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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

CIAMPI

Carlo Azeglio Livorno 9 dicembre 1920. Senatore a vita. «La condizione di piccolo-borghese è la forza dell’Italia».



VITA Sesto governatore della Banca d’Italia (79-93), ex presidente del Consiglio (93-94), ex ministro del Tesoro
(96-99), ex presidente della Repubblica (99-2006) • Figlio di Pietro (l’ottico più noto di Livorno) e Maria. Ha studiato dai gesuiti. Laurea in Lettere, sei mesi
di studi di Filologia in Germania, poi diploma della Scuola Normale di Pisa
(1941). Nello stesso anno è chiamato alle armi (sottotenente dell’esercito in Albania). L’8 settembre 43, trovandosi in permesso in Italia, rifiuta di aderire alla
Repubblica di Salò e si dà alla macchia, rifugiandosi a Scanno, Abruzzo • «A Scanno era confinato il filosofo antifascista Guido Calogero, maestro e padre
culturale di Ciampi e del socialismo liberale alla Normale di Pisa: una foto
inedita di quel periodo li ritrae con altre persone. Facevano lunghe camminate
insieme. Nell’inverno 43-44 Ciampi aiutò Calogero a battere a macchina i manoscritti in copia unica su Estetica, Logica
ed Etica. Ogni pagina era datata, perché il filosofo temeva che andassero persi. Si viveva sempre in allarme». Agli inglesi, che lo fermano durante la fuga e vogliono sapere cosa sia il
visto tedesco stampigliato sul passaporto, Ciampi spiega i suoi studi
filologici a Lipsia e indica alcuni antifascisti di Sulmona, conosciuti poco
prima, come suoi possibili garanti. Liberato, va a Bari: «Doveva consegnare un saggio sul liberalismo che Calogero gli aveva affidato a
Scanno: durante la traversata della Maiella, l’aveva tenuto nascosto nei calzettoni di lana» (Massimo Franco)
• «Attraversò le linee e quando arrivò in città venne nella nostra libreria, dove trovò aiuto e tutte le indicazioni per raggiungere Tommaso Fiore, uno dei maggiori
collaboratori di Croce» (Paolo Laterza) • Alla fine della guerra fonda il Partito d’Azione a Livorno, ma ben presto abbandona la politica attiva. «Non me ne sono mai pentito» • Stupore perché con una laurea in Lettere e una in Giurisprudenza (presa subito dopo la fine
della guerra), va a fare il concorso in Banca d’Italia: «La verità è che andare avanti da professore precario in un liceo era dura e i concorsi per
la scuola non arrivavano. E così, pragmaticamente, il giovane docente abbandonò le Lettere (che lo affascineranno sempre e che lo vedranno di tanto in tanto
impegnato come presidente della giuria del Campiello e come vicepresidente
della Treccani) e sposò i Numeri» (Massimo Gaggi)
• Carriera silenziosa in Banca e improvvisa notorietà nel 79, quando — essendosi dimesso Paolo Baffi — viene nominato governatore. In quel momento, a causa del prezzo del petrolio, l’Occidente è in recessione, l’inflazione è a due cifre e viene moltiplicata dal meccanismo della scala mobile, Tesoro e
Banca d’Italia sono strettamente avvinti, nel senso che la Banca è obbligata a sottoscrivere tutti i Buoni che il Tesoro non riesce a collocare,
sistema che — in pratica — si traduce nella libertà del governo di stampare quanta carta moneta vuole. E infine, la circolazione
dei capitali è bloccata
• Capita sotto la sua gestione uno degli scandali più gravi della nostra storia, quello, collegato alla P2, relativo al caso Calvi e
alla liquidazione coatta del Banco ambrosiano (6 agosto 1982): «Carlo Azeglio Ciampi, che di doti politiche ne ha da vendere, fa del rapporto
con i ministri del Tesoro una delle chiavi dei suoi successi in 14 anni alla
guida della banca. Il governatore condivide così con Beniamino Andreatta, ministro del Tesoro, la scelta della liquidazione dell’Ambrosiano, la messa sotto accusa della cassaforte del Vaticano, lo Ior, e la
rinascita affidata a Giovanni Bazoli. Quella del Banco è storia di ieri che ancor oggi proietta le sue ombre nell’attualità. Roberto Calvi, onnipotente padrone del Banco, a sua volta azionista-creditore
della Rizzoli-Corsera, entra nel mirino della magistratura nel 1980 per
violazione delle norme vigenti in occasione dell’acquisto del Credito Varesino. è il classico bastone nella ruota che fa saltare i meccanismi di un sistema
fragile ove, a fronte di depositi a breve (e quotazioni azionarie drogate dagli
acquisti della scuderia), ci sono investimenti misteriosi e quasi
incontrollabili che si perdono nelle consociate estere. Il confronto tra la
Banca di Ciampi e il Banco, protetto oltre Tevere e con solidi agganci nella
politica italiana, ha risvolti drammatici: gli ispettori di via Nazionale
vengono cacciati, ad esempio, in malo modo sulla soglia del Banco Andino di
Lima. La situazione precipita nell’immediata vigilia del processo d’appello al tribunale di Milano: Calvi viene trovato impiccato sotto un ponte
della City (
