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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

CECCHI

Carlo Firenze 25 gennaio 1939. Attore. Ha vinto l’Ubu nell’87, 92, 95, 99. «Che cos’è l’arte? Una promessa di felicità. Il teatro lo è in maniera immediata» • «Dopo Eduardo De Filippo, che ha saputo dirgli “recita in napoletano” e liberarlo dal peso delle scuole (esordì con lui e i suoi primi passi di attore-regista furono memorabili messinscene
delle farse di Petito), è tra il sodalizio con Elsa Morante e quello con Garboli che il teatro di Cecchi
si è evoluto» (Goffredo Fofi) • «Elsa aveva una sensibilità teatrale gigantesca. Era la mia consulente principale e mi ha assistito nel
passaggio da Petito a Brecht, Majakovskij, Bückner, quando le influenze che subivo erano soprattutto dell’avanguardia russa, Mejerchold, Vachtangov, e prima che arrivassi ai tre moderni
che ho rappresentato di più, Beckett, Pinter e Bernhard. Ma era lei a insistere perché facessi Amleto. Diceva: “Il fatto stesso che resisti così tanto vuol dire che in realtà è quello che vuoi fare e che però ti fa paura fare”. Ad Amleto sono arrivato timidamente grazie alla traduzione di Garboli, che già mi aveva indirizzato verso Molière. Fu lui a spingermi verso
Il borghese gentiluomo, “Guarda che Molière non è quello che ti hanno insegnato all’Accademia” mi diceva. Dal Borghese gentiluomo in poi, una rivelazione. Ma anche Shakespeare... è un tale piacere fare Shakespeare! E l’attore deve pur godere, no?» • «Ho pensato, come alcuni a metà degli anni Sessanta, che si potesse reinventare un teatro, rifiutando quello
degli Stabili, e quindi rivolgendomi ad altre esperienze, fra le quali sono
state fondamentali quella del teatro napoletano e quelle delle avanguardie
europee, Living Theatre ecc. Sono stato segnato da questa origine. La
contrapposizione teatro borghese-teatro antiborghese era frutto dell’estremismo degli anni Sessanta, ma mi è servita per capire alcune cose non solo sul fare teatro, ma anche sul suo
rapporto con la società, e quindi con le istituzioni che lo gestivano. Un rapporto che si è deteriorato e le cose sono andate sempre peggio. Il processo ha coinvolto la
recitazione con la proliferazione delle scuole. Al nostro tempo ce n’erano tre: l’Accademia nazionale d’arte drammatica, il Centro sperimentale di cinematografia, la scuola di
Alessandro Fersen. Forse quella di Milano. Adesso ce ne saranno 300, forse
3mila in Italia. Chi le ha fatte proliferare? I vari assessori, sottosegretari,
questa robetta qui... Tutto è cominciato alla fine degli anni Settanta»
• «Alla lettera: l’organizzatore di teatro in Italia è in primo luogo un piazzista» • «I più grandi registi che ho visto sono inglesi: Peter Brook, Peter Hall... Non hanno
mai abbandonato il rapporto immediato, artigianale con il fare teatro; non si
sono mai lasciati fuorviare da troppe letture critiche» • «Il cosiddetto grande regista, tutto maiuscolo, ormai è già tramontato. Al pubblico non gliene fotte niente. E chi sa che non sia meglio» • «Quando il pubblico, che sarà pure rimbecillito, si trova di fronte a un evento teatrale immediato, ridiventa
pubblico. Non sta in quella specie di penombra semiaddormentato» • «Quante volte da ragazzo, e molto di più da adulto, ho sentito il ritornello della morte del teatro» (da un’intervista di Luigi Vaccari).