Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
IZZO Angelo Roma agosto 1955. Assassino. Uno dei tre fascisti che la notte del 30 settembre 75 violentarono e massacrarono in una villa sul Circeo Rosaria Lopez (17 anni, morì) e Donatella Colasanti (20, si salvò fingendosi morta)
IZZO Angelo Roma agosto 1955. Assassino. Uno dei tre fascisti che la notte del 30 settembre 75 violentarono e massacrarono in una villa sul Circeo Rosaria Lopez (17 anni, morì) e Donatella Colasanti (20, si salvò fingendosi morta). Protagonista di fughe, evasioni e ritorni in carcere, in semilibertà dal dicembre 2004, il 28 aprile 2005 a Ferrazzano (Campobasso) ha ucciso (stuprato, torturato) Maria Carmela e Valentina Maiorano (47 e 14 anni), compagna e figlia del boss della Sacra Corona unita Giovanni Maiorano, conosciuto in carcere • «Eppure, in tutto il tempo trascorso tra la fine di settembre del 75 e il luglio 2001, aveva confessato, ad un’inviata del Venerdì di Repubblica, di aver “smesso di amare la violenza grazie all’amore per gli altri”; che in carcere aveva avuto “il tempo di leggere, studiare, riflettere, guardarmi dentro”. Era cambiato, insomma. Anche fisicamente non era più il pariolino snello e ricciuto, ma un uomo di cinquant’anni, grasso e calvo. Però gli occhi erano sempre gli stessi: quelli di un pluriomicida, pluristupratore, plurirapinatore cresciuto, parole sue, “in una mentalità guerriera e fascista”, in una continua regressione che permettesse a lui, e a quelli del suo gruppo, di “ritrovare l’istinto sanguinario”. L’istinto di seviziare per 36 ore - con altri due camerati, Gianni Guido e Andrea Ghira - Maria Rosaria Lopez e Donatella Colasanti. Per poi, alla fine del “festino”, affogarne una nella vasca da bagno e cercare di finire l’altra a bastonate. I due corpi vennero messi in altrettanti sacchi di plastica e caricati sulla 127 di Guido che la parcheggiò sotto casa per andare a cena: avrebbero finito il lavoro a stomaco pieno. Furono i gemiti di Donatella Colasanti - fintasi morta - ad attirare un metronotte. Per lo scempio e il delitto atroce, Izzo e Ghira latitante furono condannati all’ergastolo, Gianni Guido a 30 anni» (Massimo Dell’Omo) • «Il ministro della Giustizia Roberto Castelli ha richiesto al procuratore generale della Corte di Cassazione di promuovere l’azione disciplinare nei confronti dei giudici del Tribunale di sorveglianza di Palermo che hanno concesso all’ergastolano Angelo Izzo il regime di semilibertà che gli ha consentito, trent’anni dopo la strage del Circeo, di ammanettare, picchiare, soffocare e rinchiudere vive in un sacco di plastica una madre e una figlia quattordicenne denudata, sotterrandole dopo averle ricoperte di calce. I giudici di Palermo hanno già replicato di essersi limitati ad applicare la legge e che il replicante assassino godeva di tutti i requisiti per ottenere la semilibertà, e che del resto aveva già goduto ripetutamente di permessi e di benefici vari (e ne aveva già approfittato e approfittandone era persino evaso ed era stato ripreso e aveva ricominciato a goderne, e ha ucciso questa seconda volta per procurarsi il denaro necessario ad evadere di nuovo, e nessuna Procura ha mai fatto ricorso in Cassazione in questi anni per chiedere la revoca dei provvedimenti buonisti): “Izzo si è sempre comportato bene, sembrava veramente pentito - hanno dichiarato i giudici di Palermo. Ad attestare la sua rieducazione ci sono decine di relazioni firmate da medici e assistenti sociali...”