12 giugno 1982 - ndr). Ciampi e Andreatta, nonostante gli sforzi in senso contrario di una fetta
consistente della Dc, decidono per il commissariamento e la liquidazione del
vecchio Banco. La finanza cattolica viene affidata alla solida regìa di Giovanni Bazoli, l’uomo che chiuderà la guerra pluridecennale con il fronte di Mediobanca. E che alla fine ingloberà la laicissima Comit» (Il Foglio) • Il comportamento di Ciampi nella svalutazione del 19 luglio 1985, altro momento
topico del decennio, è di norma ritenuto corretto: «Franco Reviglio, il presidente dell’Eni, era in viaggio verso Santiago de Compostela. Il direttore finanziario Mario
Gabbrielli stava partendo per il weekend. Quel venerdì 19 luglio di vent’anni fa a sovrintendere alle operazioni dell’Eni era rimasto solo un funzionario, un certo dottor Petracca. E il destino ha
voluto che il suo nome rimanesse legato al più rocambolesco scivolone della lira nella storia dei cambi valutari. Gabbrielli
aveva lasciato l’ordine di acquistare nel giorno stesso 125 milioni di dollari, che erano la
parte residua di una rata di mutuo in scadenza il 24 luglio. All’Eni pensavano di fare un affare perché avevano visto che le quotazioni del dollaro erano in aumento su tutti i mercati
fin dal giorno prima. C’era poi il sentore di una svalutazione della lira che sarebbe stata annunciata
il lunedì successivo. Reviglio non era stato nemmeno informato, trattandosi di un’operazione di ordinaria amministrazione. Alle 12,30 Fabrizio Saccomanni, capo
servizio estero della Banca centrale, consigliava all’Eni di rinviare l’operazione. Alle 13,30 lo stesso consiglio fu dato al San Paolo di Torino, in
qualità di banca agente. Il consiglio non veniva però accolto. La motivazione: “Perché non aveva natura cogente e perché era la prima volta che veniva dato”. Vittorio Plaja, capo servizio Tesoreria dell’Eni, intanto, cercava disperatamente Gabbrielli ma il direttore finanziario era
in macchina: allora non c’erano i cellulari e sfortuna volle che l’auto di Gabbrielli non avesse nemmeno il radiotelefono. L’Eni non si fermò. Petracca confermò l’ordine al San Paolo e sul mercato dei cambi scoppiò il terremoto. Il dollaro, che fino alle 13,15 oscillava attorno alle 1.870
lire, schizzò in un batter d’occhio a quota 2.200. Banca d’Italia, anche in vista della svalutazione, non intervenne e lasciò scorrere il cambio a quei livelli record. Per punire l’Eni che aveva operato contro il suo parere? Fu uno scandalo in cui tutti fecero
fare una brutta figura all’Italia, colpita nelle stesse ore anche dalla tragedia di Stava. Lunedì, a lira svalutata nell’ambito Sme, il dollaro scese a quota 1918. Per l’Eni, la “furbata” costò circa 35 miliardi. Ma a pagare furono solo Petracca e un altro funzionario
minore. Anche il ministro del Tesoro, Giovanni Goria, e lo stesso governatore
della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, presentarono le dimissioni ma il governo,
presieduto da Bettino Craxi, le respinse» (Aldo Bernacchi)
• «Mi dimisi nei giorni del lunedì nero della lira dopo i rilievi critici mossi all’Istituto dal capo del governo. Ma lo stesso governo mi chiese di restare. Prima,
comunque, il rapporto con Craxi era sempre stato buono. Lo andai a trovare
quando si insediò a Palazzo Chigi. Allora l’inflazione era al 16%. Gli dissi: “Se farà queste cose, nel giro di un anno avremo una crescita dei prezzi a una cifra”, cioè sotto il 10% che allora era un sogno. Poi, aggiunsi, verrà il momento della lira pesante: aboliremo tre zeri dalle banconote. Lui era
interessatissimo. Però, mi rispose, voglio come nuova lira una moneta d’argento con su il profilo di Garibaldi»
• Durante il governatorato di Ciampi, l’Italia entrò nello Sme (mossa che anticipava l’adesione a Maastricht e all’euro), Tesoro e Banca d’Italia divorziarono (1981), si cominciò a colpire il meccanismo della scala mobile, grazie a un decreto di Craxi che
tagliava tre punti di contingenza (confermato dalla vittoria del No al
referendum dell’85). Risalgono ai primi anni Novanta le norme che cominciavano a rendere più libero, sui mercati internazionali, il movimento dei capitali
• L’altra grande crisi venne affrontata nel 1992. Il racconto dell’allora ministro del Tesoro Piero Barucci: «…dalla seconda metà del 92 la situazione era precipitata e a inizio luglio il tasso di sconto
veniva portato dalla Banca d’Italia al 13%, e successivamente al 13,75%. Dopo un Ferragosto tutto sommato
abbastanza tranquillo, il 24 di quello stesso mese però la lira scese a ridosso del tetto massimo previsto dallo Sme nei confronti del
marco (765,4 lire). Nei giorni successivi il tasso di sconto venne portato
addirittura al 15%, ma neanche questo bastò a fermare la speculazione sul cambio, finché arrivarono appunto gli avvenimenti di settembre, che riepiloghiamo qui di
seguito:



