Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
CASTELLI
Roberto Lecco 12 luglio 1946. Politico. Ex ministro della Giustizia (Berlusconi II,
Berlusconi III). Senatore della Lega Nord (nel 92 e 94 eletto deputato). È ingegnere • «Un fondista che ha fatto fuori, uno dopo l’altro, tutti gli astri della Lega, i Marco Formentini, i Franco Rocchetta, le
Irene Pivetti. Dei leghisti della prima ora sono rimasti Bobo Maroni e lui: il
compagno di oratorio di Roberto Formigoni. L’ingegnere laureato al Politecnico di Milano negli anni caldi della
contestazione, che nel curriculum si vanta di essere “uno dei pionieri italiani nel campo dell’acustica, di cui È esponente autorevole e riconosciuto”. “Il silenziatore d’oro”, come lo chiama la forzista Gabriella Carlucci, inventore di un aggeggio
antirumore per motociclette. L’appassionato di alpinismo che fonda un’associazione di escursionisti padani e trascina due colleghi deputati in vetta
al Monte Bianco. Adesso l’agiografia leghista lo ha trasformato in un Mao valligiano: “Condottiero della prima marcia padana, da Brivio a Pontida, nel 1989, alla guida
di 300 leghisti”, lo definiscono i suoi compagni del Carroccio. Eppure, quando nel 92 arriva a
Montecitorio, Castelli È un signor Nessuno. Colpisce per l’aria belloccia e un po’ fatua. Lo chiamano “Richard Gere”, o in alternativa “l’Inglese”. Un signore tranquillo, che durante la legislatura dei cappi sventolati in aula
si fa notare solo una volta: quando, insieme con altri colleghi, tenta di
cacciare il giornalista dell’Unità Giorgio Frasca Polara dal ristorante della Camera. Perfino nella Lega lo
conoscono in pochi. A Pontida, nella cerimonia del giuramento, fino al 1994 non
lo fanno neppure salire sul palco. Bossi, quando lo nominano, cade dalle
nuvole: “Ma chi È Castelli? Cosa fa esattamente?” La svolta arriva quando Castelli, già sposato con un figlio di 27 anni, Gabriele, in prima fila al Giubileo dei
politici, decide di impalmare la sua giovane ex portaborse Sara Fumagalli,
assessore alle finanze del Comune di Lecco. Nozze celtico-padane. Verdi gli
abiti degli sposi. Verdi le ghirlande di fiori. Verde pure il sacerdote-druido
officiante: il Senatur in persona. Dopo questa prova di devozione Castelli
scalda il cuore di Bossi. Capogruppo al Senato dal 99. Rappresentante della
Lega nell’Officina di Giulio Tremonti che prepara il programma della Casa delle libertà. Fustigatore del malcostume di Roma ladrona. E comincia a occuparsi di giudici:
i bersagli sono il pm veronese Guido Papalia che indaga sulla Lega e “lo scandalo delle associazioni dei magistrati”. Quando nasce il nuovo governo, però, Castelli sembra destinato ai Trasporti. Di treni e autostrade si È già occupato, come ministro del governo padano. Sul suo sito Internet (titolo:
Un piede a Roma e uno nel territorio) sfoggia la sua attività nel collegio, un impegno degno del miglior Franco Nicolazzi, l’ex ministro bretella. Duecento miliardi di finanziamento per il raddoppio della
ferrovia Calolzio-Carnate. Un miliardo per lo studio di fattibilità sulla Lecco-Como. Altri 70 per la Bergamo-Seregno. Invece, per il gioco dei
veti incrociati, Castelli diventa ministro della Giustizia» (Marco Damilano) • «Di lui si può dire ciò che Kissinger ha detto del vicepresidente americano Dick Cheney: “È l’uomo più cattivo che abbia conosciuto”. Mai nella storia italiana c’È stato un ministro della Giustizia così fazioso, livoroso, lontano dall’idea di giustizia per non parlare da quella di clemenza. Un suo pensiero: “Quando sento dire che Adriano Sofri meriterebbe la grazia perché È un intellettuale, mi vengono i brividi”» (Giorgio Bocca ne
L’Italia l’È malada).