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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

D’ALEMA

Massimo Roma 20 aprile 1949. Politico. Deputato (eletto nel 2008 col Pd). Ex presidente
del Consiglio (1998-2000). Ministro degli Esteri nel Prodi II (2006-2008). «Capotavola è dove mi siedo io».


Ultime Nei due anni al governo ha ostentato spesso distacco nei confronti del confronto
politico interno, anche nella fase costituente del Partito democratico: «Mi occupo di cose importanti, di politica estera» era il suo leit motiv. Nel Pd, in cui non ricopre alcun incarico di vertice, prosegue sotterraneo il dualismo con Walter Veltroni, che ha criticato dopo la
sconfitta alle elezioni dell’aprile 2008 (vedi anche il capitolo Politica). Silvio Berlusconi non fa mistero
di ritenerlo ancora il suo antagonista più credibile (e l’avversario con cui potrebbe dialogare)
• Dalla Farnesina ha guidato una politica estera più europeista, più fredda nel rapporto con gli Stati Uniti rispetto ai governi Berlusconi II e
III, considerati eccessivamente subalterni a Washington. Una freddezza che da
un lato servì in più di una occasione a ricompattare la maggioranza e dall’altro fu spesso ricambiata dalla Casa Bianca. Nel gennaio 2007 si disse
contrario a un rafforzamento della presenza militare americana in Iraq e si
fece apprezzare dalla sinistra della coalizione quando alzò la voce manifestando la contrarietà dell’Italia a «iniziative unilaterali» in occasione di un bombardamento americano in Somalia contro postazioni di
guerriglieri ritenuti legati ad al Qaeda che fece anche vittime civili. L’Afghanistan ha rappresentato un’altra occasione di tensione con Washington: dalla lettera-appello all’Italia di sei ambasciatori, primo quello americano, sull’importanza della missione a Kabul (che la Farnesina giudicò «irrituale») al caso del giornalista Daniele Mastrogiacomo, rapito nel marzo 2007 e
rilasciato in cambio della liberazione di alcuni talebani. Dopo una cena negli
stessi giorni a Washington con il segretario di Stato Condoleezza Rice, D’Alema parlò di «comprensione» americana per il modo in cui l’Italia aveva condotto le cose per la liberazione, ma fu poi implicitamento
smentito dalla riprovazione espressa da una voce anonima del Dipartimento di
Stato Usa. Più in generale, insistette a nome dell’Italia perché in Afghanistan assumesse un peso maggiore la missione civile e lanciò l’idea di una conferenza internazionale di pace. Sostenne comunque l’impegno militare italiano («il ritiro da Kabul sarebbe un atto unilaterale che ci separerebbe da tutta l’ Europa e non ci farebbe fare nessun passo avanti») anche alla vigilia di una seduta parlamentare decisiva per la maggioranza:
chiamato infatti a riferire sulla politica estera del governo, anticipò che se non fosse passata sarebbe stata crisi. «L’Italia è tornata a essere amica d’Israele e dei Paesi arabi, solo rimanendo in Afghanistan si può lavorare per la pace», disse il 21 febbraio 2007 al Senato. La sua risoluzione fu bocciata e Prodi si
dimise (ma fu rinviato alle Camere dal presidente Napolitano e ottenne la
fiducia)
• è stato molto attivo, e criticato, sulle questioni arabo-israeliane. «In italiano normale si direbbe equidistante o magari equanime, e invece c’è un aggettivo che solo i vecchi democristiani avrebbero potuto coniare per
rappresentare la politica italiana in Medio Oriente, quella definizione che D’Alema definì “geniale”, riconoscendone il merito allo Scudocrociato, e fece propria alla conferenza
nazionale Ds del 2 dicembre [2005]: l’Italia dev’essere un Paese “equivicino” al mondo arabo e a Israele» (Gian Guido Vecchi). Questa equivicinanza non fu mai molto gradita dalla
comunità ebraica (al suo esordio alla Farnesina alcuni lo definirono «un pericolo»). Sostenne la necessità di dialogare con Hamas anche prima che accettase di riconoscere lo Stato di
Israele, provocando l’indignazione dell’ambasciatore Meir. «Hamas si è reso protagonista di atti terroristici, ma è anche un’organizzazione popolare. Per l’Occidente non riconoscere un governo eletto democraticamente, magari mentre
