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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

TRONCHETTI PROVERA

Marco Milano 18 gennaio 1948. Industriale. Manager. È l’azionista di maggioranza relativa della Telecom (con Pirelli controlla l’80 per cento di Olimpia che detiene il 18 per cento di Telecom), di cui È stato presidente fino alla sera di venerdì 15 settembre 2006 (gli È subentrato Guido Rossi). Presidente de Il Sole-24 Ore, membro della giunta e
del consiglio direttivo di Confindustria, consigliere d’amministrazione di Mediobanca, Gim, Hdp, Ras, Università Bocconi. Ha sposato in terze nozze Afef Jnifen
• «Il bellone della finanza oggi indicato come il Gianni Agnelli del XXI secolo,
rampollo di una schiatta lombarda di antico lignaggio. La prima moglie È Letizia Rittatore Wonwiller, famiglia di rango, autrice di quel manuale
sperimentato evidentemente in prima persona dal titolo Come sposare un miliardario. Ma il matrimonio dura soltanto nove mesi, a differenza di quello con Cecilia
Pirelli, che durerà 12 anni e che gli varrà a lungo un soprannome non particolarmente lusinghiero: “Il genero”, e tre figli. Quando si lasciano si lega a Barbara Frua, bellezza altoborghese
e un po’ fredda, ex moglie del fotografo Fabrizio Ferri. Bocconiano solitamente musone,
uno di cui si dice, o forse si diceva, che “ha imparato a star zitto da Cuccia”. Lupo di mare, tifoso e azionista dell’Inter, provetto sciatore» (Laura Laurenzi)
• «“Nella mia famiglia c’erano due tradizioni, quella di fare l’ufficiale dell’esercito e quella di fare l’imprenditore. Io ho scelto la seconda”. Il bisnonno era uno dei più grossi produttori italiani di vino all’inizio del Novecento. Suo figlio, il nonno di Marco, morì in guerra durante la campagna d’Africa nel 1911, tre mesi prima della nascita di Silvio, il padre di Marco. E
Silvio fu il vero artefice delle fortune della famiglia. Laureato alla Bocconi
quando la laurea non era un bene di massa, entrò alla Falck e qui fece una solida carriera fino a diventare direttore centrale,
con una specializzazione nel settore siderurgico e in quello dell’energia. In questa fase si occupò del Consorzio approvvigionamenti metallurgici — Cam di cui diventò amministratore delegato indirizzando l’attività nella commercializzazione di prodotti petroliferi. Quando, nel 1965, decise di
lasciare la Falck, pattuì come liquidazione la quota che la Falck possedeva nella Cam, di cui poi negli
anni Ottanta egli acquisì il controllo. La organizzò secondo schemi moderni, e la holding fu chiamata Camfin — Cam finanziaria — e poi quotata in Borsa nel 1986. Marco si laureò nel 1971, anche lui in Economia alla Bocconi, e la sua prima esperienza fu un
semestre d’apprendistato a Londra in un’azienda di trasporti marittimi. Qui capì la rivoluzione in atto in un settore complesso e sofisticato come quello della
logistica, che aveva scoperto il container, e ciò gli aprì un’intuizione: i terminal per la movimentazione delle merci dovevano essere vicini
all’industria. Tornato in Italia, fondò un proprio terminal a Rho, nel cuore della Lombardia produttiva, collegandolo
con i porti europei. Chiamò Sogemar la nuova società, che guidò per molti anni, fino al 1986. Ma dopo il matrimonio (
con Cecilia Pirelli, figlia di Leopoldo: vedi più avanti — ndr) la svolta più importante nel rapporto tra le famiglie Tronchetti e Pirelli risale al 1984. La
Pirelli (produzione di gomme per auto — ndr) stava vivendo un periodo di debolezza, determinato dall’avversa congiuntura economica e dal fallimento degli accordi di espansione con l’inglese Dunlop. La Pirelli fu sostenuta (forse salvata) da una serie di
