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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

MORETTI

Nanni (Giovanni) Brunico (Bolzano) 19 agosto 1953. Regista. Film: Io sono un autarchico (76), Ecce Bombo (78), Sogni d’oro (81), Bianca (84), La messa è finita (85), Palombella rossa (89), La cosa (90), Caro diario (93, Nastro d’argento), Aprile (98), La stanza del figlio (2001, Palma d’oro a Cannes, Nastro d’argento), Il caimano (2006, David di Donatello come miglior regista). Tra i film di cui è stato solo attore, Il portaborse (Luchetti, 91, David di Donatello come miglior protagonista) • «Nato a Brunico durante un periodo di ferie dei genitori, da padre antichista e
madre professoressa, capisce subito quali sono i due grandi amori della sua
vita: il cinema e la pallanuoto. Il secondo lo pratica ad alti livelli,
giocando in serie A e guadagnandosi un posto nella Nazionale giovanile. Il
primo comincia a frequentarlo dopo il liceo, quando tenta invano di lavorare
come aiuto regista. Con i soldi ricavati dalla vendita di una raccolta di
francobolli, acquista una cinepresa Super 8 e gira i primi due cortometraggi,
La sconfitta e Patè de Bourgeois, proiettati a Roma in un circolo della “nuova sinistra”. L’anonimato è rotto con Io sono un autarchico, il primo lungometraggio che presto diviene un cult. Protagonista è Michele Apicella, interpretato da Moretti e suo alter-ego in quasi tutti i
primi lavori. Al centro dell’opera prima un gruppo di confusi giovani della generazione post-sessantottina.
Nel 77 arriva Ecce bombo: il film viene presentato in concorso a Cannes con un ottimo successo di
pubblico. Celebre la battuta “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”. Nell’81 il primo grande riconoscimento, il Gran premio speciale della giuria della
Mostra di Venezia (presieduta da Italo Calvino), con Sogni d’oro. Se con Bianca Moretti trova la fama, è con La messa è finita, premiata con l’Orso d’argento a Berlino, che arrivano i riconoscimenti internazionali. Lui, però, non è tipo da accontentarsi: va oltre, vuole cambiare il suo modo di lavorare, fare
da solo, dipendere sempre meno dalle pretese dei produttori: nell’87, insieme con l’amico Angelo Barbagallo, fonda la casa di produzione Sacher Film, in omaggio al
dolce che più ama e immortalato anche in Bianca (“Lei non ha mai assaggiato la Sacher Torte? Va bè continuiamo così, facciamoci del male”). La Sacher lancia nuovi registi italiani come Carlo Mazzacurati e Daniele
Luchetti. L’89 è l’anno di Palombella rossa, riflessione critica e amara sulla crisi della sinistra, cui segue, a poca
distanza, La cosa, documentario sulla svolta dal Pci al Pds. Nel 91 Moretti produce e interpreta Il portaborse di Luchetti: la ferocia del ministro socialista disposto a tutto pur di
raggiungere le vette del potere politico trionfa al botteghino. Dello stesso
anno è il lancio del Nuovo Sacher, cinema nel cuore di Trastevere che Moretti prende
in gestione e che diventa punto di riferimento per morettiani e cinefili. Poi
arriva Caro diario, film in tre episodi (In Vespa, Isole e Medici) in cui Moretti mette a nudo le proprie fobie, ironizza sul cinema americano e
italiano e parla della malattia che lo ha realmente colpito. Il film trionfa,
le critiche sono entusiastiche e a Cannes vince il Gran premio della giuria.
