grido di “Traditori” e “Jatevenne”
• Una lunga sequenza di gaffes e di guai giudiziari — anche gravissimi — precedono le disavventure dell’estate 2006: «Tra Vittorio Emanuele e la giustizia c’È sempre stato un continuo batti e ribatti, un giocare a nascondino, un
contenzioso eterno da vita sul filo del rasoio. Già negli anni Settanta ebbe noie grosse a causa d’un traffico d’armi scoperto dal giudice Carlo Mastelloni di Venezia ma fu il magistrato che
finì per avere la peggio: venne trasferito a Roma, aveva osato ficcare il naso su
affari che coinvolgevano lobbies troppo potenti e protette. Tutto si concluse
nella solita bolla di sapone. Di certo, in quel giro c’era chi spendeva il nome di Vittorio Emanuele, e qualcuno gli avrà pur detto che poteva farlo: del resto, l’erede al trono dei Savoia si era fatto una reputazione vendendo allo Scià Reza Pahlevi, di cui era buon amico, elicotteri prodotti dal conte Corrado
Agusta che poi riapparivano armati di tutto punto in Sudafrica, a Singapore, in
Malesia, a Taiwan, triangolazioni che l’Onu metteva spesso sotto accusa. Lui si difendeva: sono solo un intermediario d’affari, vendo persino aerei da carico russo. Andò peggio una sera d’estate del 78 in quel di Cavallo, isolotto per vacanze miliardarie e per
faccendieri ozianti come Silvano Larini, amico di Silvio Berlusconi e cassiere
dei conti segreti di Bettino Craxi. Vi erano affinità, diciamo così, da affiliazione: alla P2 di Licio Gelli, visto che il principe vi figurava col
numero 1621. Savoia e massoneria, un’antica storia di affari e intrallazzi, avevano scritto maliziosamente i
giornali. Quanto a Larini, Vittorio Emanuele lo frequentava, e anche questa
coincidenza - più tardi rivalutata da Mani Pulite - avrebbe dovuto allarmare chi non crede al
caso e pensa sempre al peggio (Andreotti docet). Ma stavolta la cronaca si
interessò di un’altra burrascosa amicizia, quella con Nicky Pende, playboy e figlio di uno dei
medici più noti e ricchi di Roma: Vittorio Emanuele era geloso della bellissima moglie
Marina Doria, quella notte si sbronzò e litigò furiosamente con Nicky a tal punto che scese sottoponte della sua barca e ne
riemerse armato di un fucile. Sparò e colpì un giovanotto tedesco, Dirk Hamer. Era il 18 agosto del 78. Il ragazzo non
aveva vent’anni. Morirà, dopo atroci sofferenze (gli amputarono persino una gamba pur di salvarlo), il
7 dicembre. Fu una vicenda oscura. Ma qualche anno dopo, nel dicembre del 91,
al processo di Parigi fu assolto dalla Chambre d’accusation: niente omicidio volontario, solo una lieve condanna a 6 mesi con la
condizionale per porto abusivo di arma da fuoco. Erano pure gli anni in cui l’opinione pubblica italiana cominciò a parteggiare per il rientro dei Savoia in Italia: “Ormai sono politicamente inoffensivi”. Vittorio Emanuele su questo concordava pienamente: ha sempre disprezzato
politica e politici, al massimo gli potevano essere utili per i suoi affari da
esule regale. Merito anche del discreto lavorìo diplomatico tessuto dalla madre, la regina Maria José, che culminò nell’incontro segreto a Ginevra con il presidente Pertini. Maria José era un’interlocutrice credibile, non aveva mai celato la sua disapprovazione nei
confronti delle scelte di casa Savoia. Non seguì Umberto a Cascais, in Portogallo, rimase coi figli in Svizzera: la chiamarono “regina rossa” per le sue vaghe simpatie socialiste, la contestatrice di casa Savoia. Le
sinistre decisero che era venuto il momento di ripensare alla XIII disposizione
transitoria della Costituzione che vietava agli eredi maschi dei Savoia di
rimettere piede in Italia, e poi Vittorio Emanuele aveva dichiarato
pubblicamente di rinunciare al trono, di accettare la Repubblica italiana e la
sua costituzione. La suoneria del suo telefonino era l’inno di Mameli. “Vorrei poter morire da italiano in Italia”, disse una volta, ma poi continuò a preferire la sua Villa Italia, in riva al Lemano (Ginevra). Tutto era pronto
per il gran rientro. Ma forse non tutti lo volevano. C’era chi non si fidava della sua conversione repubblicana. L’occasione per verificarlo fu un lugubre anniversario, quello delle leggi