ingegnerie di controllo progettate da Mediobanca, ma l’assetto era tale da esporre il gruppo a tentativi di scalata. Così Marco Tronchetti Provera “in” Cecilia Pirelli decise, in proprio e attraverso la Cam, ricca dei proventi del
petrolio, di investire nella Pirelli con l’obiettivo di dare al gruppo un assetto familiare più solido ed entrò così negli equilibri del controllo del gruppo centenario. Nel 1987, poco dopo il suo
ingresso nella dirigenza Pirelli, avvenne la vera incoronazione: come baluardo
difensivo contro ogni attacco di potere venne costituita la Pirelli & C., società in accomandita per azioni. Un modello nel quale i soci accomandatari hanno
nelle proprie mani tutto il potere. Per esplicita richiesta di Leopoldo, Marco
venne elevato al rango di accomandatario. “Sarà più di un capo”, disse. Gli anni successivi Leopoldo, alla strenua ricerca — come richiedevano i tempi — di fare massa critica con un prodotto maturo come gli pneumatici, s’impantanò in sfortunate operazioni estere. Prima Dunlop, poi Firestone, poi Continental:
tre fallimenti. L’ultima scalata, condotta forse con troppo tatto (i giornali tedeschi definirono
Leopoldo un “italiano serio”), mise in ginocchio l’azienda, che solo alcuni anni dopo riuscirà a liberarsi dei pacchetti acquistati grazie al favorevole cambio del marco. Ed È in questo momento drammatico (1992) che “Marco Tronchetti proverà” (
allusione all’errore di una conduttrice di tg che, trovandosi di fronte per la prima volta
quel cognome, ne sbagliò l’accento — ndr) a risanare e rilanciare l’azienda. Egli assunse il potere e, con il suo carattere deciso e impegnativo,
diede alcune svolte importanti. Puntò sull’immobiliare, trasformando le aree della Bicocca da fabbriche fumose e puzzolenti
in un ridente quartiere residenziale, con teatro e con Università. Nulla fu perduto, e le macerie delle demolizioni diventarono la collina dei
ciliegi. Poi nel 2000 l’affare della vita: in piena new economy, i sistemi ottici Pirelli furono venduti
alle americane Cisco e Corning per una cifra colossale: 4,7 miliardi di dollari
(
l’operazione aveva fruttato a Tronchetti e agli altri del vertice Pirelli una
stock option molto consistente, e a suo tempo assai criticata, di 1200 miliardi
di lire. Vedi anche BUORA Carlo — ndr). Da qui comincia la storia recente con la scalata a Telecom del 2001» (Paolo Stefanato) • «Quando comprò la Telecom, il Financial Times lo incoronò come il nuovo Agnelli. La cosa non mancò di provocare qualche mal di pancia a Torino, dove l’Avvocato non aveva alcuna intenzione di abdicare, e i pochi pretendenti venivano
trattati con sabauda sufficienza. Ma col suo entourage ammise che quel
cinquantenne alto, di bell’aspetto, col capello brizzolato, capace di parlare e muoversi con garbo, poteva
insidiargli il primato. “È un bravo manager” disse arrotando la erre, e paragonando il suo arrivo in Pirelli a quando si
aprono le finestre di una stanza rimasta chiusa per troppo tempo» (Paolo Madron)
• Colaninno e i suoi soci pretesero per il controllo della Telecom (cioÈ il 18 per cento che stava in Olimpia) una valutazione di 4 euro per azione e un
prezzo conseguente di 80 miliardi. Tronchetti inoltre si sarebbe fatto carico
di tutti i debiti: in quel momento, 48 miliardi. Si tenga conto che Colaninno e
soci avevano speso per la scalata 50 miliardi, rilevandola dalla vecchia
compagine (guidata dagli Agnelli) che ne aveva impegnati 25 • Tronchetti, per diminuire l’esposizione, ha passato il periodo 2001-2005 a vendere pezzi di azienda ritenuti
non strategici ed era riuscito a far scendere l’indebitamento fino a 26 miliardi. Ma nel 2004 decise di fondere Tim in Telecom,
per avvicinare l’imponente flusso di cassa determinato dai cellulari alla casa-madre che doveva