Nel 95 Moretti, assieme ad altri registi italiani, firma L’unico paese, un film di denuncia politica che anticipa l’impegno politico a tempo pieno degli anni successivi. Nel 98 arriva Aprile, prosecuzione ideale di Caro Diario, in cui Moretti racconta in parallelo la nascita del figlio Pietro e la
vittoria elettorale dell’Ulivo. Poi ancora un’altra esperienza come attore di un film di Mimmo Calopresti, La seconda volta, in cui interpreta un professore che incontra per caso la terrorista che dodici
anni prima gli aveva sparato un colpo in testa. Il 2001 è l’anno di La stanza del figlio, Palma d’oro a Cannes, riflessione sulla famiglia e sulla morte. Sembrerebbe un ritorno
al privato, invece il 2 febbraio 2002, in piazza Navona, in occasione di una
manifestazione sulla giustizia organizzata dall’Ulivo, Moretti spiazza ancora una volta tutti: “Anche questa serata è stata inutile — dice, subito dopo gli interventi di Rutelli e Fassino —. Con questi dirigenti non vinceremo mai. Il problema del centrosinistra è che per vincere bisogna saltare due-tre-quattro generazioni”. Qualche giorno dopo Moretti torna in piazza con i “girotondi” intorno al palazzo di Giustizia di Roma e viene identificato come il leader del
movimento. La battaglia politica culmina il 14 settembre nella manifestazione a
piazza San Giovanni. “Volevo tornare al mio lavoro, ma non riesco a smettere”» (Raffaella Silipo). Da quel momento — e per un certo periodo — diventa il punto di riferimento ideale dello schieramento che sta a sinistra
dei Ds e che si manifesta andando a fare giorotondi nei luoghi che identifica
come simboli del potere
• Nell’ultimo film Il Caimano (2006, con lo stesso Moretti, Silvio Orlando, Michele Placido, Margherita Buy,
Jasmine Trinca) si racconta la storia di un produttore quasi fallito che vuole
fare un film su Berlusconi e offre il ruolo al quasi sosia Elio De Capitani, a
Michele Placido, allo stesso Moretti. Elogi dalla parte meno attesa, quella di
Giuliano Ferrara, il quale sostiene che, lo volesse o no, il regista ha fatto
un monumento al capo di Forza Italia. Grande successo, tutto esaurito e code ai
botteghini delle 380 sale dove venne proiettata la pellicola (nessuna di queste
sale era del circuito Medusa, cioè quello di Berlusconi: ma per volontà di Moretti). Essendo il film uscito a marzo, la metafora del caimano (inventata
peraltro da Franco Cordero) entrò nell’immaginario di quella campagna elettorale e fu adoperata dallo stesso Berlusconi
(«io sono il caimano che si mangia i magistrati che cercano di eliminare gli
avversari politici e garantiscono l’impunità a chi sta dalla loro parte, la parte rossa»: in quello stesso comizio a Napoli ricordò che «i comunisti cinesi si nutrono di bambini bolliti»)
• «Quando avevo vent’anni dicevo di voler fare il cinema ma a chi mi chiedeva se l’attore, il regista o altro rispondevo: tutto» • «Mi è costato molto dire di no a Kieslowski che mi onorò dell’offerta di recitare in La doppia vita di Veronica» • «è cresciuto in un ambiente di salotti romani intellettuali che ora lo proteggono,
ma deve subire anche i pregiudizi dell’altra parte: il che provoca, come reazione, proprio che si formi una schiera di
fan pronti a tutto e fedeli, come ai tempi delle fazioni pro Visconti o Fellini» (Liliana Cavani) • «Si deve senz’altro a Io sono un autarchico (76) e a Ecce bombo (78) la più illuminante descrizione della crisi dell’ultrasinistra, il disincanto e poi lo sfascio esistenziale di una generazione di
rivoluzionari. Militanti barbuti e un po’ spiritati che si infliggevano improbabili sedute di “autocoscienza maschile”; ragazze che “facevano cose e vedevano gente”; un piccolo mondo grottesco che se ne andava — “No, il dibattito no!” — alcuni dietro agli “indiani cicorioni” alla Festa del Sole di Machu Picchu; altri pronti a ricevere rassicurazioni da “un amico mio etiope” riguardo all’impossibilità di un golpe, per via di certe rotaie su cui non potevano transitare i
