Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
DELL’UTRI
Marcello. Palermo 11 settembre 1941. Politico. Di Forza Italia. Laurea in Giurisprudenza, dirigente d’azienda, presidente di Publitalia, consigliere delegato di Mediaset. Eletto
deputato nel 96, senatore dal 2001. Nel 2004 è stato condannato in primo grado a nove anni di prigione per concorso esterno in
associazione mafiosa. «La mafia fa schifo e bisogna fare tutto quello che si può per combattere la mafia. La mafia fa schifo ma l’antimafia, invece di combattere la mafia, combatte me. L’antimafia a volte si comporta come la mafia» • «è amico di Berlusconi da 35 anni. Fu il suo primo assistente personale. Per lui
ha creato una macchina da soldi, Publitalia. Lo ha appoggiato contro tutti
nella decisione di fondare Forza Italia. Ha conosciuto la galera e la condanna» (Claudio Sabelli Fioretti)
• «Ha abbandonato un “posto sicuro” in banca e ha puntato tutto su Milano, tutto su Silvio Berlusconi. Lassù ha portato con sé amicizie, odori, misteri di una Sicilia che già allora l’aveva fatto prigioniero. L’anno è il 74. Inizia lì l’irresistibile scalata di un oscuro impiegato di un’agenzia creditizia di Belmonte Mezzagno, uno dalle segrete frequentazioni che
diventerà prima amministratore delegato di Publitalia e poi sarà tra i fondatori di Forza Italia. E lì inizia anche la mafia story di Marcello Dell’Utri scritta dai procuratori di Palermo. C’è una data precisa — il 5 marzo — che segna l’origine di quello che sarà il suo processo, il primo atto d’indagine che porterà alla condanna per l’intesa con Cosa Nostra: è la sua lettera di dimissioni dalla Cassa di Risparmio. Meno di un mese dopo — il 2 aprile — è già a Milano all’Edilnord, segretario particolare del suo amico Silvio conosciuto negli anni dell’Università. Meno di quattro mesi dopo — il 7 luglio — arriva ad Arcore anche Vittorio Mangano, l’uomo d’onore che veste come un lord inglese ma che tutti chiamano “lo stalliere”. Va a vivere pure lui a Villa San Martino, ufficialmente fa il guardaspalle a
Berlusconi che teme sequestri per i suoi figli, è in contatto con la Cupola, quando la sua presenza comincia a farsi imbarazzante
(investigazioni della Criminalpol) lo “stalliere” lascia Arcore e si trasferisce all’hotel Duca di York dove dirige un traffico di eroina. è il primo incrocio pericoloso, una connection tra Palermo e Milano e al centro c’è lui, l’allenatore della Bacigalupo, squadra di calcio della borgata dell’Arenella. Da una parte serve il fedele amico conosciuto alla Statale, dall’altra incontra nei ristoranti milanesi boss come Stefano Bontate. A volte, al
suo fianco, c’è pure Berlusconi. Ne parleranno 20 anni dopo i pentiti Antonino Calderone e
Francesco Di Carlo. Ma cosa ci fa Marcello Dell’Utri con quei “don”, cosa vogliono i “siciliani” dal segretario particolare di quel costruttore che sarebbe diventato famoso? “è l’ambasciatore di Cosa
Nostra nel più importante gruppo imprenditoriale del nostro Paese”, accusano i magistrati di Palermo quando aprono ufficialmente l’inchiesta sulle sue collusioni mafiose. è la fine dell’inverno del 93» (Attilio Bolzoni) • «Anni fa trascorse tre settimane in carcere ad Ivrea. Da uomo colto e sensibile
illustrò l’accaduto alla stampa: “è stata una straordinaria esperienza di libertà. Mi sono sentito libero da impegni, segretarie e appuntamenti. Nel carcere, che
ha ereditato la biblioteca Olivetti, ho letto di tutto in santa pace”. Perciò — quando il 13 aprile del 99 la Camera fu riunita per approvare o negare una
seconda richiesta di arresto — i colleghi di Forza Italia, in primis Berlusconi (che sfogò il suo nervosismo battendo la penna a scatto sulla cartellina azzurra),
