Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
GRECO Emio Brindisi 6 novembre 1965. Ballerino • «Considerato un numero uno in Francia e in Inghilterra
GRECO Emio Brindisi 6 novembre 1965. Ballerino • «Considerato un numero uno in Francia e in Inghilterra. Andò all’estero perché nessuno, negli anni 80, gli ha dato un’occasione di lavoro: ora in Olanda il suo piccolo gruppo è sovvenzionato dalla città di Amsterdam che offre contratti per quattro anni in cambio di numerose produzioni e di un’alta qualità di lavoro. Che cosa piace di lui? L’estrema compattezza dello spettacolo, la forza espressiva e muscolare, la ricerca che fonde il corpo nella luce e negli oggetti scenici, e quel tanto di malinconia che lo avvicina a molti coreografi “fuggitivi” come Nadj Prejocaj, Paco Decina di Napoli o il giapponese Saburo» (Mario Pasi) • «Un piccolo uomo calvo, ossuto e possente. Un uccello, un fenicottero, un insetto kafkiano, un flusso di linee liquide, una repentina violenza spigolosa, frasi di movimento liriche e squisite che si spezzano in una rete di pulsazioni selvagge. Un corpo spirituale, come reinventato dalla propria straordinarietà, e al tempo stesso di fisicità terrigna, capace di portare in superficie un apparato visionario, mettendo in mostra emozioni e memorie profonde, inaffidabili alla logicità delle parole» (Leonetta Bentivoglio) • «Colpisce prima di tutto come performer. Si alza il sipario e lui, solo in scena, afferra l’attenzione dello spettatore e non la molla più. Il suo è un corpo “visionario” (come egli stesso spiega) che riflette impulsi e emozioni. Ma Emio Greco è anche un coreografo e un teorico della danza. Insieme a Pieter Scholten, il suo drammaturgo, ha elaborato una teoria di movimento definita “Extremalism”, termine che coniuga estremismo e minimalismo. Molto colto e molto dotto, sembra un tipo noioso. Niente di più sbagliato. I suoi spettacoli raccolgono grande pubblico» (Sergio Trombetta) • «Dalla Puglia giunsi diciannovenne a Cannes, dove presi qualche lezione di balletto. Ero cresciuto in una masseria. Non avevo visto niente, ero privo di senso critico. Poi a Parigi passai un’audizione con Jan Fabre, con cui ho lavorato per qualche anno. Ma dal 95 ho preso la mia strada. Credo a un immaginario incarnato nel corpo, nella sua concretezza fatta di magia e mistero. Penso, come referente, al cinema di David Lynch».