andiamo a braccetto con qualche dittatore, non è una straordinaria lezione di democrazia». Lo si vide, nell’agosto 2006, in una fotografia scattata nelle strade dei quartieri sciiti di
Beirut bombardati da Israele a braccetto con un deputato di Hezbollah (il
gruppo filo-siriano le cui milizie avevano ucciso e catturato alcuni soldati
israeliani) e fu attaccato per questo dal centrodestra e dai riformisti della
maggioranza. Un mese più tardi ottenne un sì bipartisan (con critiche da Prc e Pdci e il no della Lega) alla partecipazione
dei soldati italiani alla missione Unifil in Libano. Da ultimo, intervenendo
nel settembre 2008 a un convegno dell’Aspen Institute, si è detto convinto, al contrario del suo successore Franco Frattini, dell’impossibilità della pace senza affrontare il nodo di Gerusalemme e della necessità che, una volta giunti a un vero accordo, ci sia una forza internazionale a
garantirlo nei territori palestinesi e a Gaza
• è stato uno dei principali artefici del successo della risoluzione italiana per «una moratoria sulle esecuzioni in prospettiva dell’abolizione della pena di morte» votata a larga maggioranza dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite (104 a favore, 54 contrari — tra i quali Stati Uniti, Iran e Siria — 29 astenuti) il 18 dicembre 2007, già approvata ma con qualche voto in meno un mese prima, sempre all’Onu, dalla Commissione per i diritti umani. Pochi giorni prima del voto di
novembre, con il premier Prodi e il ministro Emma Bonino era riuscito a
convincere anche Abdelaziz Bouteflika, presidente del’Algeria, paese musulmano, rompendo così il fronte terzomondista in buona parte contrario alla moratoria. Un risultato
che l’Italia perseguiva da più di dieci anni e per il quale si sono battuti anche la Comunità di Sant’Egidio e gli abolizionisti di Nessuno tocchi Caino. Prendendo spunto dallas
moratoria sulla pena di morte, Giuliano Ferrara lanciò la campagna per la moratoria sull’aborto
• Nella politica interna si è distinto come «pretoriano del presidente del Consiglio». «Il peggio di sé l’ha offerto nelle ultime settimane, quando ha fatto di tutto per evitare il voto.
Ha spinto Giorgio Napolitano a immaginare le ipotesi più assurde per evitare le urne. Ha cercato di convincere Franco Marini a
dimenticare il suo ruolo di presidente del Senato per trasformarsi in una sorta
di ariete che avrebbe dovuto mettere in piedi un governo rabberciato. Ha
cercato di riprendersi Lamberto Dini ricordandogli i favori che gli ha fatto.
Ha provato a recuperare Clemente Mastella. Ha offerto mezzo mondo a Pier
Ferdinando Casini per indurlo a mollare il Cavaliere. Con un unico obiettivo:
evitare di andare alle elezioni con una legge elettorale che dava la possibilità a Walter Veltroni di ridisegnare i gruppi dirigenti del Pd a sua immagine e
somiglianza» (Augusto Minzolini). Nel dibattito sulla riforma elettorale è stato uno dei sostenitori del sistema proporzionale alla tedesca (diversamente
da Veltroni, bipolarista convinto)
• A settembre 2007, il gip di Milano Clementina Forleo chiese alla Giunta per le
autorizzazioni della Camera di poter utilizzare nel processo Unipol-Bnl le
intercettazioni di alcune sue telefonate con Gianni Consorte. Nel far ciò allegò ampi stralci delle trascrizioni operate dal suo perito. L’autorizzazione fu infine respinta con la motivazione che essendo all’epoca D’Alema deputato a Strasburgo, la richiesta andava fatta all’Europarlamento. Gli atti sono stati trasmessi a Strasburgo. La Forleo fu poi
accusata dalla procura generale della Cassazione di essere andata oltre i suoi
doveri di giudice definendo in quella richiesta al Parlamento lo stesso D’Alema, Piero Fassino e Nicola Latorre, non indagati, «consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata», e ipotizzando per D’Alema e Latorre, «complici non tifosi» degli imputati, una «procedibilità penale». Grande indignazione dei tre - e specialmente di D’Alema - che contestarono al magistrato il diritto di scrivere quello che aveva
scritto. Ma venne assolta dal Csm.