• 13 settembre: la nostra moneta viene svalutata del 7%.



• 16 settembre: la sterlina esce dal Sistema monetario europeo.



• 17 settembre: in mattinata viene data notizia della chiusura del mercato dei
cambi in Italia per tre giorni lavorativi, con la conseguenza della non
applicazione degli obblighi di intervento previsti dal meccanismo dello Sme.
Questo significava, appunto, l’uscita della valuta italiana dal Sistema monetario. Prima dell’uscita dallo Sme il marco era arrivato a valere 814,8 lire. Nei mesi seguenti,
il valore del marco lieviterà ulteriormente, fino a circa 910 lire.



• 17 settembre: è il giorno della supermanovra da centomila miliardi di lire, varata dal governo
presieduto da Giuliano Amato. Il pacchettò contemplava l’aumento dell’età pensionabile e dell’anzianità contributiva, il blocco dei pensionamenti, una patrimoniale sulle imprese, la
minimum tax, il prelievo straordinario sui conti correnti bancari, l’introduzione dei ticket sanitari, la tassa sul medico di famiglia, l’imposta comunale sugli immobili (Ici), l’avvio delle privatizzazioni e il blocco di stipendi e assunzioni nel pubblico
impiego. Un ministro del Tesoro che svaluta è sempre sconfitto, ma l’impatto di quell’operazione, pur nella sua drammaticità, fu sereno. Se da un lato ci trovammo infatti da soli a dover svalutare la
nostra moneta, dall’altro eravamo sostenuti dalla convinzione che, grazie a quella mossa, dal giorno
dopo si poteva ricominciare a fare politica monetaria. Ed in questo senso fu
quasi una liberazione»
• Nella drammatica crisi del 93, provocata da Tangentopoli, si ricorre a lui, in
quanto tecnico estraneo ai partiti, per traghettare il Paese verso la
cosiddetta Seconda repubblica. Accetta di diventare capo del governo e lascia
la responsabilità della Banca d’Italia al cattolico Antonio Fazio (avendo bloccato in passato l’altro cattolico, Lamberto Dini, Ciampi era stato accusato da Famiglia cristiana
di essere massone: diceria tornata a galla di tanto in tanto negli anni
successivi e priva di riscontri. Dini gli sarà sempre irriducibilmente nemico)
• «“Onorevoli deputati, è la prima volta nell’esperienza della Costituzione repubblicana che un semplice cittadino, senza
mandato elettorale, parla davanti a voi nelle funzioni di presidente del
Consiglio dei ministri. Chiedo perciò la fiducia parlamentare non solo nello stretto significato istituzionale dell’articolo 94 della Costituzione, ma in un senso molto più largo. Intendo una fiducia che prescinda dalla contabilità numerica di voti dati, di voti negati. Mi riferisco a una fiducia morale del
Parlamento — anche da parte di coloro che riterranno di non dare voto positivo — che riconosca l’utilità, forse la necessità, l’onestà, l’umiltà dello sforzo che questo governo si propone di compiere”. è il 6 maggio 1993: comincia in quel giorno, con queste parole pronunciate nell’aula di Montecitorio, la straordinaria avventura politica del “semplice cittadino” Carlo Azeglio Ciampi. L’uomo che, dapprima come presidente del Consiglio e poi come ministro del Tesoro
nei governi Prodi e D’Alema, imprimerà una formidabile svolta risanatrice alle finanze di uno Stato sull’orlo della bancarotta, coronando la sua impresa con il raggiungimento di un
traguardo ritenuto allora impossibile dalla maggior parte degli osservatori
internazionali: l’aggancio dell’Italia all’euro. Successo storico che nella primavera del 1999 ha spalancato al suo autore
le porte del Quirinale» (Massimo Riva)
• Da presidente del Consiglio, spinge fortemente sulle privatizzazioni. Francesco
Giavazzi, allora nello staff di Mario Draghi, rispondendo alla domanda: «Cosa secondo lei racconta di più lo spirito di quegli anni?» «Senz’altro il calendarione che il premier Carlo Azeglio Ciampi sfogliava con noi