. Ed è assai probabile che la richiesta del ministro finisca nel nulla e che Izzo, dopo il nuovo processo e la nuova condanna all’ergastolo, possa presto tornare a godere di permessi e di benefici e sia rimesso, prima o poi, nuovamente in semilibertà per potere magari assassinare per la terza volta. I suoi avvocati hanno già chiesto che sia giudicato con il rito abbreviato, perché possa avere lo sconto di un terzo della pena, e la perizia psichiatrica, che fu richiesta anche nel 75, dopo i delitti del Circeo, e allora non fu concessa. Sorrideva il giovane Izzo appena arrestato per la strage del Circeo, sorrideva al suo arrivo in Italia dopo l’estradizione dalla Francia nel 93, sorrideva strafottente e ghignava giovedì scorso, quando è stato portato in aula, seduto nella gabbia degli imputati, imperturbabile dinanzi agli insulti e alle urla dei parenti delle vittime e della folla. “Al momento non è completamente lucido - ha detto uno dei suoi avvocati. Se avesse carta e penna, potrebbe essere di migliore aiuto, potrebbe aiutarlo a cristallizzare meglio i ricordi”. Questo è il vero segreto di Angelo Izzo, e non la follia: nel corso dei quasi trent’anni trascorsi in carcere Izzo ha fatto molto uso di carta e penna per fare “rivelazioni” a getto continuo su tutti i “misteri d’Italia” e sui processi che ne sono conseguiti, dalla strage di piazza Fontana a quella della stazione di Bologna, dal terrorismo ai delitti di mafia, Izzo sapeva tutto di tutti, cristallizzava i suoi ricordi e scriveva ai magistrati, che correvano ad ascoltarlo, verbalizzavano le sue verità, e ci costruivano sopra le indagini, i mandati di cattura, i rinvii a giudizio, le requisitorie e le sentenze. I pubblici ministeri erano affascinati dai “ricordi” di Izzo. Lo racconta ancora oggi Libero Mancuso, il pm di Bologna che ha gestito il processo per la strage alla stazione e ha certificato il “pentimento” di Izzo: “Izzo era un uomo sempre doppio, ma io gli credevo. Mi riferisco all’ansia che si avvertiva in lui quando rispondeva alle domande di noi magistrati. Si intuiva la volontà di soddisfare chi lo interrogava, al di là di quello che lui sapeva. Era come se prevedesse quello che l’inquirente voleva sentirsi dire e si adeguasse a questa previsione per fare contento il magistrato...”. Quando Libero Mancuso raccolse le dichiarazioni del “pentito” Giovanni Pellegriti, il quale accusò Salvo Lima, il capo della corrente di Giulio Andreotti in Sicilia, di essere il mandante dell’assassinio del presidente della Regione Piersanti Mattarella, e spedì subito i verbali a Palermo (e doveva essere l’inizio del processo per mafia a Andreotti), Giovanni Falcone si precipitò immediatamente a interrogare Pellegriti, e capì subito che mentiva e che le “rivelazioni” gli erano state suggerite da Angelo Izzo, messo appositamente in cella con lui, e invece di chiedere l’arresto di Lima e di avvisare di reato Andreotti, incriminò per calunnia sia Pellegriti che Izzo e li fece condannare entrambi a quattro anni di galera. E la Procura di Palermo per incriminare Andreotti dovette aspettare che arrivasse Tommaso Buscetta e che Luciano Violante lo interrogasse dinanzi alla commissione parlamentare antimafia. E perché ora Izzo era di nuovo a Palermo, rinchiuso nel padiglione dei “collaboratori di giustizia”, ed è toccato proprio ai giudici del tribunale di sorveglianza di Palermo concedergli la semilibertà? Per la ragione che Izzo aveva preso di nuovo carta e penna e aveva scritto ai pm di Palermo, per smentire Cosimo Cirfeta, il pentito della Sacra Corona unita pugliese, che aveva denunciato il complotto intessuto in carcere dai “pentiti” Francesco Di Carlo, Francesco Onorato e Giuseppe Guglielmini per accusare di mafia Marcello Dell’Utri: “Ho letto sui giornali - aveva scritto Izzo ai pm di Palermo - delle accuse di Cirfeta e posso testimoniare che non è vero niente. Stavo in carcere con lui e gli altri pentiti e ho visto e ho sentito che Di Carlo e Onorato e Guglielmini stavano insieme e insieme mangiavano e chiacchieravano, ma parlavano solo di sport e del le partite di calcio trasmesse dalla Tv”. E ancora una volta i pm gli hanno creduto e lo hanno portato a testimoniare contro Cirfeta e contro Dell’Utri. Grazie a Falcone, non era servito contro Andreotti, ora è servito contro Dell’Utri. E mentre Cirfeta, riarrestato e privato del contratto di collaborazione e processato per calunnia e perseguitato di carcere in carcere, alla fine è stato trovato morto nella sua cella, “suicidato” con la bomboletta del gas del suo fornellino per il caffè, Izzo è stato premiato con la concessione della semilibertà. Ha ragione il suo avvocato: invece dell’ergastolo, ridiamogli carta e penna e ci aiuterà