temettero il disastro. Vuoi vedere che intende aprir bocca? Infatti. “Posso avere l’ultimo bicchiere d’acqua”, chiese Dell’Utri all’allora presidente Violante. “L’ultimo di questa giornata vorrà dire...”. Quando Marcello ebbe chiuso il suo intervento e messa la lingua in garage, un
compagno di partito si portò un fazzoletto bianco alla fronte e sibilò: “Altri sette minuti così e la galera non gliela toglieva nessuno”. Ma la verità non finisce mai dietro la prima curva della vita. A Dell’Utri, che ha trascinato nelle casse Fininvest migliaia di miliardi,
guadagnandosi a buon titolo il posto d’onore nell’al di là di Arcore — gli è stato infatti assegnato un megaloculo nel Mausoleo brianzolo — Silvio Berlusconi deve molto di più di quanto dica in pubblico. E tra quel tanto, deve a lui se oggi c’è Forza Italia. Se esiste è perché l’ha voluta la mente di velluto e il doppiopetto grigio del dottore palermitano;
se è riuscita a metterla in pista in meno di quaranta giorni (e portarla a vincere
le elezioni!) è perché Dell’Utri ha messo a disposizione i migliori venditori di Publitalia. Al presidente
il signor Dell’Utri ha consegnato una squadra affiatata e aggressiva, giovane e rapace come un’aquila. Ai venditori commerciali ha affidato “il kit del presidente”, all’epoca perfino trendy: spille, coccarde, più un agile pamphlet. E poi molte foto e molti sogni. La forza, il ruolo che quest’uomo ha occupato nei giorni tribolati della discesa in campo non sono
lontanamente paragonabili ai meriti che altri consiglieri vantano oggi. Eppure
nel saliscendi di questi anni, il suo nome non è mai figurato tra gli undici titolari. Indispensabile, certo, ma in panchina.
Mente straordinaria ma porte sbarrate al governo. Organizzatore
irraggiungibile, ma niente partito» (Antonello Caporale)
• «Nel 93 Berlusconi mi convocò ad Arcore e mi chiese: “Come si fa un partito?”.“Che vuoi che ne sappia”, gli risposi io. Era preoccupato dall’avanzata di Occhetto. Aveva parlato con Martinazzoli e con Mariotto Segni, ma
quelli non avevano capito nulla. Del resto, uno che si chiama Mariotto cosa
vuoi che capisca. Nel 96 mi sono subito candidato, altrimenti mi arrestavano e
andavo in galera. Se non mi avessero tartassato mi sarei occupato del partito,
invece devo occuparmi dei processi»
• «Avevo un’idea del partito da organizzare “more militari”, esattamente come non lo voleva Berlusconi ma come si era fatto invece per il
Pci e la vecchia Dc. Sono ancora convinto che sia questa la strada. Ero pronto,
solo che mi hanno azzoppato. Al principio non pensavo che sarei stato aggredito
perché mi accingevo ad organizzare il partito. Poi sono arrivate le bombe giudiziarie,
mi sono difeso. In Sicilia c’è un proverbio: se a ogni cane che abbaia gli tiri una pietra hai finito di
campare. Io lascio abbaiare, non tiro pietre»
• Grande appassionato di calcio: «Il mio vero sogno era fare l’allenatore. Ho preso il tesserino a Coverciano. Sono stato forse il più giovane allenatore dilettante d’Italia. Ho allenato anche l’Edilnord di Berlusconi. Ci giocava il fratello Paolo, centravanti». Sulla Bacigalupo: «Ci giocava anche Pietro Grasso, l’attuale capo dell’antimafia. Era bravo, giocava tecnicamente bene. Non gli piaceva sporcarsi di
fango. Era sempre pulito e pettinato. C’erano anche i quattro figli del ministro Restivo, il barone Planeta, i principi
Lanza di Trabìa, tra i quali Giuseppe, l’attuale fidanzato di Alba Parietti. Li allenava Zeman. Fui io a fargli scoprire
il calcio. Lui era un ottimo giocatore di pallavolo. Suo zio, Vicpalek,
giocatore del Palermo, mi aveva chiesto di fargli guadagnare qualche lira e così lo avevo assunto come preparatore atletico dei ragazzi. Avevamo un bel vivaio e
12 squadre giovanili. Ci finanziava Vittorio Caronia, un grosso imprenditore di
articoli sanitari».