razziali del 38, sottoscritte dal nonno Vittorio Emanuele III. Il Tg2 volle
intervistarlo. Gli chiesero: “Principe, cosa pensa di quella firma che suo nonno appose sotto il decreto delle
leggi razziali volute dal Duce? Non crede che sia giusto scusarsi?”. Vittorio Emanuele arrossì come sempre gli capita quando si trova in difficoltà. In fondo È un timido. Farfugliò: “No, perché io non ero neanche nato”. Invece, a dire il vero, era nato l’anno prima, il 12 febbraio del 37. Ma il punto era un altro: Vittorio Emanuele
reclamava da anni il ritorno in Italia, si era persino rivolto alla Corte
europea dei diritti umani di Strasburgo. Non riusciva però a sconfessare quel gesto, e quindi la Shoah. In verità, al principe mancava il senso della Storia, un vuoto culturale che lo metterà sempre con le spalle al muro. Provò a rimediare: “Quelle leggi non erano poi così terribili”. Giustamente scoppiò il putiferio. L’avvocato Giuseppe Morbilli cercò di metterci una pezza, ma ormai Vittorio Emanuele aveva perso il controllo
della situazione e se la prese con il giornalista, accusandolo di volerlo far “cadere in trappola”. Ecco: È tutta la vita che Vittorio Emanuele si È sentito intrappolato dal suo nome e da un destino che non ha mai sopportato.
Tornò in Italia nel 2003 e subito dopo l’Italia se ne dimenticò» (Leonardo Coen)
• Il 27 maggio 2004, alla cena offerta dalla regina di Spagna, Sofia, dopo le
nozze tra Felipe e Letizia, sentendosi dare una pacca sulla spalla dal cugino
Amedeo d’Aosta lo ha steso davanti a tutti con un cazzotto in faccia (un diretto destro).
Sdegno universale, articoli di esecrazione su tutta la stampa mondiale e scuse
di Marina Doria • Accusato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, al falso e
allo sfruttamento della prostituzione, È stato arrestato a Varenna (Lecco) il 16 giugno 2006, su disposizione del gip
Alberto Iannuzzi del tribunale di Potenza, inchiesta e richiesta del pm Henry
John Woodcock: in pratica Vittorio Emanuele avrebbe fatto da mediatore con i
funzionari dei monopoli di Stato per l’installazione di 5000 macchinette da videopoker, quattrocento delle quali nel
casino di Campione d’Italia. Avrebbe poi progettato, con altre persone, di aprire un casino in Libia
col figlio di Gheddafi. Questa attività sarebbe stata supportata — secondo il giudice — da una vasta attività corruttiva, basata anche sull’offerta di belle ragazze. L’impianto accusatorio È in genere stato giudicato, almeno in base a quanto se ne sa fino ad ora (il
processo deve ancora cominciare), debolissimo
• Mentre si trovava in carcere a Potenza, Vittorio Emanuele ha raccontato al suo
compagno di cella e coimputato nella medesima inchiesta Rocco Migliardi il
delitto di Cavallo e ha esplicitamente pronunciato la frase: «Anche se avevo torto, devo dire che li ho fregati!» riferendosi ai giudici francesi del processo. Ha spiegato come ha preso il
fucile e come ha colpito con una pallottola «trenta zero tre» il giovane Dirk Hamer. In cella c’era però una microscopia e queste frasi sono finite sul tavolo del giudice. Che ha
ascoltato anche il seguente giudizio su di sé e sui suoi collaboratori: «(Quelli che indagano su di me) sono dei poveretti, degli invidiosi, degli
stronzi. Pensa a quei coglioni che ci stanno ascoltando... Sono dei morti di
fame, non hanno un soldo, devono rimanere tutta la giornata ad ascoltare,
mentre probabilmente la moglie gli fa le corna». Il gip Rocco Pavese, in base a questa intercettazione, si È rifiutato di revocare il divieto d’espatrio imposto a un imputato così chiaramente pieno di «cinismo e disprezzo per la legittima attività investigativa e giurisdizionale». La moglie Marina Doria ha cercato di giustificare il marito dichiarando che
certamente, mentre pronunciava quelle frasi, aveva bevuto
• Durante queste vicende, la sorella di Vittorio Emanuele, Maria Gabriella, ha
detto che il fratello È un bambino e che lo manovra la moglie assetata di denaro. Il 23 settembre del
2006 ha ricevuto il tapiro d’oro di Striscia la notizia, primo tapiro della XIX edizione del programma • È possibile che le frasi pronunciate in cella a Potenza provochino la riapertura
del processo per l’uccisione di Dirk Hamer.