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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

MORATTI

Massimo Boscochiesanuova (Verona) 16 maggio 1945. Petroliere. Padrone dell’Inter. «L’uomo capace di ingaggiare ventuno terzini sinistri prima di arrivare a Gresko» (Maurizio Crosetti).



VITA «Papà aveva conosciuto la miseria, a 14 anni non aveva una lira in tasca. Aveva perso
la mamma che era molto piccolo ed era fuggito da un rapporto difficile con la
matrigna. Quando era bambino faceva lunghe traversate sulla neve per andare a
trovare suo nonno Angelo nella campagna bergamasca. Il mio bisnonno — che aveva 21 figli e un numero imprecisato di nipoti — si metteva a capotavola mentre tutti i ragazzini dovevano aspettare accanto al
fuoco, seduti nelle panche davanti al camino. Prima mangiava lui, da solo, poi
mangiavano tutti gli altri. Non è un imprinting da poco» (Stefania Rossini)
• Questo bisnonno, Angelo, fece suore le sette figlie femmine e mandò all’università i 14 maschi. Uno di questi, Albino, faceva il farmacista in piazza Fontana, a
Milano. Da lui nacque Angelo, mitico padrone dell’Inter di Herrera, vincitore, tra l’altro, di due coppe dei Campioni e di due coppe Intercontinentali consecutive.
Questo Angelo generò gli attuali Massimo, Gianmarco, Alessandro, Adriana e Bedy. Massimo ha poi
avuto tre maschi e due femmine, come lui
• Madre Erminia, ex operaia in una fabbrica di bretelle ed ex telefonista alla
Stipel. Trovandosi negli anni Cinquanta con la famiglia in vacanza a Levico,
decise di adottare un bambino di quattro anni (Alessandro) prelevandolo dall’orfanatrofio lì vicino. Alla fine di una conversazione con Montale che l’aveva entusiasmata, per ringraziarlo gli diede dei soldi • Le attività di Moratti diverse dal calcio: il 18 maggio 2006 ha portato in Borsa la Saras,
la società petrolifera di famiglia (32,6 per centro delle azioni cedute al mercato),
promettendo investimenti per 500 milioni nei prossimi tre anni. La Saras è l’azionista di maggioranza dell’Inter: un mese dopo la quotazione (16 giugno) ha rilevato da Tronchetti Provera
un altro 15,6 per cento della società calcistica sborsando 13,5 milioni di euro, il che significa che l’Inter nel 2006 era valutata 86 milioni e mezzo. La Pirelli aveva comprato un
13,9 per cento dell’Inter nel 96, pagandolo 15 miliardi di lire. La raffineria da cui hanno origine
le fortune dei Moratti si trova a Sarroch, a sud di Cagliari
• Giancarlo Perna ha scritto che il vero padrone della Saras è Gianmarco, «più duro e cinico del fratello». La famiglia era contrarissima all’acquisto dell’Inter, che li avrebbe troppo esposti. Ma, vinte le elezioni nel 94, Berlusconi
mise Letizia Moratti, moglie di Gianmarco, alla presidenza della Rai e lo
stesso Gianmarco fu brevemente candidato alla presidenza della Confindustria.
Non era più questione di riflettori • Il vecchio Angelo portava Massimo allo stadio tutte le domeniche e Massimo, la
cui prima partita era stata il famoso Inter-Milan 6 a 5 del 6 novembre 1949 (un
trauma), era talmente distratto dal calcio che i professori mandarono una nota
a casa, avvertendo che il ragazzo (in quel momento di 14 anni) era troppo perso
dietro Angelillo e gli altri campioni dell’epoca. Il padre non ci fece minimamente caso. Rimosso il problema della
visibilità, Moratti comprò l’Inter da Pellegrini battendo la concorrenza di Tavecchio, Dall’Oglio e Fossati. Prezzo: 50 miliardi di lire più la cessione di alcuni immobili, cioè una settantina di miliardi effettivi di valore. L’Inter aveva un passivo di 30 miliardi (14 solo per l’acquisto di Pancev), 63 dipendenti, un monte stipendi di 40 miliardi. Moratti
valutò che ci sarebbero voluti cento miliardi di investimenti. Era il 18 febbraio
1995. A casa non disse niente. La moglie, Milly: «Mi aveva promesso che non lo avrebbe fatto. Lo aspettavo per cena, me lo
ritrovai in televisione che annunciava l’acquisto»