carriarmati»
• «Dopo aver visto Il portaborse, il vicesegretario del Psi Giulio Di Donato dice: “M’è venuto da vomitare”. Di lì a qualche mese, nella fornace del congresso di Bari, la prossima fine
ingloriosa del garofano è davanti agli occhi di tutti. Basta saperla riconoscere. Prima e poi ci sono, è ovvio, diversi film non-politici. Storie di preti, di amori, malattie,
solitudini, bambini. Pellicole riuscite e meno riuscite. Ma qui vale più ricordare il rabbioso sgomento per la sconfitta e l’ormai malinconica delusione, anzi addirittura l’estraneità che in
Aprile (98) Moretti riserva a quella stessa sinistra finalmente, ma invano al dunque
giunta al potere. Gli ombrelli neri sotto la pioggia dopo il trionfo
berlusconiano; le navi cariche di albanesi; e quell’ormai celebre tormentone che sanziona la trasformazione del militante in un
tifoso davanti alla tv, con tanto di spinellone fumato sotto gli occhi di
mamma: “D’Alema, dì qualcosa di sinistra!”. E il D’Alema presidente del Consiglio se lo sentì rinfacciare, da un giornalista argentino, addirittura davanti alle cascate di
Iguazù. Poi sì, certo, come si accennava, Moretti per un po’ fece davvero il suo ingresso in politica. Gli bastò, una sera, quella frase che suonava come una maledizione: “Con questo gruppo dirigente non vinceremo mai”, indicando con la testa alle sue spalle D’Alema, Rutelli, Fassino (che prese il cappello e se ne andò). E vennero allora le coreografie di piazza senza più le bandiere rosse, vennero i presidi sotto il Senato per la Cirami, e i
palloncini da gonfiare, i giornalisti che spiavano dietro le vetrate del Nuovo
Sacher, i commessi della Camera che intimavano una postura più consona, e il boato delle moltitudini sotto il palco a San Giovanni, quell’esordio così rauco e cantilenante, così morettiano: “Non perdiamoci di vista... ”» (Filippo Ceccarelli)
• «Ho cominciato a fare politica negli ultimi tre anni del liceo, dal 69 al 72.
Facevo parte di un gruppo extraparlamentare che pubblicava la rivista Soviet,
diretta da Paolo Flores d’Arcais, metteva in copertina il faccione di Marx, ma anche Mao che giocava a
ping pong. Nel 73 girai il mio primo filmino in super 8: si chiamava La sconfitta. Ho sempre fatto film sul mio ambiente politico: non mi sono mai interessati,
neanche da spettatore, i film manichei dove ci sono i buoni da una parte, per
cui fare il tifo, e i cattivi dall’altra, che si beccano i fischi dalla platea. Ho sempre preferito parlare del mio
mondo, criticandolo e prendendolo in giro... Il crollo del mio personale muro
di Berlino fu quando capii, leggendo dai giornali dei primi interrogatori dei
pentiti, che gli assassini del terrorismo rosso venivano dalla sinistra.
Scoprire, alla fine degli anni Settanta, che i brigatisti non erano dei
marziani dei servizi segreti, quello sì fu un vero colpo. Persone che avevano militato nella Fgci, nella sinistra
cattolica, ex militanti di Potere Operaio, i più giovani che venivano da Autonomia Operaia. Ero in piazza Venezia, quel giorno
del giugno 84: il corteo funebre di Berlinguer partì da via delle Botteghe Oscure, verso piazza San Giovanni. La banda cominciò a suonare e io mi misi a piangere. Non ero mai stato iscritto al Pci, ma con
Berlinguer cominciava a scomparire una generazione che si era formata in altri
anni, che poneva come prioritaria la questione morale» (da un’intervista di Barbara Palombelli)
• «La classica famiglia di intellettuali, se è un termine ancora attuale. Il fratello grande, Franco, è un geniale studioso di Letteratura americana e italiana e la sorella Silvia, più piccola, lavora alla Treccani» (Paolo Zaccagnini) • Romanista • Un figlio da Silvia Nono (figlia del compositore Luigi).