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Vita Figlio di Giuseppe, dirigente e poi parlamentare del Pci (defunto), e di Fabiola
Modesti (1928-2008), comunista col partito nel sangue, «una che non fa vedere i suoi affetti: i miei figli mi chiamavano “il generale”. Massimo in questo somiglia più a me» (a Maria Grazia Bruzzone) • «Abbiamo origini arabe. I miei antenati, che in origine si chiamavano Halema, si
trasferirono dal Maghreb in Italia al tempo di Federico II ed entrarono nella
guardia imperiale: Federico II era in guerra col Papa e loro, come musulmani,
approvavano caldamente» • A 9 anni, i genitori lo portano a un congresso del Pci e gli fanno pronunciare,
dalla tribuna dove è seduto Togliatti, il saluto dei pionieri. Giampaolo Pansa: «Un bel faccino. I capelli con la brillantina. Le maniche della giacchetta un po’ lunghe. E quel fazzolettone che la mamma gli ha annodato con cura. Legge con
sicurezza. E sarà proprio il Migliore, occhiali spessi e voce un po’ in falsetto, a dire di quel bambino: “Se tanto mi dà tanto, questo farà strada”» (secondo Edmondo Berselli la frase fu: «Questo non è un bambino, è un nano»)
• A 10 anni vince un concorso Aci, ottiene la copertina della rivista Automobile
e dichiara: «Se fossi ministro darei pene più severe» (Pietrangelo Buttafuoco) • Maturità classica, poi Filosofia alla Normale di Pisa che frequenta con Fabio Mussi
(amico per la pelle fino a pochi anni fa). Siamo nel Sessantotto. Sostiene di
aver tirato una molotov durante una manifestazione, subisce un processo per
blocco ferroviario e uno per disordini provocati durante una manifestazione
contro la visita del vicepresidente Usa. Non si laurea, si iscrive al Pci,
diventa segretario a Pisa • Chiamato a Roma da Berlinguer e Chiaromonte che lo nominano segretario della
Federazione Giovanile Comunista (Fgci, 1975). Nell’80 lo mandano in Puglia a fare il segretario regionale. Nell’84 Berlinguer se lo porta a Mosca, come membro della delegazione che segue i
funerali di Andropov. Secondo Berselli, che ragiona in base al libro A Mosca l’ultima volta. Enrico Berlinguer e il 1984 (Donzelli, 2004) scritto dallo stesso D’Alema, qui avviene la definitiva maturazione dell’uomo: vede Berlinguer che, per nascondere l’assoluta mancanza di commozione, finge di impicciarsi con la carta appiccicosa
delle caramelle sovietiche; si sente comunicare dallo stesso Berlinguer «che i dirigenti mentono sempre, anche quando non sarebbe necessario» • Eletto deputato dalla Puglia nel 1987 • Si allea con Occhetto e insieme i due fanno cadere Natta, profittando di una
sua malattia. Appoggia poi Occhetto che trasforma il Pci in Pds (svolta della
Bolognina, 12 novembre 1989), ma quando nel 1994 questi perde le elezioni
contro Berlusconi lo lascia al suo destino e corre per la segreteria contro
Veltroni. Veltroni risulta primo in un referendum tra gli iscritti, ma viene
largamente battuto in Comitato centrale (luglio 94). Nel frattempo: è stato direttore dell’Unità (Buttafuoco: «Fa un giornale aggressivo e grandi partite a tetris»), è stato capogruppo del Pds alla Camera e membro del Coordinamento politico del
partito, ha visto all’opera Tangentopoli e ne ha tratto le seguenti convinzioni: la borghesia è qualunquista, i giudici pericolosi, i giornali e i giornalisti una merda
• è diventato un protagonista della vita politica italiana, un avversario
pericoloso soprattutto per i suoi concorrenti di sinistra (Prodi, Veltroni,
Rutelli). Ha l’aria sprezzante, proclama la sua passione per la barca a vela, non si vergogna
di indossare un paio di scarpe da un milione e mezzo di lire. Si fa conoscere
dalla City dove si accredita come uomo moderno, di mondo e di mercato.