• A partire dal 95 la biografia dell’uomo coincide con quella della squadra. E, per quanto riguarda Moratti in sé, ha le seguenti linee-guida: la facilità di prendere e licenziare gli allenatori; la prodigalità nell’acquisto dei calciatori; la debolezza di carattere; lo stile sentimentale della
conduzione; la signorilità del tratto; la distanza dal calcio in quanto mondo di affaristi, mediatori,
speculatori, furbi di ogni genere. E relativamente all’Inter: la pochezza dei risultati a fronte della grandezza degli investimenti; lo
spogliatoio tremendo; l’altalena continua nelle performance, da una partita all’altra sublimi (raro) o inguardabili (meno raro); la sindrome di Sisifo, ossia l’esser stati tante volte in prossimità di un qualche traguardo e l’esserselo visto sfuggire all’ultimo momento
• Dal 18 febbraio 1995 al 30 agosto 2006, l’Inter ha avuto i seguenti allenatori: Ottavio Bianchi (trovato all’atto dell’acquisto della società, era all’Inter dal 24 marzo 1994 e venne congedato il 25 settembre 1995); Luisito Suarez
(26 settembre-15 ottobre 1995); Roy Hodgson (16 ottobre 1995-22 maggio 1997);
Luciano Castellini (23 maggio-1 luglio 1997); Gigi Simoni (2 luglio 1997-30
novembre 1998); Mircea Lucescu (1 dicembre 1998-21 marzo 1999); Luciano
Castellini (22 marzo-27 aprile 1999); Roy Hodgson (28 aprile-30 maggio 1999);
Marcello Lippi (1 giugno 1999-1 ottobre 2000); Marco Tardelli (2 ottobre
2000-21 giugno 2001); Hector Raul Cuper (22 giugno 2001-19 ottobre 2003);
Corrado Verdelli (20-21 ottobre 2003); Alberto Zaccheroni (22 ottobre 2003-15
giugno 2004); Roberto Mancini (in carica dal 16 giugno 2004). Di questi:
Hodgson era il ct della Svizzera e Moratti consentì che tenesse le due panchine contemporaneamente; ma non era tesserato, perché l’Inter l’aveva preso a ottobre e i tesseramenti in Italia si fanno dal 1 giugno al 31
luglio e perciò — mentre tutti gli allenatori d’Italia facevano le barricate — si dovette mandare in panchina, come controfigura, il tesserato Ardemagni. L’annuncio che era stato ingaggiato Simoni venne dato che Simoni era ancora al
Napoli e i dirigenti napoletani se la presero molto e lo esonerarono
immediatamente; diciassette mesi dopo Moratti lo mandò via facendolo chiamare al telefono mentre in macchina tornava a Milano da
Coverciano, dove gli avevano appena dato la Panchina d’oro come miglior allenatore della stagione 97-98 (in cui aveva allenato l’Inter: la Panchina d’oro la assegnano gli allenatori con voto segreto): una voce gli disse
semplicemente: «Non abbiamo più bisogno di lei»; nessuno capì il licenziamento: l’Inter era ancora pienamente in corsa per lo scudetto, per la Champions e per la
coppa Italia; non stava giocando male; aveva vinto la coppa Uefa; la squadra
era affezionatissima a Simoni, al punto che l’Inter non ha mai più avuto uno spogliatoio tanto tranquillo (si dice anzi che la vera ragione del
benservito sia stato l’affetto dei giocatori per il suo allenatore: Moratti era geloso); infine l’uomo chiamato a prendere il suo posto era Lucescu, un mister dalle credenziali
assai modeste. Cuper, fino al 30 agosto 2006 quello che ha resistitito di più, rimase in bilico tutta l’estate 2003 e si vedeva che Moratti lo voleva mandar via e non trovava il
coraggio, perché poi, obiettivamente, non aveva fatto così male; sicché alla vigilia del campionato lo confermò e l’Inter giocò a Londra, contro l’Arsenal (stadio di Higbury, 17 settembre 2003), la più bella partita dell’era Moratti (3 a 0: era l’esordio in Champions); dopo di che la squadra cadde in depressione e perse il
derby per 3 a 1; Moratti decise di licenziare Cuper quindici giorni dopo, tra
il primo e il secondo tempo di Brescia-Inter, senza pensare che il mercoledì c’era da andare a Mosca contro il Lokomotiv per la Champions e qualcuno in
panchina per quella partita ci voleva, sicché, ingaggiato Zaccheroni (che non poteva materialmente arrivare prima del
mercoledì), si promosse allenatore per due giorni Corrado Verdelli mandandolo in Russia,
