Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
RUBINI
Sergio Grumo Appula (Bari) 21 dicembre 1959. Regista. Attore. Tra i suoi film: Intervista (Fellini, 87), La stazione (90), Una pura formalità (Tornatore, 93), Nirvana (Salvatores, 96), Tutto l’amore che c’è (2000), La terra (2005) • «è stato il giovane attore-regista rivelazione del nuovo cinema italiano»: «Arrivato a Roma nel 78 da un piccolo paese della Puglia, si iscrive subito all’Accademia di arte drammatica. Il colpo di fortuna del giovane e smilzo ragazzino
pugliese arriva, dopo i passaggi inevitabili fra pensioncine alla stazione e
parenti ospitali, con un incontro. Sulla sua strada c’è, ad aspettarlo, Federico Fellini (e Fellini mi spiegò che quel ragazzino lo colpì moltissimo, si ritrovava in lui, non pensava affatto che il loro incontro fosse
casuale)» (Barbara Palombelli)
• «Avevo 21 anni, lui stava mettendo su il cast per E la nave va, mi presentai a Cinecittà con il solito album sottobraccio. Mi disse subito: “Complimenti, lei somiglia alle sue fotografie. Di solito, gli attori sono sempre
diversi dalle immagini ritoccate. Prima o poi, io e lei lavoreremo insieme”. Quattro anni dopo, mi chiamò. Diventammo amici. Andavamo a mangiare ai Castelli o ci vedevamo a casa sua in
via Margutta. Un’amicizia che condividevo con la mia ex moglie, Margherita Buy. Facevamo lunghi
giri in auto, come gli piaceva, Federico si sentiva rassicurato dalla guida di
Margherita»
• «Credo che tutti i film c’entrino con me. Quando scrivi una storia puoi partire da un elemento
autobiografico ma i personaggi ti prendono la mano. Quello che c’entra veramente con me è Tutto l’amore che c’è, il film che ho girato sul balcone di casa di mia madre. E quella è stata un’esperienza emotiva violentissima, lì ho capito quanto il cinema è la chance per fare i conti con se stessi, ripercorrere un pezzo di strada e
rianalizzarla, con una torcia che illumina passo per passo» • «Io sono arrivato a Roma diciottenne, sono entrato in una scuola di recitazione
dove ho dovuto disimparare il mio dialetto, il mondo dello spettacolo l’ho sposato come mettendo una giacca. Camilleri era mio insegnante all’accademia. Disse una volta che quando era andato via dal suo paese aveva deciso
che sarebbe tornato solo quando avesse dimenticato il numero delle colonne che
sostenevano la facciata del Comune. Io pensai allora che la stessa cosa fosse
indispensabile anche per me. I primi anni a Roma ho vissuto cercando il più possibile di dimenticare» (da un’intervista di Paolo D’Agostini)
• I segni grafici con cui sui giornali si giudicano i film, cioè «le palline e le stellette non le capisco proprio, bisognerebbe trovare un modo
per far capire al pubblico che, dietro quei segni, c’è un grande lavoro» (da un’intervista di Fulvia Caprara).