Buttafuoco: «Passa dai vestiti Oviesse al sarto napoletano, dal lessico postmarxista all’ideologia paeso-normalista». La base di sinistra trova qui i fondamenti della propria futura insofferenza
per l’uomo.
[aol]


Cade Berlusconi (dicembre 1994), e Scalfaro dà l’incarico a Dini, che di Berlusconi era ministro. Però Scalfaro vuole che i ministri siano quelli che dice lui e a queste condizioni
Berlusconi fa sapere che non ci sta. Ci sta però D’Alema, che Scalfaro chiama al telefono mentre fa l’ospite al Tappeto volante di Rispoli. D’Alema ascolta e, seduta stante, da un camerino, telefona a Dini: «Se lei accetta, avrà tutto il nostro appoggio». è il caso più eclatante di trasformismo della Seconda repubblica. Quel governo sarà sempre considerato un “D’Alema per interposta persona”. Dini, negli anni successivi, ne trarrà vantaggi politicamente cospicui • Da questo momento la carriera politica di D’Alema va letta all’interno di alcune costanti: si muove in una direzione che è sempre tendenzialmente convergente con quella di Berlusconi e sempre
tendenzialmente divergente da quella di Prodi (al cui nome, in privato, D’Alema alza gli occhi al cielo); gli uomini che ne determinano le mosse, cioè da cui si guarda, sono i grandi leader della sinistra: Prodi, Veltroni,
Rutelli. Gli altri giocatori in campo (Bertinotti, Cofferati) possono essere
alleati o avversari, ma solo in funzione dell’agognata leadership della coalizione, occupata per intanto da Prodi in quanto «meno peggio» e in attesa di una resa dei conti finale che tutti però rinviano a data da destinarsi. Cofferati verrà eliminato facilmente grazie all’aiuto di Bertinotti e dirottato su Bologna dove a livello nazionale non può far danni. Prodi, una volta caduto per un agguato forse preparato con
Bertinotti dallo stesso D’Alema, verrà mandato a fare il presidente della Commissione europea grazie all’appoggio di Schroeder a cui D’Alema ha risolto il problema del curdo Ocalan (ricercato dai tedeschi, che però non volevano assolutamente catturarlo, quindi restituito da D’Alema ai russi)
• Stiamo già parlando del governo D’Alema ed è presto. Prima c’è il governo Prodi (Prodi I) e la decisiva opera di tessitore tentata da D’Alema come presidente della Commissione bicamerale. Questa, insediata il 22
gennaio 1997, avrebbe dovuto riformare lo Stato. D’Alema, sposando in pieno la logica di un’azione riformatrice bipartisan, la guidò tenendosi strettamente in contatto con Berlusconi e schivando, parando o
subendo ogni sorta di colpi (dalla Lega, che non voleva farsi togliere la
parola sul tema del federalismo, da Fini che non voleva consacrare la
leadership di Berlusconi, dalla sinistra che remava contro perché D’Alema non diventasse, vincendo in Bicamerale, il capo della coalizione nel
2001). In definitiva, nonostante un “patto della crostata” siglato il 18 giugno 1997 in casa di Gianni Letta e così detto in onore della crostata preparata per l’occasione dalla signora Maddalena (che servì anche fusilli ai funghi e vitel tonné: seduti a tavola c’erano D’Alema, Berlusconi, Fini, Marini, Tatarella, Nania, Urbani e Salvi), la
Bicamerale paralizzata dai veti di questo o di quello fu definitivamente
affossata da un voto contrario di Berlusconi (2 giugno 1998) che aveva visto
nascere, dopo giri di valzer che sarebbe troppo lungo raccontare, addirittura