la panchina probabilmente più breve di tutta la storia (perse 3 a 0). Mancini, infine, è a questo punto l’allenatore col palmarés più importante: due coppe Italia, due Supercoppe e lo scudetto 2005-2006, revocato
alla Juve per via dello scandalo Moggi e assegnato all’Inter (che era arrivata terza, dietro il Milan penalizzato)
• In undici anni Moratti ha speso per l’acquisto di calciatori, inclusa la campagna dell’estate 2006 (Vieira, Ibrahimovic, Grosso ecc.), quasi un miliardo di euro. Il
trasferimento di Vieri dalla Lazio è stato il più costoso della storia del calcio italiano: 80 miliardi di lire, comprendendo la
cessione di Simeone (contratto firmato il 9 giugno 1999). La sfilza dei nomi
passati per Appiano Gentile è impressionante sia sul lato della grandezza che su quello della pochezza: Ince,
Ganz, Pistone, Caio, Kanu, Roberto Carlos, Branca, Winter, Djorkaeff, Sforza,
Zamorano, Ronaldo, Cauet, Simeone, Zè Elias, Moriero, Paulo Sousa, Pirlo, Ventola, West, Roberto Baggio, Simic,
Panucci, Vieri, Blanc, Peruzzi, Georgatos, Di Biagio, Seedorf, Farinos,
Brocchi, Cirillo, Crespo, Hakan Sukur, Keane, Vampeta, Salas, Frey, Conçeicao, Gamarra, Dalmat, Fadiga, Emre, Batistuta, Kily Gonzales, Van der Meyde,
Davids, Cannavaro per non dire, appunto, del fatale Gresko, il ventiduesimo
terzino sinistro che nel famoso Lazio-Inter del 5 maggio 2002 s’impappinò, fece segnare gli avversari e perdere lo scudetto. A metà luglio del 2001 l’Inter arrivò a una rosa di 36 giocatori, più di tre squadre complete. E di campioni prodotti dal vivaio non ce n’era e non ce n’è neanche uno, perché Moratti ha avuto sempre fretta e per vincere con i vivai ci vuole naturalmente
tempo. Perciò: un miliardo di acquisti in undici anni e soldi spesi soprattutto all’estero. Il 23 novembre 2005, trovandosi di fronte l’Artmedia per un incontro di Champions League, Mancini mise in campo fin dal
primo minuto una squadra senza italiani, fatto mai avvenuto prima nella storia
del nostro calcio (Julio Cesar; J. Zanetti, Cordoba, Samuel, Wome; Figo, Veron,
Cambiasso, Solari; Adriano, Recoba. Entrò poi Zanetti al 66’ a mitigare il brutto record). Michele Serra ha scritto che «in quasi ogni squadra del mondo, Molucche comprese, gioca un ex dipendente di
Massimo Moratti»
• Il sistema Moggi (vedi) ha colpito soprattutto l’Inter. Si dà qui di seguito una breve lista, che rende solo parzialmente l’idea dei molti torti subìti dalla squadra durante l’era Moratti (gli autori di questo libro sono uno romanista e l’altro juventino — ndr). Il caso più clamoroso e noto è quello di Juve-Inter, 26 aprile 1998, 1 a 0: Ronaldo viene atterrato in area da
Iuliano, rigore plateale non solo alla moviola, che l’arbitro Ceccarini non dà consegnando lo scudetto alla Juventus (lo scandalo fu tale che Umberto Agnelli
dovette intervenire e sostenere che questi sbagli danneggiavano soprattutto i
bianconeri, dato che sporcavano un primato altrimenti indiscutibile). è però importante anche quello che successe nella domenica immediatamente precedente:
la Juve vinceva 1 a 0 a Empoli e, sei minuti dopo aver subito il gol, l’Empoli pareggiò con un colpo di testa di Bianconi. La palla era entrata di almeno 30 centimetri
quando Peruzzi, con una manata, la buttò fuori. Questo bastò a Rodomonti per non concedere la rete. In questo modo la coppia
Rodomonti-Ceccarini permise alla Juve di recuperare 4 punti. Un altro caso
famoso è quello di Lazio-Inter, 5 maggio 2002, 4 a 2, ultima di campionato. Per vincere
lo scudetto la Juventus doveva battere l’Udinese a Udine e sperare che l’Inter non vincesse a Roma. Fino alla settimana prima, l’Udinese era in lotta per non retrocedere e certo se avesse affrontato la Juve
con il pericolo della serie B si sarebbe battuta alla morte. Ma nella giornata