a svelare il prossimo mistero d’Italia» (Lino Jannuzzi, 4 maggio 2006) • «Sul delitto della villetta di Ferrazzano vi dico questo. Che avevo una storia con Maria Carmela, la mamma e che “disponevo” di Valentina, la figlia. C’era una relazione complessa, sentimenti, sesso e soldi. Tutto col beneplacito di Giovanni Maiorano, marito di Maria Carmela, papà di Valentina. Giovanni me le affidò, siamo stati assieme in carcere a Palermo in tutto il 2004 e uno degli ultimi giorni lui mi ha detto: io da qui non esco più, tu stai per tornare a Campobasso, in semilibertà, là vicino abitano le mie due donne. Abbine cura, mi disse, e aggiunse: puoi disporre di mia moglie come vuoi. E aggiunse: gestite assieme i soldi che ho messo da parte, sommateli ai soldi che hai tu.. Vi dico ancora che per un po’ sono stato contento, mi sentivo l’uomo di casa, facevamo la spesa, pranzavamo e facevamo progetti di vita futura, aprire un ristorante, un supermercato. Avevo rapporti sessuali con la madre e un affetto morboso verso Valentina. Ma col passare dei mesi lei, Maria Carmela, diventava sempre più opprimente. Prima mi sono sentito fortificato da questo nuovo ruolo di capofamiglia, poi ho cominciato a innervosirmi, a irritarmi, ho cominciato a pensare: me ne devo liberare, non so come. Sentivo qualcosa di mostruoso che tornava verso la luce. Quel giorno le ho portate alla villetta per fare un picnic e le ho uccise, prima Maria Carmela e poi Valentina. Credevo che quella parte della mia personalità fosse morta per sempre e invece ho anche pensato, a un certo punto, di mettere i corpi nel bagagliaio dell’auto, come la notte del Circeo» (la confessione dopo i delitti di Ferrazzano) • «Per cinque anni sono stato a scuola insieme ad Angelo Izzo, al liceo classico San Leone Magno, a Roma, una scuola dei Fratelli Maristi. Dalle otto alle otto e venti si recitava il rosario, tutti i giorni. Izzo stava una classe sopra la mia e la sua sezione era un’accolita di fascisti e di pazzi spaventosi. Era come se, per uno scherzo assurdo, il caso avesse riunito nella stessa aula una ventina di canaglie violente e invasate. Erano ricchi, bellocci, si sentivano invulnerabili, afferrati da un delirio superomistico. Avevano i Rayban e i giubbotti di camoscio, le Jaguar e le Mercedes, stivaletti a punta e sorrisi beffardi. Il più feroce era Gianni Guido, un demonio con la faccia da angioletto. Ricordo che una volta vidi uno di loro spegnere una sigaretta sul braccio di un quattordicenne e ridere. Dopo sei mesi quel disgraziato si suicidò. Dissero che si era sparato nel petto con il fucile del padre e la cosa finì lì. Anni dopo Izzo confessò che l’avevano ucciso loro, gli amici del cuore. Ancora non so se sia vero, se le indagini della polizia hanno confermato quell’orrore. Per il piacere di sentirsi un maledetto, Izzo ha confessato tanti delitti che rimangono misteriosi. Il loro gioco preferito erano gli sfasci, così chiamavano gli stupri fatti in gruppo. Incantavano qualche ragazza ingenua, ma anche qualche pariolina, e la sfasciavano. Avevano pistole e soldi, erano sadici e strafottenti. Ogni tanto prendevano il microfono durante le messe, nello spazio aperto ai fedeli, e si lanciavano in lunghi sermoni misticheggianti. Izzo era una mezza sega, il più magrolino, il meno ricco, il più insicuro. Si diceva che fosse la mente di quella banda di criminali, l’eminenza grigia del gruppo, ma a me pareva solo un ragazzo debole e malaticcio. Girava voce che fosse impotente» (lo scrittore Marco Lodoli) • «“Mi piace la definizione del generale Silla: nessun amico migliora, nessun nemico peggiora”. Come vorrebbe morire? “Fucilato. Mi commuovo leggendo del Saladino che sul punto di spirare si strappò la veste e disse che non c’era un centimetro della sua pelle privo di cicatrici eppure gli toccava morire nel suo letto come un codardo. Non fa per me, meglio fucilato. Non mi dispiacerebbe morire con il sole in faccia, la parete bianca dietro le spalle e io che come Jules Bonnot - anarchico dei primi del Novecento - dico al plotone di esecuzione: ‘branco di porci’”» (Caterina Pasolini).