un asse Fini-D’Alema. Inutilmente dunque, per mesi e mesi, gli italiani avevano sentito parlare
di presidenzialismo o semipresidenzialismo alla francese. D’Alema voleva dimettersi anche da segretario del partito, scatto di nervi che gli
fu impedito dallo stesso Veltroni. Anche se la Bicamerale non approdò a niente, il rapporto troppo intimo con Berlusconi (“inciucio”) tenuto necessariamente in quel periodo non gli è ancora stato del tutto perdonato dalla base del partito
• Con l’idea di allargare la rappresentatività del partito, D’Alema trasformò il Pds in Ds (congresso di Firenze, 12 febbraio 1998) accogliendo figure della
sinistra che non avevano fatto parte del Pci come, da un lato, Famiano
Crucianelli, dall’altro Giorgio Ruffolo o Ermanno Gorrieri. Caduto Prodi, lasciò la segreteria a Veltroni e si insediò a Palazzo Chigi, intanto con l’idea di accreditarsi di fronte al mondo come uomo dell’Occidente, della modernità e del mercato, dato che, oltre tutto, era il primo comunista o ex comunista a
guidare un governo italiano. Per l’Occidente, c’era la guerra del Kosovo. Per la modernità, un look sempre più curato, uno stile fascinoso e sprezzante in tv. Per il mercato, la scalata alla
Telecom
• Disse Cossiga: «L’approdo del “comunista” D’Alema a Palazzo Chigi è avvenuto con il pieno consenso degli americani, dietro l’assicurazione preventiva che, durante l’annunciata guerra del Kosovo, l’Italia non si sarebbe tirata indietro». E infatti D’Alema non solo fornì soldati italiani al contingente Nato di stanza in Kosovo, ma accettò, su richiesta della Casa Bianca, di bombardare le postazioni antiaeree di
Milosevic, senza neanche informare preventivamente gli alleati di governo. I
quali all’inizio del conflitto erano stati convocati e s’erano sentiti fare dal presidente questo discorso: «Devo assumermi delle responsabilità e non posso essere sottoposto a un controllo quotidiano. Alla fine, se il mio
comportamento non vi sarà piaciuto, mi manderete via». Il fedele Minniti aveva trovato la definizione giusta dell’azione italiana: «Difesa attiva». Bruno Vespa: «Il comportamento del nostro governo fu ineccepibile. Quando domandai all’allora premier da quante manifestazioni si sarebbe dovuto difendere Berlusconi
se si fosse trovato al suo posto in circostanze analoghe, “non da quelle del mio partito” mi rispose. Era una piccola, grande bugia: se fosse stato all’opposizione, D’Alema avrebbe bombardato la maggioranza. Stando al governo, si conquistò — giustamente e abilmente — sul campo la legittimazione internazionale che gli serviva […] Il conflitto serbo-albanese servì a D’Alema per mutare in modo radicale il rapporto dei Ds con le nostre forze armate» (da
Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi, Mondadori-Rai Eri, 2004 • Quanto alla scalata Telecom, D’Alema aveva definito Colaninno, Gnutti e gli altri protagonisti di quell’impresa «capitani coraggiosi», contrapponendoli ai vecchi capitalisti alla Agnelli, che additava di fatto
come inerti o avari. Un suo collaboratore, Davide Corritore, lasciò palazzo Chigi perché infastidito, a suo dire, dall’eccessiva disinvoltura del premier nei rapporti con la finanza: «Pensavo che un’istituzione dovesse stare fuori dal gioco. Invece a Palazzo Chigi si diceva:
Cuccia ha chiamato D’Alema, Cuccia vuole vedere D’Alema...». Guido Rossi coniò quella battuta terribile: «Palazzo Chigi è l’unica merchant bank dove non si parla inglese». E varie disavventure finanziarie del momento (come quelle della Banca 121 nel