precedente, l’Udinese si tirò fuori dai guai conseguendo a Lecce l’unico risultato utile, cioè la vittoria: 2 a 1 con un rigore assegnato al 90’. Dalla cronaca del Corriere della Sera: «LECCE — Vincendo a Lecce l’Udinese ottiene il diritto a restare in serie A grazie ad un rigore trasformato
da Di Michele al novantesimo minuto. A sbloccare il risultato ci pensa l’arbitro Saccani con una decisione che farà discutere, perché nell’azione si vede chiaramente Savino intervenire sulla palla prima che l’attaccante friulano, nel contatto, cada a terra. A fine gara lo stesso Di
Michele sconfessa l’arbitro candidamente: “Savino ha colpito prima il pallone e poi la mia gamba. Forse l’arbitro era coperto. Comunque, per me il rigore non c’era”» (Elio Donno). La domenica dopo, la Juve, mentre l’Inter perde a Roma, fa due gol all’Udinese in un match senza storia. Franco Sensi, intervistato durante la
settimana, aveva pronosticato il successo juventino. Alla domanda: perché?, aveva risposto: «Perché la Juve è bella, buona e brava». Un terzo caso, meno grave ma unico, è quello di Collina durante Inter-Juve del 9 marzo 97. Dato per buono all’Inter un gol segnato in fuorigioco, l’arbitro, con un comportamento mai più tenuto da nessun direttore di gara né prima né dopo, tornò sui suoi passi sei minuti dopo e lo annullò. In Chievo-Inter del 16 febbraio 2003 ci sono due rigori contro l’Inter e l’espulsione di Okan. Il guardalinee è Puglisi, quello che il rappresentante del Milan Meani voleva a tutti i costi
nelle gare più delicate (come si è appurato dalle intercettazioni dello scandalo Moggi). La cronaca
del Corriere della Sera dell’epoca: «Il primo episodio decisivo è capitato dopo venti minuti di equilibrio e un’occasione-gol mancata da Batistuta (al 2’): un fallo di mano di Cannavaro su tiro di Della Morte, evidente, ma difficile
da considerare volontario per la dinamica con la quale si è sviluppata l’azione. Per una di quelle coincidenze che a volte capitano nel calcio, non è stato l’arbitro Racalbuto (che aveva assegnato tre rigori alla Juve contro il Chievo il
19 gennaio, nella nebbia) ad accorgersi dell’infrazione, ma il guardalinee Puglisi, posizionato a quaranta metri, lo stesso
che non si era accorto del fallo di mano di Inzaghi in Milan-Roma 1-0 del 7
dicembre. Il medesimo Puglisi, già sospeso per aver insultato Appiah a Bergamo, è stato ancora più bravo ad avere la certezza della volontarietà dell’intervento di Cannavaro, con penalty trasformato da Corini» (Fabio Monti); ed eccoci al 12 febbraio 2004, Inter-Juve semifinale di coppa
Italia ed eliminazione dell’Inter ai rigori. Commento di Fabio Monti del Corriere della Sera: «Chi ha davvero perso la partita è stato però l’arbitro Emilio Pellegrino, inadeguato al ruolo, così come i suoi pessimi assistenti, Mitro e Farneti. Nel primo tempo, ha lasciato
che Adriano venisse fermato in tutti i modi, senza mai fischiare; nella
ripresa, dopo aver espulso Cordoba (fallo su Nedved), ha ignorato un rigore
grande come una casa su Emre e nei supplementari ha lasciato che succedesse di
tutto». Pellegrino l’anno dopo è diventato team manager del Messina, una delle tre squadre che formavano il
primo giro della corte di Moggi (insieme con Siena e Reggina); nell’Inter-Juventus del 13 febbraio 2006 (2 a 1 per la Juve), Figo chiese cosa stesse
facendo Moggi a tu per tu con Paparesta prima della partita. Indignazione
juventina e scoperta successiva dei magistrati che l’incontro c’era effettivamente stato e che per Moggi era normale andare a trovare l’arbitro nello spogliatoio: dopo Reggina-Juve del 6 novembre 2004 (vittoria della
Reggina per 2 a 1), Moggi era così furibondo da chiudere Paparesta nello spogliatoio (i giudici lo indagarono per
sequestro di persona); infine il giudice sportivo Laudi prese la cassetta di
Livorno-Inter del 18 febbraio 2006 e squalificò Adriano per due giornate, ritenendo che avesse preso a schiaffi Grandoni,
decisione poi revocata dalla Commissione disciplinare, a cui l’Inter aveva fatto ricorso, che, rivedendo la scena, non vide nessuno schiaffo.
