Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
FABRIS
Enrico Asiago (Vicenza) 5 ottobre 1981. Pattinatore su ghiaccio. Medaglia d’oro nei 1500 metri e nell’inseguimento a squadre e bronzo nei 5000 alle Olimpiadi di Torino 2006 • «Un fenomeno, capace di eseguire 3000 piegamenti sulle gambe con 50 chili sulle
spalle. Sarebbe stato campione anche in bici, nel mezzofondo: ha gambe
spaventose» (Ottavio Cinquanta) • «Enrico è fatto a freccia, ha una faccia con la punta davanti: il resto del corpo la
segue. La tremenda semplicità del suo gesto tecnico forse gli assomiglia. Semplice filare nel vento
ghiacciato, lasciando una scia silenziosa. Semplice avere un papà infermiere che si chiama Valerio e una mamma che sontuosamente si chiama
Bertilla, più una nonna Luigia che prepara le torte. Semplice partire piano e poi recuperare,
recuperare. Semplice è restare sereni (“Sereno, sì, io sono un perfezionista sereno”). Si mette le prime lame sotto i piedi a sei anni, e dopo un po’ si accorge che il passo allungato e regolare può dare persino più emozione della velocità in faccia, così molla lo short track (dove si gira in tondo, tutti contro tutti) e sceglie il
pattinaggio su pista lunga. Partendo piano, arrivando forte. Il gesto preteso
dal suo sport diventa il metronomo anche per il resto, o forse lo era già. Studiare, suonare la chitarra, ascoltare i discorsi dello zio prete, don
Romeo, parroco di Roana, Vicenza, che detto così sembra un buco nel bosco, invece è qualcosa di molto più grande rispetto alla contrada Toccoli. Semplice allenarsi tutti i giorni per
tante ore su un millimetro virgola due di lama, semplice preferire la compagnia
non dell’avversario diretto da guardare in faccia, da superare, magari da maltrattare, ma
del cronometro che invece è lui che ti guarda e ti misura, e ti dice se stai arrivando o se viaggi in
ritardo. Ecco, un giorno Enrico Fabris decise di fare i conti col tempo, unità assoluta ma divisa in tanti piccoli, normali, semplici pezzi. Lì dentro, Enrico Fabris ha cominciato a pattinare e non si è fermato più» (Maurizio Crosetti).