Salento, indagata per aver truffato 2500 risparmiatori) vennero attribuite
dagli avversari politici a maneggi dei dalemiani
• Prodi aveva formato un nuovo partito (I Democratici, simbolo un asinello), D’Alema dovette farne entrare al governo alcuni rappresentanti, Cossiga (un altro
che detesta Prodi) ritirò l’appoggio del suo Udr, Mastella lo sostituì trasformando l’Udr in Udeur e insomma D’Alema, che aveva formato il primo gabinetto applicando alla lettera il manuale
Cencelli, si trovò con un esecutivo sostanzialmente più debole. Aveva anche perso la simpatia di Marini, che lo aveva appoggiato nella
presa di Palazzo Chigi con l’intesa che al Quirinale sarebbe salito un altro cattolico. Invece, finito il
mandato di Scalfaro, D’Alema aveva contribuito all’elezione di Ciampi al primo voto. In una situazione che si andava sempre più deteriorando man mano che ci si avvicinava alle politiche del 2001 e alla
questione di chi avrebbe guidato la coalizione di centrosinistra, D’Alema tentò di forzare il gioco caricando di significato politico le elezioni regionali del
16 aprile 2000. Confidando nella conquista di 11 regioni su 15, annunciò che in caso di sconfitta si sarebbe dimesso. Il centrosinistra non prese che
otto regioni e D’Alema mantenne la parola.
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Piuttosto defilato, durante i cinque anni di governo Berlusconi in cui ha fatto
il presidente del partito (essendo segretario Fassino). è diventato parlamentare europeo nel 2004, carica a cui ha rinunciato quando è stato eletto deputato alle politiche del 2006 • A risultato elettorale acquisito è stato il primo della sua parte a parlare della necessità di un governo di coalizione, sull’esempio del modello tedesco. S’è candidato alla presidenza di Montecitorio e ha poi rinunciato a favore di
Bertinotti incassando così un primo grosso credito politico. Giuliano Ferrara lo ha proposto per il
Quirinale, come successore di Ciampi, con una campagna del Foglio addirittura
sopra le righe. S’è visto allora che Berlusconi, il quale lo avversava fieramente a parole, sotto
sotto avrebbe fatto volentieri la prova. Fassino lo appoggiava al punto che
diede al Foglio un’intervista in cui si esponeva una specie di programma di governo, fatto inaudito
nel nostro sistema dato che il presidente della Repubblica non ha responsabilità politica. I suoi manovrarono per frenarlo, ma l’ascesa di Napolitano deve essere considerata un successo suo e di Fassino
• è sposato con l’archivista Linda Giuva (Foggia 1953), che ha raccontato nel libro Donne del Sud di Paola Moscardino (Palomar editore 2007): «Quello che mi colpì fu il contrasto tra come lui appariva, e cioè una persona molto fredda, e alcune cose che si riuscivano a percepire al di là di questo atteggiamento distaccato. Per esempio, la sua voglia di giocare, di
divertirsi, di stare insieme agli altri. Il contrasto tra il suo apparire una
persona solitaria e il suo non voler essere solo». Nell’estate 2008 sono stati fotografati mentre si baciavano nel mare di Ponza. Due
figli, Giulia e Francesco: «Ci siamo sposati perché aspettavamo una bambina, ma è stato Massimo a volerlo, faceva discorsi del tipo: ora aspettiamo un figlio,
bisogna costruire una famiglia normale».