almeno una volta al mese. Ci teneva moltissimo: per ciascuna società da privatizzare erano segnati con precisione tutti i passi da fare e i relativi
tempi. Con lui verificavamo il lavoro fatto. Guai a sgarrare... E poi le
riunioni del comitato per le privatizzazioni. Appuntamenti fissi scandivano con
rigore il nostro lavoro. Draghi era il presidente, io il segretario. C’erano Piergaetano Marchetti, Ariberto Mignoli, Lucio Rondelli e Ottavio
Salamone. Ci trovavamo spesso a Milano, nella bella sede del Tesoro dietro la
stazione Centrale»
• Infine, sempre in riferimento alla sua esperienza di presidente del Consiglio,
va ricordato il successo conseguito il 23 luglio 1993 con l’intesa governo-Confindustria-sindacati, meglio nota come “concertazione”, nella quale ciascuna delle tre parti al tavolo rinunciava a qualcosa in cambio
di un auspicato sviluppo del Paese. Tale “metodo della concertazione”, continuamente richiamato negli anni successivi, non sarebbe più stato adottato (vedi anche GIUGNI Gino) • Da ministro economico di Prodi: «Prodi e Ciampi rappresentano due linee. Ciampi vorrebbe meno tasse e più tagli della spesa pubblica. Prodi il contrario» (Giancarlo Perna) • «Il braccio di ferro tra privatizzatori e antiprivatizzatori passa all’interno del governo. Schematicamente: Palazzo Chigi sta con gli
antiprivatizzatori, il ministero del Tesoro con i privatizzatori. Prodi è stato presidente dell’Iri per molti anni, il suo sottosegretario Micheli è direttore generale dell’istituto in aspettativa. Schierati dalla loro parte, Rifondazione comunista e i
sindacati. I privatizzatori stanno al ministero del Tesoro: Ciampi, il suo
sottosegretario Filippo Cavazzuti e il direttore generale Mario Draghi. L’idea di togliere Stet, Autostrade e Finmeccanica all’Iri e di assegnarle al Tesoro per una vendita senza impacci è di Draghi. Prodi, quando la faccenda è venuta fuori, ha detto che si trattava di “idee, appunti presi tanto tempo fa”. Micheli ha semplicemente fatto capire che quel progetto non esiste. Dietro a
Ciampi, Cavazzuti e Draghi sta D’Alema con il Pds» (Il Foglio dei Fogli)
• Il cambio lira-euro ottenuto da Ciampi a Bruxelles nel novembre del 96 da
ministro del Tesoro (un euro = 1936,27 lire), gli è stato poi contestato da Berlusconi come troppo oneroso per le imprese italiane.
Berlusconi sostiene che sarebbe stato equo un cambio a 1500. La questione è ancora discussa, ma al momento appaiono più convincenti le argomentazioni di chi dice che a 1500 le imprese italiane
avrebbero cessato di esportare: «Il cambio di 1936,27 con cui la lira è stata sostituita dall’euro discende dalla parità di rientro nel Sistema monetario europeo (Sme), pattuita nel novembre 1996 a
Bruxelles, dopo faticose trattative, dall’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi: 990 lire per marco tedesco. Per
ottenere nel 1999 un euro a fronte di 1.500 lire, come ipotizzato da Silvio
Berlusconi, il cambio con il marco tedesco avrebbe dovuto essere fissato a
circa 770 lire: ossia la parità che l’Italia non era riuscita a reggere nel disastroso settembre del 1992, quando
dallo Sme la lira era dovuta uscire. All’epoca, a dire il vero, Ciampi fu lodato proprio per il motivo opposto: non di
essere rientrato con una lira forte come volevano soprattutto i tedeschi, ma
abbastanza debole da consentire alle nostre industrie esportatrici di restare
competitive sui mercati degli altri Paesi europei. Il Financial Times attribuì alla “grinta negoziale” di Ciampi che il cambio fosse più debole, quindi più favorevole agli esportatori italiani, di quanto “la maggior parte degli altri Paesi dell’Unione si aspettasse”. La Bundesbank incitava il governo tedesco a tener duro su 950 lire per marco.
