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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

BERTOLUCCI

Bernardo Parma 16 marzo 1941. Regista. «Io spero sempre che i miei film non vengano compresi fino in fondo».



VITA Fratello di Giuseppe. Nel 61 è assistente di Pier Paolo Pasolini in Accattone, l’anno successivo debutta nella regia con La commare secca. Seguono: Prima della rivoluzione (64); Partner (68); La strategia del ragno (70); Il conformista (70); Ultimo tango a Parigi (72); Novecento (76); La luna (79); La tragedia di un uomo ridicolo (81); L’ultimo imperatore (89, vincitore di nove Oscar); Il tè nel deserto (90); Il Piccolo Buddha (93); Io ballo da sola (96); L’assedio (98), The dreamers (2002) • è figlio del poeta (grandissimo) Attilio e di Ninetta Giovanardi, nata in
Australia da mamma irlandese e padre ingegnere parmigiano costretto ad
emigrare, era la fine dell’800, per ragioni politiche • «Ha vissuto fino a 12 anni in campagna, in una casa che “da quando è morto mio padre non ho più il coraggio di rivedere”. Arrivato a Roma, nuovi amici, nuovo quartiere borghese - Monteverde vecchio -,
nuova casa al quinto piano in via Carini. “I miei genitori hanno costruito un incantesimo, nel quale mi sento tuttora
immerso. Anche per questo, forse, non sono mai diventato padre”. Il rito di iniziazione alla regia ha luogo proprio in via Carini. è domenica pomeriggio, alle tre, ora del riposo. “Avevo quattordici anni, vado ad aprire, vedo un giovane vestito a festa, con un
ciuffo strano. Chiedo: cosa vuole? E lui: cerco Attilio Bertolucci, sono Pier
Paolo Pasolini. Mi spavento, gli dico di aspettare, lo lascio fuori, chiudo il
portone. Vado da mio padre e gli racconto: c’è un tipo strano, ho paura che sia un ladro. E papà: ma no, è un poeta, fallo entrare”. Pier Paolo porta sua madre Susanna ad abitare al primo piano di via Carini e
Bernardo - da giovanissimo aspirante poeta - scende le scale di corsa per far
leggere le sue creazioni all’amico più grande» (Barbara Palombelli)
• Il padre fu uno dei primi critici cinematografici italiani. «Mi ricordo che, doveva essere il 1949 o il 1950, andava a vedere quei film
americani di guerra. Poi tornava a casa e faceva una cosa incredibile.
Telefonava al giornale. Si faceva passare lo stenografo e dettava tutta la sua
recensione al telefono, senza esitazioni. Senza averla scritta prima. Dopo se
la faceva rileggere e cambiava al massimo due parole» • Quindicenne, con una 16 mm presa in prestito, girò i suoi primi cortometraggi: La teleferica, storia di tre bambini che si perdono nella foresta, e Morte di un maiale, unico piano sequenza all’interno di un mattatoio • «Quando avevo 17 anni, sempre sul portone di via Carini, un giorno Pier Paolo mi
chiede: vuoi fare il mio aiuto-regista in Accattone? Io ribatto: ma non lo so fare, e lui a me: nemmeno io. In quel periodo, ho
assistito all’invenzione del cinema, giorno per giorno, una scuola unica» • A 21 anni vinse il Viareggio opera prima con una raccolta di toccanti liriche
intitolata In cerca del mistero. Poi si decise per il cinema • «Eravamo all’inizio degli anni Sessanta. Con Glauber Rocha avevamo deciso di chiamare i
nostri film “i miura”. I miura sono una razza di tori dalla pelle durissima. Non solo la spada del
torero non riusciva a entrare nella cervice. Ma si diceva che neppure una
zanzara poteva entrargli nel buco del culo. Nelle sale dove davano i nostri
film nessuno entrava. Nessuno andava a vedere i nostri miura. Poi ho avuto un
senso di soffocamento. E mi sono detto: “Voglio sentire il pubblico”. Voglio che la gente entri a vedere i miei film. E nel 1970 mi sono ritrovato a
fare
Strategia del ragno. E poi Il conformista, sentendomi un po’ come un traditore dei princìpi che fino a quel momento mi avevano formato. Era il passaggio dalla pura
espressione alla comunicazione» • Sua opera prima La commare secca (62), su un soggetto di Pasolini acquistato dal produttore Tonino Cervi. Primo
film di successo unanime (pubblico e critica) Il conformista (70), poi Ultimo tango a Parigi (72), con Marlon Brando e Maria Schneider, il film di maggior successo assoluto
nella storia del cinema italiano con circa 14 milioni di spettatori, compresi
quelli della riedizione Titanus dell’87. Fece epoca, in questo film, soprattutto la scena in cui Marlon Brando, per
favorire una penetrazione anale, ricorre all’aiuto del burro • «Narratore ormai maturo, Bertolucci compie il salto nella produzione
internazionale con il sontuoso e coreografico affresco di storia cinese L’ultimo imperatore (87), sommerso da nove Oscar e un successo immenso, con il lucido saggio di
calligrafia esitante fra letteratura mondana e tentazioni di fiabesco esotismo
che deriva dal modesto Paul Bowles (Il tè nel deserto, 1990) e con il più raccolto Il piccolo Buddha (1991), omaggio sfocato ma sincero a una tenera religione orientale» (Fernaldo Di Giammatteo) • è sposato con l’inglese Claire Peploe, regista.



CRITICA «Il suo è un cinema sotto la costellazione Marx-Freud-Verdi. Ama gli attori e sa
sceglierli. Ama le scene di ballo e pochi come lui sanno far danzare la
cinepresa su un dolly. Sa coniugare Proust al culatello, Hopper e Magritte al
melodramma di Verdi. Bertolucci è un regista creolo» (Morando Morandini) • «Ho capito che non riuscirò mai a eguagliarlo, perché viene da una cultura diversa dalla mia, suo padre è un poeta e lui stesso ha pubblicato delle poesie, è stato allevato con una coscienza politica, al contrario di me, che sono
cresciuto in una casa dove non c’erano libri...» (Martin Scorsese).



POLITICA «Prima proiezione del mio Novecento, un film in cui raccontavo una saga familiare a partire dalla nascita del
comunismo in Emilia Romagna. Eravamo nel 1976, in pieno compromesso storico e
mi sembrava di dover celebrare un rito, pensavo di rendere omaggio alla storia
del Pci. Paese Sera, quotidiano comunista romano, organizzò un dibattito con lo storico Paolo Spriano e Giancarlo Pajetta. Alla fine del
primo tempo, Pajetta, entusiasta, mi abbracciò. Poi, vedendo le immagini della Liberazione, in cui mostravo anche le vendette
private, i processi popolari contro i fascisti, si alzò furioso e se ne andò gridando: mi rifiuto di partecipare. Giorgio Amendola disse che il film era
bruttissimo. La Fgci di Walter Veltroni, invece, mi appoggiò. Da allora, la mia tessera del Pci, presa nel 1969 contro l’estremismo filocinese dell’estrema sinistra, proprio nel momento in cui ci fu la rottura del partito con il
gruppo del Manifesto, si è andata via via scolorendo... Alla metà degli anni Ottanta ho smesso di rinnovarla, non ero un militante, ho iniziato a
vivere più all’estero che qui. Oggi, mi pare di non avere più trasporto politico per nessuno: salverei proprio soltanto Veltroni, perché è capace di guardare al futuro senza dimenticare le radici in cui tutti amiamo
riconoscerci»



VIZI «Sono ateo, grazie a Dio. Come diceva Bu uel».