Politica Nel maggio 2008, all’indomani della sconfitta del Pd, attraverso una lunga intervista pubblicata da
Italianieuropei, la rivista della sua fondazione, scrive una sorta di manifesto
politico che comincia però come atto d’accusa della leadership di Veltroni e, in parte, anche del governo Prodi, al
quale imputa «errori politici e deficit di innovazione». Al segretario del Pd «riconosce di aver limitato la sconfitta, ma chiede autocritica. Vuole che
Veltroni ammetta di aver deluso quella maggioranza silenziosa che, “al di là delle piazze gremite ed euforiche”, invocava una guida forte, “mentre noi abbiamo messo l’accento sul ricambio generazionale, sui volti nuovi della società civile...”. D’Alema riconosce che 12 milioni di voti non rappresentano solo una élite, però dichiara “svanita l’illusione del partito leggero” e invoca la selezione di una classe dirigente “la cui qualità non consista esclusivamente nel fatto di essere nuova”. Quindi indica la via per riprendere il cammino. Dialogare con la destra “non sarà facile” eppure è necessario, occorre misurarsi con la Lega sul federalismo e, sulle alleanze,
non assecondare «“l’idea di una brutale riduzione del pluralismo in senso bipartitico”» (Monica Guerzoni)
• A proposito dei partiti: «Non bastano più. Servono i circoli e le consultazioni della base, ma sono necessari anche altri
strumenti per elaborare idee nuove, formare la classe dirigente, produrre
iniziative. Questo è il nostro obiettivo (D’Alema è presidente della Fondazione Italianieuropei e ha fondato l’associazione politico-culturale Red — ndr). Un lavoro utile anche per il Partito Democratico. Solo chi ha una mentalità provinciale pensa che tutto questo sia fatto per dare fastidio all’onorevole Walter Veltroni» (ad Alessandra Di Pietro).



Dalemiani Con D’Alema esistono da sempre i dalemiani: tra i fedelissimi nel partito Livia Turco,
Anna Finocchiaro, Nicola Latorre, Marco Minniti, Gianni Cuperlo; tra i
sostenitori Alfredo Reichlin, Giorgio Ruffolo, Umberto Ranieri ecc. Nel mondo
dell’economia e dei cosiddetti poteri forti «portò per primo un uomo di finanza, Claudio Costamagna, ex Goldman Sachs, a un
congresso dei ds (quello di Roma in cui passò la segreteria a Veltroni), e a sua volta, quando arrivò a Palazzo Chigi, ebbe il via libera tramite intervista su Repubblica da Marco
Tronchetti Provera» (Antonella Rampino). Della galassia di amici fanno parte poi Guido Rossi (con
cui si è riappacificato dopo la stagione di «Palazzo Chigi-merchant bank»), Vincenzo De Bustis di Deutsche Bank Italia, Pietro Modiano del San Paolo (che
è anche marito di Barbara Pollastrini), tutto il mondo cooperativo
• «D’Alema piace a destra perché, come la destra, disprezza la sinistra delle emozioni e dei tortellini, dei
moralisti e dei giustizialisti. Ama D’Alema chi non ama Benigni e Nanni Moretti (tranne quello berlusconidipendente
del Caimano), chi non legge Paul Ginsborg e Camilleri, chi non ascolta
Vecchioni e Piovani. Infatti ama D’Alema Giuliano Ferrara. Tra i sostenitori della prima ora, Carlo Rossella, Giano
Accame, Piero Ostellino. Vogliono D’Alema gli ex leader di Potere Operaio Oreste Scalzone e Lanfranco Pace, come
alternativa alla noia — «o Massimo o moriamo di pizzichi» — e gli ex dc Francesco Cossiga e Paolo Cirino Pomicino, come campione della
politica contro poteri forti e salotti della finanza» (Aldo Cazzullo nel maggio 2006, nei giorni in cui lo si dava candidato al
Quirinale).
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Frasi «Da bambino ero antipatico» • «Tendo a considerare molto intelligente chi mi dà ragione» • «Faccio cinquecento addominali al giorno» • «Godo della fama immeritata di essere un buon tattico, ma non lo sono. Credo di
aver sbagliato molte mosse e di aver pagato di persona» • «Ho inventato io il termine “inciucio”. Avevo una cartella di cose poco chiare e sopra avevo scritto “inciuci”, adatto per indicare pasticci» • «Se la pensate come me, siete inutili. Se la pensate diversamente, siete dannosi» (a Roberto Villetti nel 98, a proposito dell’alleanza con i socialisti). «Facci sognare» (nel 2005 al telefono con Giovanni Consorte, allora presidente Unipol). «Ma di’ qualcosa di cattivo, sei di gomma» (a Pier Ferdinando Casini nel 2006 durante un Porta a porta) • Nelle liti della coalizione vede «la tradizione autolesionistica del centrosinistra italiano, che è democratico, molto democratico, talmente democratico da rasentare la confusione» • A una cena a Napoli nel marzo 2008: «Sapete che ho un’alta concezione di me. Ho mediato tra israeliani e palestinesi. Non sono venuto
qui in Campania per mediare tra bassoliniani e antibassoliniani...».