fronteggiare il debito. Per questo si dovette procedere a un’Opa sulla Tim e aggravare l’esposizione del sistema di altri 15 miliardi. Nel frattempo, Tronchetti si era
finanziato piazzando sul mercato bond per undici miliardi. A ottobre 2006 uno
di questi bond veniva a scadenza e inoltre si sarebbe dovuto ricomprare da
Banca Intesa e Unicredit una quota del 4,75% che le due banche avevano preso
insieme a Tronchetti al momento dell’acquisizione del 2001, impegnando però Pirelli a riacquistarle sempre al prezzo di 4 euro (nel 2006 Telecom quotava
2,6). Con queste urgenze di cassa e con un debito di 41 miliardi (ma secondo
alcuni più alto) Tronchetti pensò di separare quello che aveva appena unito — cioÈ Tim e Telecom — e di venderlo probabilmente a un investitore estero. Creando poi una società indipendente per la gestione della rete, Telecom sarebbe stata trasformata in
una media-company, cioÈ una televisione via Internet da vedere sugli schermi dei computer. Per questo
Tronchetti iniziò a studiare con Murdoch una fusione tra Sky Italia e Telecom (nella società risultante i due avrebbero avuto ciascuno il 25 per cento, ma avrebbero dovuto
lanciare un’Opa sul capitale restante, dato che avrebbero controllato più del 30 per cento: vedi DRAGHI Mario), oppure almeno una cessione di contenuti
dalla library di Murdoch a Telecom Media
• Il presidente del Consiglio Romano Prodi, informato dallo stesso Tronchetti
dell’operazione, incaricò però il suo consulente Angelo Rovati di preparare un piano per rilevare il 30 per
cento della rete telefonica e conferirlo alla Cassa Depositi e Prestiti (vedi
TREMONTI Giulio), trasformandola così definitivamente in una piccola Iri. Prodi sostiene la tesi, assai poco
credibile, che Rovati fece di tutto di testa sua e a sua insaputa. In ogni
caso, Prodi informò Tronchetti che non avrebbe ammesso la cessione di Tim a uno straniero (il
governo non possiede più azioni Telecom, ma ha una golden share con la quale può bloccare operazioni giudicate in contrasto con l’interesse nazionale). Tronchetti Provera, affermando che il governo voleva «scippargli la rete» (secondo l’espressione usata al momento dai giornali), diede la dimissioni da presidente
Telecom e il consiglio d’amministrazione dell’azienda nominò al suo posto Guido Rossi, che lasciò pertanto l’incarico di commissario della Federcalcio
• «Simbolo carismatico degli “Europe’s tough new manager”, nuovi manager tosti d’Europa, considerato dal Washington Post l’italiano più elegante del mondo, È un uomo di gestione, molto sgobbone, parco di glamour, vero animale da
scrivania che forse sa a memoria i fatturati di tutte le filiali all’estero del gruppo […] Velista provetto, sciatore prudente, appassionato di calcio, sponsor dell’Inter e suo azionista» (Pietrangelo Buttafuoco)
• «Potere forte non lo È per carattere, ma per definizione: chi possiede la Pirelli, la Telecom, ha le
mani in Capitalia, Mediobanca e Corriere della Sera non può essere una mammola. Ma del potere, così come lo vediamo incarnarsi nei tratti di molti dei suoi interpreti, non ha la
frenesia perversa, la furbizia luciferina, i lampi di malizia e gli alterni
sbocchi d’umore. Lui È un uomo tranquillo […] dice di avere un carattere che fa innervosire persino la moglie Afef: non
conflittuale, rispettoso delle opinioni altrui, ecumenico e costruttivo. Per
questo si definisce un uomo di minoranza in un paese che non conosce sfumature,
ma solo colori pieni. Se non avesse ripudiato il concetto, il suo amico Paolo
Mieli lo iscriverebbe d’ufficio al club dei terzisti» (Madron)
• Nel 96 ha declinato l’invito a diventare presidente della Confindustria (carica andata poi a Giorgio
Fossa).