Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
SACCHI
Arrigo Fusignano (Ravenna) 1 aprile 1946. Allenatore di calcio. Con il Milan ha vinto
uno scudetto (88), due coppe dei Campioni (89, 90), due coppe Intercontinentali
(89, 90) ecc. Con la Nazionale è stato nel 94 vicecampione del mondo (sconfitta ai rigori in finale col Brasile)
• La carriera tra i professionisti comincia nel 77, al settore giovanile del
Cesena, dove resta fino all’82, con un anno di stop per frequentare il Supercorso di Coverciano (78-79).
Nell’82 guida il Rimini in C1: quarto posto, promozione sfiorata. Nell’83, chiamato da Allodi, va ad allenare la Primavera della Fiorentina. Torna a
Rimini nell’84, ancora quarto posto in C1. Nell’85 va a Parma (C1) e ottiene la promozione in B. L’anno dopo è settimo in B ed è chiamato dal Milan, che aveva eliminato in coppa Italia. Ha allenato l’Atletico Madrid, è stato dirigente del Parma, directór de futbol del Real Madrid
• «Berlusconi si invaghì della sua paranoia e del suo lessico. Smarcarsi? Licenziato in tronco e
sostituito da “attaccare gli spazi”. Contropiede? Trasferito in Siberia; al suo posto, “ripartenze”. Sembravano due gocce, fu il diluvio universale. Il Milan, quel Milan, cambiò la mentalità del nostro calcio. Ci dividemmo: contro o per. Impossibile restare neutrali. I
suoi seguaci — che Giuseppe Pistilli aveva ribattezzato “fusignanisti”: da Fusignano, la Betlemme del profeta — lo innalzarono a totem assoluto, determinando reazioni non sempre pacifiche (ma
spesso motivate). “O io o Van Basten” fece il giro del mondo, e la smentita contribuì a perpetuarne la fascinosa arroganza» (Roberto Beccantini)
• «Il campionato Primavera vinto con i ragazzi del Cesena è forse dal punto di vista tecnico il più grande successo della sua carriera. Altri hanno vinto scudetti con il Milan,
nessun’altro ha vinto campionati Primavera con il Cesena. Ma Sacchi non è stato un vero tecnico. Sacchi aveva il nerbo e la rapidità degli innovatori. Non ha inventato mai niente. C’era già tutto prima di lui, la zona, le ripartenze, l’aggressione agli spazi. Si chiamavano in altro modo ma esistevano già. Sacchi inventò altre cose. Il ritmo del calcio, un nuovo metodo di lavoro. L’allenamento forsennato, la teoria del sacrificio ad ogni costo. Che andava
adattata, normalizzata, ma già era sconvolgente. Sacchi portò il nostro calcio nella modernità, ne fece, quasi involontariamente, qualcosa pronto per diventare un fenomeno
industriale. Infatti il suo vero avversario non fu un altro tecnico, ma Diego
Armando Maradona, il calcio patriarcale che rappresentava, il talento che se ne
frega del metodo e invita tutti a seguirlo per allegria. Chi abbia vinto è difficile dire e anche poco importante. Importante è rappresentare qualcosa, saperla fare. Tocca agli altri scegliere. Sacchi faceva
muovere le sue squadre come fossero le migrazioni di un popolo. Le vedevi
ripartire ogni volta e allargarsi rapide come uno sciame d’api. Gli avversari stretti contro le fasce laterali, stremati, stupiti, battuti.
Alla fine degli anni Ottanta, con tanto calcio olandese negli occhi e tanto
calcio italiano da dimenticare, il suo Milan fu uno spettacolo straordinario.
Inutile chiedersi se sia stato il migliore o no. è stato diverso. è stato il primo di un modello di calcio che il calcio ufficiale non voleva
accettare. Sacchi è stato sempre “non accolto” dai suoi colleghi. Era eccessivo e fuori regola. Non aveva giocato a calcio,
era nato benestante, tutto il calcio sembrava un hobby per lui. Come se ne è andato, il calcio lo ha ufficialmente rimosso. è arrivato Capello, è arrivato Lippi, sono arrivati grandi tecnici, ottimi gestori di giocatori,
situazioni e partite, ma non innovatori. Forse di Capello ce n’è stato qualcun altro. Di Sacchi, nel bene e nel male, no» (Mario Sconcerti)
• «Fusignano, da uscita sulla bretella che dalla A14 porta a Ravenna, è diventato il luogo della corrente dei “fusignanisti”, i seguaci dell’allenatore che parlava di calcio spettacolo, di zona, di rinnovamento del calcio
italiano. I pellegrinaggi verso Fusignano cominciarono nell’aprile del 1987. Allora lui allenava in serie B col Parma. Sfiorò la serie A sul campo, gioco spettacolare e giocatori sconosciuti (Mussi,
Bianchi, Bortolazzi) che si portò al Milan. Lui aveva ancora papà e mamma (ottimi i tortelli della signora) e già possedeva le terre. Non arrivarono con i denari di Berlusconi, anzi. Arrigo
Sacchi è sempre stato bravo con gli affari, già aveva investito nell’agricoltura. In uno dei suoi poderi viveva un’anziana coppia. Ci portò a trovarla. A quei tempi il calcio era più semplice, almeno a livello di rapporti umani, e secondo una (un’altra) corrente di pensiero, fu proprio lui, tra gli altri, a contribuire a
creare questo calcio esasperato nel quale viviamo e i cui ritmi non riesce più a sopportare. In verità, Arrigo predicava “l’intensità” solo sul campo, non fuori, non nei G-14, non nella pervicace ricerca dell’affare, del denaro, del potere, non nel calcio esagerato, televisivo. Se ha una
colpa, è stata quella di ridare importanza al ruolo dell’allenatore come demiurgo, impresa, prima di lui, riuscita solo a Helenio
Herrera. Se qualcuno ne ha fatto un cattivo uso, sono stati i suoi colleghi,
che si fanno versare, spesso, emolumenti che non meritano» (Roberto Perrone)
• «Una volta Van Basten mi disse: mister, ma perché agli altri basta vincere e noi del Milan dobbiamo anche convincere? Gli
risposi: Marco, se vuoi rimanere nella memoria della gente devi vincere in un
certo modo, facendo anche divertire il pubblico, perché non basta la vittoria in sé. Forse è per questo che io vengo ricordato così tanto, anche al di là delle vittorie, poche o tante, che ho ottenuto» (da un’intervista di Andrea Sorrentino)
• «Ho avuto fortuna. Sono diventato allenatore del Milan senza giocare al calcio.
Mi hanno dato una laurea senza andare all’università» (da un’intervista di Germano Bovolenta).