Critica «Massimo D’Alema, diciamo, non ha rivali» (Lucia Annunziata) • Non esiste politico che ascolti, come lui, per un’ora, senza nemmeno rispondere al telefonino» (Nicola Rossi) • «I leader autentici sono sempre, in ogni Paese, e anche in Italia, pochissimi. E
D’Alema è uno di loro» (Angelo Panebianco) • «Tanti si prendono per un padreterno. A Max è riuscito di farlo credere anche agli altri. Per recondite ragioni, è considerato il più intelligente, aperto e liberale dei politici di sinistra. Una sopravvalutazione
diffusa soprattutto nel centrodestra. Chiedete a Fini, Berlusconi o un altro,
quale avversario preferisce. Risponderanno unanimi: “D’Alema”» (Giancarlo Perna) • «C’è chi fa politica per rubare, direbbe l’ex veltroniano Francesco De Gregori, chi per amore, chi per giocare, ma D’Alema è uno di quelli che fa politica per essere il migliore. Come Buffalo Bill. Solo
che la mira di Max lascia un po’ a desiderare, visto che è il politico più odiato sia a destra sia a sinistra» (Cristian Rocca) • «Essendo convinto d’essere il più bravo di tutti, sottovaluta gli avversari, e dài e dài, qualche volta finisce con il fare la figura dell’ingenuo» (Fabrizio Rondolino) • «è competitivo su tutto, e con chiunque. Se prende un caffè al bar, deve spiegare al barista come si fa un buon caffè, e al suo commensale quanti cucchiaini di zucchero servono» (Peppino Caldarola) • «D’Alema è un impunito recidivo, protagonista della gran coglionata della Bicamerale, e
che in più si ostina a fare i suoi libri con il Berlusca. Gli consiglio di vendere la
barca e di mettersi tranquillo, di questi tempi è il meglio che può fare... » (Dario Fo) • «C’è grande sintonia tra D’Alema e Veltroni. Pensano esattamente le stesse cose, soprattutto uno dell’altro» (Ellekappa).



Tifo Romanista. «Per vincere uno scudetto la Roma deve meritarne tre; alla Juve basta meritarne
uno per vincerne tre» (nel 2000).



Vizi Gioca a tennis. Adriano Panatta, ricordando un match disputato nel 1999 alle
7.30 di mattina al Foro Italico: «Ci fermammo sul 5-0 per me. Gli facevo fare il “tergicristallo”, di qua e di là. Non si fermava mai. è molto grintoso, però può migliorare, specie su rovescio e servizio» • Pretende di saper cucinare e, in un celebre Porta a porta, si esibì in un risotto. Il gastronomo Beppe Bigazzi: «Ha cucinato su un teflon. Così, o il risotto si brucia, o si scuoce» • Giocatore di Risiko • La moglie: «Per via di un’allergia, non porta mai l’orologio, ma è difficile che sbagli ora. E non ha nemmeno un’agenda. Dice che si ricorda i numeri a memoria, non vuol dipendere da nessuno» • Gli piace la musica, classica anzitutto: Beethoven l’autore preferito, «ma pure Mozart, Chopin, la lirica che da giovane guardavo con distacco e adesso
amo» • Maniaco della barca a vela. L’acquisto dell’Ikarus e il fatto che le rate relative (8.063 euro al mese) venissero pagate
attraverso un leasing contratto con la Banca Popolare Italiana (quella di
Fiorani) scatenò una quantità di polemiche e illazioni.