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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

BECCALOSSI

Evaristo Brescia 12 maggio 1956. Ex calciatore. Con l’Inter vinse lo scudetto 1979/80 e due volte la coppa Italia (1977/78, 1981/82).
Lanciato dal Brescia, giocò anche con Sampdoria e Barletta. «Campione irrealizzato, mai sbocciato, incompreso. Dire Beccalossi è come scrivere un saggio sul vacuo, il superfluo, l’inutile. Dribblava come Maradona, passava la palla come Zidane, sbagliava i
rigori (una volta ben due, e Paolo Rossi, il comico, ci montò su uno spettacolo) come Baggio. Eppure non fu mai nulla di preciso, di definito
e definitivo. Né un campione, né un bidone. Non arrivò nemmeno all’azzurro ma fece vincere all’Inter uno degli scudetti più belli della sua storia. Sorprendeva in ogni giocata e non eccelleva in nulla.
Ballava, danzava, si arrestava, lanciava. Pardòn, pennellava palloni. Infine ripartiva dribblando. Per andare dove non si è mai saputo, visto che di gol ne segnò pochini, ma tutto quel girare inutile e friggere l’aria era la sua arte. Nella pittura, sarebbe stato un surrealista. Nella musica
un componente dei Velvet Underground. Né la grandezza celebrata dei Beatles, né il trash odierno degli Oasis. Come scrittore? Jack London, che in realtà fu grande fino in fondo ma nessuno dei criticonzi glielo riconobbe. E come
personaggio il giovane Holden» (Matteo Marani)
• «Un esempio del valore drammatico e teatrale del calcio. Non tanto perché è un perdente - non lo è per nulla: all’Inter quasi adolescente vince lo scudetto - ma perché da molti è ricordato romanticamente come un bello e incompiuto. Arrivato a Milano nell’estate del 1978, in un periodo di riflusso, Evaristo non ti ferma neanche Cristo
Beccalossi si ritaglia immediatamente il ruolo di calciatore mito. Elegante,
sempre a testa alta, destro e sinistro, visione di gioco, specialista nel
passaggio ficcante dai venti metri a servire il taglio del compagno in mezzo
all’area, la maglia numero 10, il Becca divenne il redentore di una generazione sull’orlo della sconfitta, colui che aveva osato in un paio di occasioni prendersi
gioco di Vecchia Signora Juventus. Aveva fatto un tunnel a Furino sul quattro a
zero per l’Inter e la cosa non era andata giù a molti. Le porte della Nazionale, feudo incontrastato del clan di Villar
Perosa, gli si erano improvvisamente chiuse. Ai Mondiali di Spagna ’82 Bearzot gli preferì persino Selvaggi» (Gabriella Greison&Matteo Lunardini).