Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
MENEGHIN
Dino Alano di Piave (Belluno) 18 gennaio 1950. Ex giocatore di basket. Considerato il
più grande cestista italiano di tutti i tempi, con la Nazionale ha vinto l’Europeo dell’83 e l’argento alle Olimpiadi di Mosca (80). Ha giocato con Varese, Milano, Trieste,
vincendo 12 scudetti, 7 coppe dei Campioni, 2 coppe delle Coppe, una coppa
Korac ecc. Dal 2003 nella Hall of Fame del basket (secondo italiano dopo Cesare
Rubini, poi è arrivata l’elezione di Sandro Gamba)
• «Se giocasse adesso sarebbe nella Nba. La valeva già all’epoca dei suoi trionfi italiani ed europei, ma l’oceano allora non lo passava nessuno. Né lo fece lui, che pure nel 70, a vent’anni, fu “scelto”, primo europeo della storia, dagli Atlanta Hawks. Adesso, della cinquantina d’europei che giocano fra i pro, ce ne sono che Superdino non avrebbe neanche
guardato, svellendoli a rimbalzo. Giocava partite vere anche quando s’allenava. E pur rompendosi tutte le ossa dell’atlante anatomico, è arrivato a 28 stagioni in serie A, in una carriera di eventi singolari, se non
unici. L’esordio in A, a Varese, a 16 anni. La Nazionale subito dopo. L’ultima maglia, di Milano, appesa in spogliatoio a 45, dopo aver avuto pure l’onore e il piacere di giocare una partita contro suo figlio, e non al torneo dei
bar. Dino con Trieste, Andrea con Varese: azzurri entrambi, nelle rispettive
epoche, e azzurri vincenti. Ci sarebbe stato bene Meneghin nella Nba. Pivot non
altissimo (2.04), ma rapido e agile, nell’era in cui l’altra metà dell’area era presidiata da pachidermi sgraziati, svettava per grinta, carattere e
tecnica. Fosse oggi, quel giorno che Atlanta lo chiamò, partirebbe subito. “Di corsa. Non per soldi, o anche per soldi, ma soprattutto per misurarmi, per
capire chi ero contro i migliori”. E perché no nel 70? “Perché oggi della Nba sappiamo tutto, mentre allora era un salto nel buio. Perché qui eravamo dilettanti e là professionisti, e dunque indietro non si tornava: avrei perso la Nazionale e,
mi dicevano, anche il posto nella mia squadra, a meno di non tornarci come “straniero”. Così, se dopo 3-4 partite capivi che non era aria, che facevi? Smettevi?”» (da un’intervista di Walter Fuochi).