Nessuno ipotizzò mai che si potesse tornare in vicinanza del cambio che era franato nel 1992» (Stefano Lepri, basandosi su un articolo di Carlo Gola del 2000)
• «è stato eletto presidente della Repubblica alle 13.04 di giovedì 13 maggio 1999, al primo scrutinio, con 707 voti. Voto esplicitamente
bipartisan, con l’opposizione della Lega Nord e di Rifondazione comunista, oltre a decine di
franchi tiratori a cui evidentemente Ciampi non piaceva. C’erano serie ragioni per non farsi piacere l’ex governatore, volendo. Una personalità facilmente identificabile, partecipe di una cultura azionista, esplicitamente
antifascista: diciamo che farselo piacere, per alcune fazioni del centrodestra,
era un compito indigesto. Tanto più che il nuovo inquilino del Colle era stato il ministro del Tesoro del governo
Prodi, uno degli artefici del risanamento dei conti pubblici in funzione dell’euro, un banditore di Maastricht che aveva impegnato tutto il suo prestigio, nei
faccia a faccia europei, perché la grande Germania e la scettica Francia dimenticassero la montagna incantata
del debito pubblico italiano, e consentissero l’adesione alla moneta unica dell’
homme malade d’Europa. Vecchia storia, l’antipatia di destra. Nel 1993, allorché Oscar Luigi Scalfaro chiamò Ciampi alla guida di un governo tecnico-politico di garanzia, Umberto Bossi
aveva irriso l’ipotesi: “Un professore di latino?”, alludendo alla prima laurea di Ciampi, per poi passare a un atteggiamento più possibilista poche ore dopo, in seguito all’incontro personale con l’ex governatore» (Edmondo Berselli)
• «L’elezione di Ciampi è il sintomo più tangibile della crisi politica e istituzionale degli anni Novanta. Una crisi di
status dei partiti, che taglia trasversalmente la destra e la sinistra, e che
li costringe a richiamare sul Colle più alto il miglior rappresentante di quella generazione di tecnici che, già nel 1993, salva il Paese travolto dalla slavina di Tangentopoli» (Massimo Giannini) • è stato il presidente della Repubblica del governo Berlusconi. A lui il
centrosinistra ha continuamente chiesto di impedire a Berlusconi di fare quello
che stava facendo. Ciampi è stato in effetti molto addosso al suo presidente del Consiglio, rifiutandosi di
firmare la legge Gasparri sulla tv, respingendo la riforma della Giustizia da
lui giudicata in alcuni punti “palesemente incostituzionale”, rinviando la legge Pecorella che impedisce alla pubblica accusa di ricorrere
se l’imputato è stato assolto. Tutte leggi che gli sono state ripresentate in seconda lettura
corrette solo per il minimo indispensabile. Ha forse forzato la norma nel
gennaio del 2006, quando in una lettera al presidente della Commissione
parlamentare di vigilanza ha chiesto che venisse applicata la par condicio
sulla presenza in tv dei politici anche prima dello scioglimento delle Camere
• Molti interventi contro «la tv irresponsabile»: «Mi riferisco a coloro di cui i mass media amplificano ed esaltano ogni azione e
che talvolta ci appaiono inconsapevoli delle loro responsabilità quali modelli per la formazione dei giovani» • “Metodo Ciampi” per l’elezione del presidente della Repubblica. Ossia: candidare una personalità di calibro istituzionale che possa raccogliere i voti sia della destra che
della sinistra • Entrato in Senato alla fine del mandato presidenziale, ha fatto sapere — suscitando le ire della destra che aveva proposto la sua rielezione (accolta
freddamente dal centrosinistra) — di appoggiare il governo Prodi • Sposato con Franca Pilla. Due figli, quattro nipoti.


