Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
CUTOLO
Raffaele Ottaviano del Vesuvio (Napoli) 10 dicembre 1941. Camorrista. Il primo arresto
risale al 27 febbraio 63. Fu coinvolto in un litigio per una donna a Ottaviano
del Vesuvio, suo paese natale. Fu proprio l’esperienza del carcere a inserirlo negli ambienti della criminalità organizzata. Nel giro di pochi anni arriva a guidare la Nuova camorra
organizzata e a ingaggiare una sanguinosa guerra con il cartello dei clan
riuniti sotto la guida di Michele Zaza. Cutolo evade più volte dal carcere. La sua fuga più clamorosa resta quella dal manicomio criminale di Aversa, il 5 febbraio del 78.
Riacciuffato, ordina omicidi e alleanze dalla cella. Fino all’84 quando, trasferito all’Asinara, viene tagliato fuori dai contatti esterni
• «Boss pluriomicida e pluriergastolano (otto), il fondatore e leader messianico
della Nuova camorra organizzata. Considerato l’uomo più potente e carismatico nella storia della criminalità campana, un tempo a capo di un esercito di settemila uomini» (Paolo Berizzi) • «L’uomo che è stato il capo del più potente e sanguinario esercito di camorra che mai abbia combattuto sulla scena
del crimine, il boss che costrinse tutti gli altri clan a unirsi in una forzata
alleanza pur di fargli resistenza, il padrino che anche da dentro al carcere
dettava ordini, omicidi, sequestri e anche grandi mediazioni. Gli hanno ucciso
il figlio Roberto, che si era trasferito in Lombardia, e prima ancora il
suocero. I rivali della Nuova Famiglia hanno massacrato tutti i suoi
fedelissimi, chi è sfuggito alla morte è finito in manette e molti che pendevano dalle sue labbra hanno poi deciso di
pentirsi. Lui, da molti anni, è sottoposto al regime di 41 bis. Non ha mai collaborato. Dal carcere di Ascoli
Piceno, dove conobbe la Iacone, sorella di uno dei suoi affiliati, gestì la trattativa per la liberazione dell’assessore democristiano Ciro Cirillo, rapito dalle Brigate rosse. Quella
vicenda, secondo Cutolo, segnò il punto più alto del suo potere: forse credette di avere in mano una carta importante, che
a quel punto gli consentiva di dettare condizioni a uomini dello Stato. Invece,
dopo averlo accontentato durante la trattativa, per lui iniziò l’esperienza del carcere duro. L’Asinara e altre fortezze lo tagliarono assolutamente fuori dal giro di rapporti
che aveva con i suoi affiliati. Nemmeno la sorella Rosetta, che per suo conto
ha agito per anni prima di finire anche lei in carcere, poteva più essere il braccio operativo all’esterno. Raffaele Cutolo era finito, come capocamorra. Restava un uomo che non
ha mai voluto collaborare con la magistratur» (Fulvio Bufi)
• «In pratica vivo dietro le sbarre dal 27 febbraio 63. Nell’82 Pertini mi spedì nel carcere dell’Asinara, dove trascorsi i giorni più duri della mia vita. Da allora sono totalmente isolato e segregato. Mi hanno
applicato il 41 bis appena introdotto. Ma il carcere duro io lo facevo già da dieci anni. Non voglio farmi compatire, né altro. Quasi tutta la mia vita l’ho passata in galera. Pago e continuerò a pagare gli errori che ho fatto, il mio passato scellerato. Però senza mai perdere la dignità. So che mi faranno morire in carcere. E a una fine così, preferisco la pena di morte. Mi sono pentito davanti a Dio, ma non davanti
agli uomini. è morale fare arrestare cinquecento persone innocenti o colpevoli per andare a
letto con la moglie o l’amante, pagati e protetti dallo Stato? Per me riabilitarsi significa essere
coerente con me stesso, pagare gli errori con dignità. La dignità è più forte della libertà, non si baratta con nessun privilegio. è da anni che i magistrati provano a convincermi. Nel 94 il procuratore Francesco
Greco, per il quale ho molto rispetto, mi disse: starai in una villa con tua
moglie. Avremmo potuto avere un figlio. Rifiutai. E sono orgoglioso di aver
sempre resistito alla tentazione. Penso che la legge sui pentiti sia un’offesa alla gente onesta e alle famiglie delle vittime. Prima di sposare mia
moglie la avvertii: pensaci bene, perché con me è come se fossi vedova a vita. Ci siamo dati un solo bacio in 23 anni e lei è ancora lì che mi aspetta. Vive nella speranza che un giorno uscirò da qui. Ogni mattina quando mi sveglio faccio il segno della croce e accompagno
il funerale del mio cadavere. Passo il tempo pregando, leggendo, scrivendo.
Soprattutto poesie, la mia passione. Ho dei problemi agli occhi e alle mani. Il
carcere toglie la dignità e a lungo uccide anche l’intelligenza. Le misure previste dal 41 bis prevedono ispezioni corporali per i
colloqui. Ti passa la voglia di ricevere anche tua moglie o gli avvocati.
Quando mi sono sposato l’ho giurato sull’altare di Dio: basta con la mia vita passata. Io non rinnego niente di quello
che ho fatto. Sono coerente con me stesso. Ho fatto del male, ho seminato odio,
violenza, morte. E quindi devo sopportare tutto. Ma da molti anni ho chiuso con
la camorra. Nel mio animo non ci sono sentimenti di vendetta e di odio».