Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
DESSÌ
Gianni Roma 1955. Artista • «Amo catturare la scintilla dell’attimo» • Considerato un esponente della Nuova Scuola Romana, insieme a Pizzi Cannella,
Ceccobelli, Bianchi, Gallo, Tirelli e Nunzio, per avere lavorato negli anni
Ottanta in studi realizzati sotto lo stesso tetto di un ex pastificio a San
Lorenzo, Roma • «Sono nato a Roma da genitore sardo e mamma reatina, mio padre faceva l’intermediario edile, dell’arte avevo sentito parlare alla lontana ma ricordo che c’era in casa un libro, un’enciclopedia, Le meraviglie dell’arte, e c’era un paesaggio che mio padre aveva comprato, non so dove; mi sono esercitato a
copiarlo per anni. Infatti la maestra di disegno diceva: ragazzo volonteroso ma
con scarsa fantasia» • Poi al liceo artistico fu allievo di Nicola Carrino che gli insegnò i modelli della psicologia della Gestalt, si interessò al teatro d’avanguardia, all’Accademia fu affascinato da Toti Scialoja, che gli fece scoprire la nuova arte,
a cominciare dall’ Espressionismo astratto americano • «Tra il 1974 e il 1976 entrai in contatto col gruppo teatrale di Giorgio Barberio
Corsetti, La Gaia Scienza, e il teatro Beat 72 diventò lo spazio delle nostre sperimentazioni. Nel 1977 ci fu una manifestazione che
si chiamava Le città, organizzata da Giuseppe Bartolucci e Simone Carella: ogni giorno si compivano
eventi, azioni, io ne ho organizzato uno dentro il sottopassaggio della
stazione San Pietro, una galleria lunga circa 100 metri. Avevo fatto inviti ad
personam, ciascuno doveva entrare di notte nel tunnel, illuminato da sette
planches di luce, alcune intermittenti, poste a 30-40 cm dal volto, colorate da
un retino blu, e sopra c’erano incise delle frasi; chi passava nel tunnel doveva leggere le frasi ed era
illuminato dai colori»
• «Poi viene la mostra Artemisia, prima a Parigi da Yvon Lambert e poi a Roma da Ferranti, omaggio ad Artemisia
Gentileschi. Racconta Dessì: “Prendo una tela, la preparo a gesso, come un muro, al centro metto una carta
giapponese dipinta, incastrata tagliando la tela, fermata con cera che aveva
reso translucida la carta. Pensavo alla violenza subita da Artemisia nella sua
esistenza, ma anche a Diana, vista nel bagno da Atteone, pensavo al mistero
della visione”. L’idea è quella del rischio del vedere: dall’occhio tagliato di Bu uel allo sguardo senza tempo di Dali, all’occhio privo di pupilla di Modigliani, l’occhio dello Spirituale. Dessì ha avuto un incidente da bambino, non vede da un occhio: “ho sempre pensato - dice - che quello era l’ occhio della pittura, sguardo interiore”» (Carlo Arturo Quintavalle)
• «Poi ho realizzato una ricerca diversa, che ho chiamata Camera Picta (1989-1991 e ancora 1993), in cui volevo collegarmi alla pittura come luogo
mentale, come spazio, come ambiente». Tra il 96 e il 97 nascono le plastiche. «Mi piace che questa materia, anche tossica, tiri fuori una pelle, tanto da far
pensare alla cartapecora». «Le plastiche inglobano legni e altri frammenti, nessuna cornice, a toccarle sono
rigide e translucide, sovrapposizioni di elementi. In una, dense colature di
rosso, come in un fondale di scena dipinto da un espressionista astratto
americano memore di Antoni Tàpies e di Alberto Burri» (Quintavalle)
• è l’autore delle sculture in vetroresina dell’”artista” Riccardo Scamarcio viste nel film Colpo d’occhio di Sergio Rubini (2008). Dopo lunghi soggiorni a New York tra il 1985 e il 1989
vive e lavora a Roma e nella campagna vicino a Perugia. [Lauretta Colonnelli]