FRASI «Detesto la risposta “è sempre stato fatto così” o “nessuno me l’ha mai chiesto”» • I due nuovi vizi degli italiani secondo Ciampi: «L’apatia e la sovreccitazione» (Marzio Breda).



COMMENTI «A ispirare Ciampi è la filosofia del tessitore, che bilancia, cuce, negozia, che mira a “regolare il conflitto e non a farlo esplodere”, magari con quella moral suasion che in qualche caso rischia di trasformarlo in coautore di alcune leggi
controverse. Ma il tentativo di decongestionare la crisi e scansare ogni
collateralismo a volte non basta, in un Paese in cui ormai ci si parla con la
bava alla bocca e in cui improvvisati ingegneri costituzionali si baloccano a
minare a colpi di maggioranza le stesse fondamenta costituzionali. “Da che parte sta il capo dello Stato?” si chiedono ossessivamente i leader delle diverse famiglie politiche, mentre
certi censori che vorrebbero reclutarlo sotto le proprie bandiere coniano per
lui l’espressione di “presidente—palindromo”. Ossia “bifronte”, prudente fino ai contorsionismi e in definitiva cerchiobottista, anziché equidistante per metodo, come lui stesso rivendica» (Marzio Breda)
• «Carlo Azeglio Ciampi, non essendo un politico, sta facendo anche troppo. Anzi,
se fosse un politico direi di più, direi che sta facendo malamente. Nessuno lo sa, ma dietro la sua apparente
affabilità è un uomo dal pessimo carattere, un uomo di totale freddezza, scostante anche nei
confronti del personale e dei suoi collaboratori più vicini. Il presidente che al Quirinale ricordano ancora come il più cortese, corretto e gentile verso tutti, devo dirlo, è Scalfaro» (Francesco Cossiga).



POLITICA «Non ho mai fatto veramente politica. Negli incarichi con contenuto politico che
ho avuto non ho cambiato modo esteriore di essere».



TIFO Tifoso accanito del Livorno, ha esortato Lucarelli a correre di più. Però s’è fatto, relativamente alla squadra, una certa fama di jettatore al punto che
Mario Cardinali, direttore del Vernacoliere, a un certo punto ha fatto il
titolo: «E ora Ciampi vada a vedere il Pisa».



VIZI «“Soffro di agorafobia… prendere la parola in una piazza o davanti a platee troppo vaste mi blocca”. Ma è anche questione di prudenza: “Secondo me le parole che vengono dal Quirinale vanno pesate come fossero grammi
d’oro”» (Marzio Breda) • «Mi chiamano il solitario ma questo è il modo in cui vivo il mio lavoro. Io non amo la solitudine» • «Legge la mattina presto o la sera molto tardi. Non tollera segni con lapis rossi
o blu, né pagine piegate: al massimo scrive qualche appunto a margine con una matita
grigio chiaro. Tiene sul suo comodino più di un libro. Rilegge spesso La scuola dell’uomo di Guido Calogero (ne ha una copia donata dallo stesso autore, di cui fu
allievo all’università di Pisa)» (Mirella Serri). è appassionato di letteratura tedesca • «Compra le cravatte da Barbelli, a Milano» (Antonello Capurso) • «Tengo a essere vestito in modo rigoroso» • Collezionista di arte contemporanea • Va pazzo per gli elicotteri «che adopererebbe anche per i dieci chilometri da casa al Senato» (Mattia Feltri). Ne fece comprare uno più silenzioso di quello esistente poco dopo l’insediamento al Quirinale (e rimise in funzione anche la sala cinematografica).