Laudi è il procuratore aggiunto di Torino e amico di Moggi per rispetto al quale,
secondo i giudici di Napoli, la magistratura di Torino avrebbe rinunciato a
proseguire l’inchiesta sul calcio, archiviandola e rinunciando alle intercettazioni.



FRASI «La ricchezza serve anche a questo: comprare una passione» • «Aiutare chi soffre? E chi soffre più degli interisti» (alla moglie che lo ammoniva di non comprare Ronaldo e dare quei soldi in
beneficenza).



COMMENTI «Troppo umano, imperfetto, dignitoso. Troppo signore. Troppo predestinato alla
tragedia. Troppi consiglieri, troppe vecchie glorie. Troppo politicamente
corretto» (Maurizio Crosetti) • «Grande amico di Celentano, buon esecutore delle canzoni di Mina, eterno ragazzo
degli anni Sessanta che parla sottovoce con ingenua vaghezza, ha un ufficio
come una cameretta di tifoso stracolma di foto, coppe, talismani, ricordini.
Ragazzi ne ha tanti pure in casa, cinque figli che spesso carica sul “van” per andare alla pizzeria Santa Lucia e farsi una margherita. “Sono ricchi, ma sono gente seria e onesta” si dice a Milano dei Moratti» (Maurizio Crosetti)
• «Come ogni giocatore d’azzardo è convinto che la supervincita lo ripagherà di tutto, e non vuol mollare» (Beppe Severgnini)



POLITICA Alla fine degli anni Novanta, il centrosinistra ha coltivato l’idea di candidarlo a sindaco contro Albertini. Dopo molte incertezze, lui ha
detto no. La moglie (una verde prossima a Rifondazione) ha effettivamente
tentato di diventar sindaco partecipando alle primarie del centrosinistra del
2005 (ha perso). Moratti è molto amico di Gino Strada e ammonisce: non è così estremista come sembra • «Ho paura che, per difendere ciò che si ha e ciò che si fa, si rinunci alla libertà delle idee. Per questo vedo con simpatia i no global. Propongono un sentimento
diverso che è l’unica cosa nuova apparsa all’orizzonte politico. Anche nei centri sociali c’è un germe di nuovo. Sono posti in cui c’è confusione delle idee, ma almeno si pensa. Se solo si riuscisse a dar loro un
po’ di credito e a farli diventare, come avviene in tante città europee, dei luoghi di ricchezza culturale e non dei ghetti, Milano ne
guadagnerebbe parecchio».



VIZI Debole: «Massimo, la cui filosofia è andare d’accordo con chiunque respiri, è restio a esercitare l’autorità, meno che mai a affrontare le persone a tu per tu» (Giancarlo Perna) • Generoso: «Alcuni anni fa andò da lui lo stopper Fabio Galante, in rotta con la squadra. Stava per lasciarla e
si affacciava per una visita di commiato, senza secondi fini. La cornice dell’incontro era particolarmente gradevole: la villa del presidente, nella pineta di
Forte dei Marmi. Massimo accolse il dipendente in Bermuda anni 50, ciabattine
del nonno anni 20, a cavalcioni di una Ganna, bici del paleociclismo. Roba
introvabile perfino dal trovarobe che lui, da supernostalgico, custodiva
gelosamente. Disarcionò e invitò l’ospite in casa. Di lì a poco, Galante uscì con un nuovo contratto e mezzo miliardo all’anno in più di stipendio. Trovandoselo davanti, Max si era intenerito e calato le braghe» (Giancarlo Perna)
• «Manda soldi a Gino Strada e alla Comuna Baires, aspetta che guarisca il cuore
matto di Kanu, piange stringendo il friabile ginocchio di Ronaldo (“Un figlio, per me”, disse del suo Bruto), inventa “Inter Campus” per aiutare i bambini che giocano con la palla di pezza in Africa e in Brasile,
spedisce in gran segreto un assegno al negozio di via Del Campo, Genova, perchè possa tenersi la storica chitarra di De Andrè messa all’asta su Internet, condivide le battaglie ambientaliste della moglie, mica facile
per un petroliere, appoggia gli aiuti del fratello Gianmarco a San Patrignano,
si schiera con il cardinale Martini a favore degli extracomunitari negli anni
del leghismo trionfante, aderisce ad Amnesty International, diventa “human rights field officer” per le Nazioni Unite in Ruanda e osservatore “Osce” in Bosnia, vince il premio “Cuore d’Oro 2000” promosso dall’associazione Forza Bambini (e da Moggi...), è in prima fila nel volontariato milanese» (Maurizio Crosetti)
• Tiene il suo numero sull’elenco telefonico.